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La foto satellitare del tratto di mare chiamato "mare chiuso" ( a ridosso di Lefkada ).
Cartolina di Natale 2018
Il viaggio è stato bellissimo ed il vento, mano a mano che aumentava, non faceva che aiutarci ad andare più veloci. Il moto ondoso creato dal vento, come lo stesso vento, erano entrambi a favore. Le cose sono cambiate una volta arrivati nei pressi della lingua di sabbia che occorre circumnavigare per entrare nella darsena antistante il ponte levatoio. Infatti, se esaminiamo la foto satellitare riportata qui sotto, si vedono bene i bassi fondali con acqua trasparente che si incontrano avvicinandosi a terra. Inoltre, nella foto è stata evidenziata, da una linea tratteggiata, la zona di bassi fondali non navigabile che si incontra verso costa entrando.
Fine
Spiccare il volo verso la libertà e la conoscenza fa di ogni vita una vita degna d'essere vissuta.
Forza nove nel Golfo del Leone
Navigation
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Estate 1992. L'unità uomo-barca vive ormai una fase matura: c'è conoscenza, attenzione, consapevolezza e responsabilità. I primi tempi del “marinaio allo sbaraglio” caratterizzati più dalla passione che da un approccio “professionale” sono lontani. Il caipiriña, la nostra barca di nome Tremar, è stato messo a punto con grande scrupolo. Tra i tanti interventi per non lasciare nulla al caso, voglio ricordare un motore nuovo da 18 CV che tira come un mulo (è il secondo motore nuovo in poco più di un anno; il primo è stato sostituito per un difetto di fabbrica), la sostituzione di tutte le prese a mare con i loro passascafo, l'installazione di una radio V.H.F. nuova con tanto di piastra di massa in acqua ed un LoRaN (Long Range Navigation) in grado di fornire elettronicamente la posizione in ogni condizione di tempo (nebbia, foschia, pioggia e quant'altro). Completa il quadro l'acquisto di un nuovo pilota automatico della Autohelm (il migliore sulla piazza) in sostituzione del precedente meno affidabile.
Siamo pronti. Quest'anno andremo alle Baleari.
Elaborazione di un'immagine di Google Earth
(immagine satellitare 1)
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Pianificazione della rotta che ci avrebbe portato alle isole Baleari.
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Devo dire, per dovere di cronaca, che anche l'anno prima avevamo deciso di andare alle Baleari. Ma un guasto non riparabile al motore, poco prima della partenza, ci ha costretto a cambiare programma. Quasta volta però, non abbiamo lesinato sforzi per farci trovare pronti all'appuntamento e partiremo con “la coscienza a posto”.
Vi è anche un'altra cosa da dire a questo punto. Al momento in cui scrivo ho superato da un po' i settant'anni. Questa "storia" invece si svolge quando ne avevo 43. Solo chi ha percorso ormai buona parte della propria vita può giudicare quanta differenza vi sia tra quell'età e l'attuale. Ero consapevole allora della forza degli elementi e sapevo bene che in mare, in caso di bisogno, si lotta da soli. Ma ero anche consapevole delle mie forze ed avevo voglia e fiducia che mi spingevano a confrontarmi con tutto questo... Ma proseguiamo nel racconto.
Partiamo da Milano ed arriviamo a Sestri Ponente pronti ad imbarcare l'ultimo carico prima di salpare. Uno spaventoso nubifragio ha creato delle vere e proprie situazioni di emergenza in alcune parti del territorio che ci circonda. Abbiamo saputo di alcuni morti in uno scantinato allagato da un torrente che è esondato a poca distanza. Il mare, tutto intorno alla barca, è pieno di detriti galleggianti. C'è di tutto... Vediamo anche un grosso topo morto che galleggia a poca distanza dalla radice del pontile. Lo scenario non è di quelli che ispirano le vacanze... Ma tant'è... Non ci facciamo distogliere dai nostri preparativi che ci assorbono completamente. Partiremo l'indomani mattina all'alba.
