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La foto satellitare del tratto di mare chiamato "mare chiuso" ( a ridosso di Lefkada ).

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Cartolina di Natale 2018

Il viaggio è stato bellissimo ed il vento, mano a mano che aumentava, non faceva che aiutarci ad andare più veloci. Il moto ondoso creato dal vento, come lo stesso vento, erano entrambi a favore. Le cose sono cambiate una volta arrivati nei pressi della lingua di sabbia che occorre circumnavigare per entrare nella darsena antistante il ponte levatoio. Infatti, se esaminiamo la foto satellitare riportata qui sotto, si vedono bene i bassi fondali con acqua trasparente che si incontrano avvicinandosi a terra. Inoltre, nella foto è stata evidenziata, da una linea tratteggiata, la zona di bassi fondali non navigabile che si incontra verso costa entrando.

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Fine

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Spiccare il volo verso la libertà e la conoscenza fa di ogni vita una vita degna d'essere vissuta.

Conoscere un armatore

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Avevo sedici anni quell’ estate e, come era nostra abitudine all'epoca, passavo le vacanze nella casa di Rapallo con la mia famiglia. Come sempre, secondo la tradizione dei bagni Tigullio, tutti avevamo la stessa cabina e gli stessi amici (un ambiente chiuso che si rinnovava di anno in anno). Come ogni anno Gino, il bagnino addetto alle barche, aveva ridipinto a nuovo il mio Dinghy 12” con il quale mi dilettavo a lasciare la scia in lungo e in largo per il golfo.

Raramente accadeva quel che è accaduto quel giorno: un amico mi aveva detto che il padre nel pomeriggio sarebbe uscito con la sua barca: un bellissimo, impeccabile ketch di 16 metri. “Due braccia in più" - diceva - "non avrebbero fatto male”. Così, senza pensarci due volte, ho deciso di andare. Alla fine eravamo almeno una decina di ragazzi a bordo.  La  barca incrociava potente, bene

zambotti

in assetto, sotto un vento dolce ma costante. Non c’era molto da fare, se non godersi quei meravigliosi momenti che solo il mare sa regalare quando è in buona. Eravamo tutti mollemente sdraiati in ogni angolo della barca sbandata, quando l’occhio colse qualcosa di strano non troppo lontano da noi. Ho sùbito messo a fuoco il perché di quella strana sensazione. Una barca a vela dalle linee moderne e corsaiole (per l’epoca…), sembrava orzare e prendere un assetto “da combattimento”. Si piegava sotto il vento che aumentava la pressione sulle vele a causa dell’accelerazione. Poi, in un attimo, virava e restava sventata per un po’... Poi di nuovo, riprendeva quelle strane insensate evoluzioni. Intanto ci stavamo avvicinando. Direi che le nostre rotte si incrociavano, se non fosse che quella barca non aveva in realtà una sua rotta... Sembrava ubriaca. Eravamo ben a largo, per quanto si possa essere a largo nel Golfo del Tigullio. Non si vedevano altre  barche  nelle  vicinanze  eccetto  queste  due.  Io

Foto dai nostri itinerari

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guardavo curioso, ma con un certo distacco... Il distacco di chi non capisce ancora quel che sta accadendo ed aspetta tenendo sotto controllo con la coda dell’occhio il chiarirsi degli eventi. 

Quando siamo passati a tiro di voce da quella barca, che nel frattempo si era fermata sull’acqua a vele filanti, ho sentito chiaramente da bordo qualcuno gridare al nostro comandante: “Ciao Mario, mi passi a fianco andando in giro con una ciurma di prim’ordine e neanche mi riconosci; sono ormai due giorni che ho comprato questa barca, ma per quanto mi sforzi non ne vuole sapere di fare quello che voglio. Non mi "presteresti" uno dei tuoi baldi giovani che ti accompagnano per riportarmi a casa?... Guarda dove siamo finiti... In mezzo al mare...”

E di rimando: “Ciao Carlo, cosa ci fai qui in mezzo?... E da quando vai in barca?...” 