Alle prime luci del giorno, come previsto, molliamo gli ormeggi. Solo io e Margherita siamo "ufficialmente" svegli: Marco invece rimane in branda ad esercitare le proprie prerogative di figlio. L'acqua intorno a noi è torbida ovunque e, nonostante le ore ormai passate dalla pioggia, il fango rimane in sospensione facendo assumere al mare un colore grigio-verde che ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che, in barba al fatto che non si vedono nuvole in cielo, il tempo rimane instabile.
Appena fuori dal porto l'acqua è decisamente calma. Anche il vento appare del tutto assente e decido di concedere al nuovo motore l'onore e l'onere di portarci al largo lungo la rotta ormai stabilita. Il nuovo pilota automatico lavora proprio bene: rispetto a quello che avevamo prima, interviene poco ed al momento giusto... Inoltre mantiene la rotta in modo impeccabile.
Quando ci sentiamo al sicuro, ben larghi dalla costa e senza pericoli all'orizzonte, Margherita prepara la colazione per tutti. Io mi accontento di un caffé che consumo in pozzetto; Marco invece, probabilmente attratto dall'odorino che invade tutta la dinette, emerge dalla sua cuccetta a poppa e va ad occupare il posto migliore del tavolo che rimane comunque tutto per lui.
Vado a prua a vedere come la chiglia fende l'acqua. Seduto sul pulpito ho la visione dello scafo nella sua totalità e percepisco la potenza del nuovo motore che ci spinge a circa sette nodi su un mare totalmente piatto. Guardo ora a destra, ora a sinistra: è incredibile l'effetto ipnotico dell'acqua che scorre veloce perdendosi a poppa in una scia della quale non si vede la fine. Tutto è in assetto ed io mi sento rilassato e sicuro. Siamo in rotta per le Isole d'Hyères che conosciamo bene. Facciamo rotta diretta e ci allontaneremo abbastanza dalla costa per non vederla più. Nel frattempo il mare, che già al mattino era decisamente calmo, diventa "lattiginoso". Si dice così fra marinai per indicare quel caso in cui la totale assenza di vento rende la superficie dell'acqua liscia ed immobile senza la minima increspatura.
Io controllo insistentemente tutto: è il mio compito. La radio rimane accesa, come da protocollo, sul canale 16: dobbiamo essere sempre in ascolto e pronti per qualsiasi evenienza. Siamo a metà del pomeriggio quando sentiamo distintamente al VHF la temuta parola "sécurité" ripetuta 3 volte. È la convenzione che indica la diffusione imminente di un messaggio delle capitanerie di porto inerente qualche pericolo incombente in zona... Di solito annuncia una burrasca.
La radio tace invece per almeno cinque minuti. Poi, improvvisamente ecco di nuovo che lancia un "sécurité" ripetuto ancora tre volte come da manuale. Rimango teso in ascolto... Ma la radio resta muta. Il tempo passa e non succede niente. Il mare, liscio come l'olio, impressiona il marinaio. È tutto troppo calmo... Calmo in modo innaturale. Passa più di un'ora prima che alla radio si oda qualcosa. Riusciamo solo a sentire una delle due navi che da qualche parte stanno comunicando tra loro: la più vicina. Parlano in italiano:"Ma chi è quell'imbecille che ha lanciato un "sécurité"? - Si dicono - "Ho provato a contattare Livorno... Nessuno sa niente."
Rimango un po' teso fino al calar della notte; ma non succede niente. La barca continua a macinare miglia e Margherita chiama alla cena prima che faccia buio. Mamma e figlio hanno passato quasi tutto il pomeriggio a "far lezione" di Latino. Margherita di mestiere è professoressa di lettere e Marco, quest'anno, è stato rimandato. Si portano avanti adesso che non hanno altro da fare: meglio tenersi del tempo per quando la vacanza sarà più interessante.
Non appena cala il buio, le luci della costa compaiono ben visibili. Riescono a bucare la foschia che durante il giorno la nasconde completamente. Io mi scopro a immaginare da quali paesi venga questo o quel chiarore e mi metto a triangolare sulla carta per far quadrare tutto. Sembra d'esser soli in mare. Visto che facciamo una rotta non percorsa dalle navi, potremmo vedere solo barche da diporto, ma non vanno in giro questa notte. L'ennesimo controllo di "routine" mi conferma che tutto fila liscio. Alle 22 Margherita e Marco stanno già dormendo e rimango solo a meditare in una notte senza luna. È il momento ideale per alzare gli occhi al cielo: le stelle sono miliardi e si vede bene la "Via Lattea", la nostra galassia nella quale siamo immersi. Ci si sente persi nell'immensità del mare, ma l'intero pianeta non è che un puntino insignificante in questa porzione di universo.
Poi entriamo nella notte vera, profonda. Anche io mi preparo a riposare. Ho un mio metodo che da alcuni anni mi consente di navigare di notte senza svegliarmi "allucinato" al mattino. Mi preparo la "branda" di poppa, la branda del marinaio: quella subito sotto il pozzetto adiacente al tavolo da carteggio. Il metodo è questo: controllo tutto, prendo nota di eventuali navi all'orizzonte e mi stendo per dormire. Dormo profondamente, poi mi sveglio da solo senza l'aiuto di una sveglia. Controllo subito l'orologio per sapere quanto tempo è passato. Non passano mai più di sette - otto minuti. Al risveglio, esco in pozzetto e ripeto il controllo. Se non devo fare nulla, ritorno in branda e riprendo a dormire. Il ciclo si ripete all'infinito. Ho usato questo metodo per tutta la vita e non mi ha mai tradito.
Questo nuovo motore è un portento. La barca viaggia alla sua velocità massima a soli due terzi della sua potenza. Velocità massima e velocità di crociera praticamente coincidono. La mia giovane età, congiuntamente con il metodo del “sonnellino a ripetizione”, mi portano fino alle prime luci dell'alba fresco e riposato. Sono le sei del mattino quando intravedo di prora l'Île du Levant, l'isola più ad est dell'arcipelago delle isole di Hyères.
Elaborazione di un'immagine di Google Earth
(immagine satellitare 2)
Arrivo a Porquerolles, prima tappa del viaggio.
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Raggiungiamo il porticciolo nell'isola di Porquerolles poco dopo le dieci del mattino. Con un po' di fortuna troviamo posto proprio grazie all'ora di arrivo. Infatti, a quest'ora le barche in transito ripartono e noi entriamo. Conosciamo molto bene queste isole e passiamo una vera giornata di vacanza. Porquerolles è parte di un meraviglioso parco naturalistico e sull'isola non ci sono automobili (escluso poche auto di servizio). Ci concediamo una lunga passeggiata fino al faro sulla costa Sud (Le Phare du cap d'Arme). Dal faro mi sorprendo a scrutare l'orizzonte del mare che sembra infinito. Mi sento intimorito. Questa è la nostra prima tappa venendo da Genova, ma è anche l'ultima tappa prima del “gran salto”: 145 miglia di mare aperto con una pessima reputazione. L'idea è quella di attendere un bollettino favorevole prima di salpare e, nel frattempo, godersi questa splendida isola.
Ci svegliamo, la mattina successiva, in una bellissima giornata di sole. Io sono combattuto: so che voglio partire e lo faremo, ma so anche che devo essere molto prudente. Devo trovare il modo di procurarmi delle previsioni affidabili. Verso le dieci vengono esposte in bacheca alla "Capitainerie".
Così, ci apprestiamo a trascorrere una bella giornata sull'isola in attesa della "luce verde". L'idea è quella di tenere sotto controllo il bollettino del giorno dopo ed approfittare della prima finestra utile. La barca è tutta aperta e squarci di sole si insinuano anche al suo interno. Mentre mi faccio la barba, dal MotorYacht vicino a noi, si sente distintamente la radio. È il VHF di plancia che trasmette gli "avvisi ai naviganti" in francese... Segue il bollettino: "La mer belle" - è quello che prevede per le prossime 24 ore. Si parte immediatamente.