Avendo subito fatto cenno di essere disponibile, in pochi istanti, d’accordo col comandante, mi sono tuffato dalla coperta in direzione del poveretto. Sono riemerso immediatamente per dare un’occhiata e, soprattutto, per decidere come “approcciare quel "natante" sul quale, dopotutto, avrei dovuto salire. Mi sono girato a guardare la barca dalla quale ero appena sceso: era già lontana e se ne andava via velocemente. Poche bracciate ed ero già sottobordo. Ma proprio quando stavo per fare un "guizzo" capace di farmi salire, le vele si "gonfiavano" e la barca prendeva a correre indiavolata. Sono rimasto sgomento. Gli amici erano già lontani ed io mi trovavo a diverse miglia dalla costa.

Mi sono messo a gridare di tenere la barra tutta alla banda... Di lascare le vele... Fin quando la barca, ad un certo punto, si è fermata di nuovo. Allora ho ripreso a nuotare; ero ad una cinquantina di metri. Avevo distanza nelle braccia all’epoca, nessun problema... Ma proprio quando sembrava che potessi allungare una mano ed agguantare saldamente la falchetta, la barca si è “impennata” di nuovo facendomi mancare la presa. Tutto ricominciava: io che urlavo ordini, la barca che se ne andava per poi fermarsi lontano, la gente a bordo che urlava impaurita più forte di me... Era chiaro che, se il gioco fosse durato a lungo, il rischio di stancarmi e perdere le forze era un rischio reale. Ho quindi deciso che mi sarei lanciato per un’ultima volta con tutta la determinazione di cui fossi capace. Dovevo assolutamente farlo adesso che ero ancora fresco. Ho percorso la distanza tra me e la barca con la testa in acqua, senza guardare fuori, senza respirare. Facevo così quando mi imponevo la massima velocità a nuoto. Sono emerso con il busto, ancora in velocità, e con un colpo di reni ho agguantato saldamente la falchetta. Quella benedetta barca, come indiavolata, ha ancora una volta deciso di rimettersi a correre: ma non l’avrei mollata.

Uff!... Com’era diverso il mare dalla tolda di una barca. Presentazioni ridotte al minimo: ho trovato a bordo il Sig.Carlo e sua moglie molto scossi. Ho sùbito messo la barca in assetto di bolina, senza stringere più del dovuto.

Cavoli !... Ha preso subito un passo che mi ha dato la sensazione d'essere su “una vera barca di razza”. Niente a che fare con le barchette da passeggio. E’ stato istintivo, forse casuale, ma ci siamo ritrovati nella scia dei nostri amici a rincorrerli. Carlo ora si agitava, parlava in modo concitato... Si alzava, poi si risedeva... “Marcello, se li raggiungi questa sera sei invitato a cena nel miglior ristorante di Rapallo... Anzi, facciamo così: tu scegli il ristorante che vuoi e ci andiamo tutti insieme". Non ho avuto grande merito quella volta. Certo sapevo come si usa una barca a vela... Ma la verità è che quella barca, sebbene molto più piccola (9m al galleggiamento), era semplicemente più veloce. Ma l’entusiasmo, la crescente eccitazione ed il coinvolgimento di tutti è stata un’esperienza incredibile. Quando alla fine abbiamo raggiunto i nostri amici, lascio immaginare le grida dall’una e dall’altra parte: era stata un’impresa, o almeno così veniva vissuta. Quella sera a cena il Sig. Carlo mi ha fatto una proposta: “Vedi Marcello, un mio amico imprenditore con la passione per le regate si è fatto costruire questa barca, poi ne ha voluto un’altra dopo tre mesi e questa è riuscito a rifilarla a me. Se vuoi, abbiamo l’estate davanti... Tu sei il comandante, io sono l’armatore, ce ne possiamo andare in giro tutti i giorni a divertirci”...

E così è andata. Quell'estate, si partiva al mattino e si navigava fino a raggiungere qualche baia dove gettare l’ancora per mangiare; poi si rientrava a fine pomeriggio. Presto, tutti i ristoranti che si affacciavano sul mare hanno cominciato a conoscerci. Si arrivava, si gettava l’ancora e, appena ci vedevano, qualcuno arrivava remando sottobordo per scortarci a riva. Erano altri tempi. Quante volte abbiamo pranzato guardando la barca dondolare tra le onde a San Fruttuoso. Spesso si era soli in rada.  E’ stata un’estate bellissima e si è formata una bella amicizia fra comandante ed armatore... La differenza d’età, in fondo, non ha mai inciso.

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