Io scappo in capitaneria a pagare e fare il "check-out", mentre Margherita mette il Tremar in ordine pronto a salpare. In men che non si dica siamo in mare.
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Poco dopo l'uscita dal porto, mettiamo la prua ad Ovest per passare in quella sorta di canale che si forma tra l'isola di Porquerolles e la penisola di Giens con l'isoletta "du Grand-Ribaud". È uno specchio d'acqua che trattiamo con grande deferenza. Siamo stati a lungo all'ancora nella baia che i francesi chiamano "Anse du Bon Renaud" (ad Ovest del porticciolo) e, in quell'occasione, soffiava forte il Mistral: un “famigerato” vento da Nord Ovest che qui gira ad Ovest. Noi eravamo riparati abbastanza con l'ancora che mordeva il fondo di sabbia lasciandoci in sicurezza. Ma, quasi ogni giorno, facevamo delle gran camminate che ci portavano proprio di fronte al canale di cui parliamo. Qui, col Mistral, si forma un mare infernale che fa riflettere il marinaio.
Ma questa volta tutto è diverso. Il mare respira con regolarità in una rara quiete, almeno da queste parti. Un leggero vento dai quadranti meridionali spira con costanza e mi induce a mettere alla vela. Tuttavia la spinta non è sufficiente per mantenere la velocità che pretendo per una traversata così lunga, così mantengo il motore acceso a mezza forza. Il Tremar freme sotto la spinta combinata delle vele e del motore. La barca si inclina di pochi gradi e la grande forza alla quale è sottoposta la mantiene incredibilmente stabile. Due baffi di potenza salgono da entrambi i lati a prua e la velocità rimane al suo limite. Che bella navigazione!
Il Tremar è “alla frusta” e sfiliamo spavaldamente davanti a Tolone. Non posso dimenticare quel che scriveva di questo mare il grande Moitessier. Il Joshua, la sua nuova barca d'acciaio con la quale farà un giro e mezzo del globo senza scalo, è stata varata da poco ed il suo allestimento è quasi ultimato. Per riempire la cambusa e fare cassa in attesa della vera partenza, Moitessier fa scuola di vela. Ha imbarcato a Tolone e si mette in rotta per la Corsica nonostante un vento da Maestrale in intensificazione. Bene!... Arrivato proprio dove stiamo navigando al momento, lui che aveva attraversato l'Indiano fino a naufragare e che aveva poi navigato per tutto l'Atlantico, decide di rientrare. Descrive la sua decisione come l'unica possibile e conclude con la frase che rimane celebre fra I suoi estimatori: “Benedetto Mediterraneo!”
Ma sappiamo che il mare è così. Può diventare in un attimo un posto infernale dove occorre lottare per la vita, ma sa anche essere un paradiso meraviglioso pieno di un fascino irresistibile... E noi oggi siamo fortunati. È una bella navigazione con mare calmo e cielo azzurro che ci accompagnano senza fatti degni di nota... Almeno fino alle sei del pomeriggio quando quel che accade è qualcosa di magico.
Vediamo a poca distanza, di prua, un certo movimento; ma non riusciamo a capire di cosa si tratti. Sicuramente sono animali marini... Ma non capiamo quali.
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globicefalo
Lo stupore ci lascia senza fiato: sono globicefali. Non ne avevamo mai visti prima. Sono tantissimi. Fermo la barca. Sono tutti intorno a noi. Si tengono a distanza... Una trentina di metri. La cosa incredibile però è un'altra. Ci guardano. Ci studiano. Lo vediamo benissimo. Ogni tanto uno si stacca dal gruppo e si immerge per emergere a pochi metri da noi. Passiamo così, fermi nel mare, almeno una ventina di minuti. Il tempo si ferma... Il tempo non conta. È uno spattacolo indescrivibile.
Col cuore gonfio di gioia, riprendiamo la navigazione. Abbiamo ancora negli occhi lo spettacolo. Quegli splendidi animali si muovevano in un mare assolutamente calmo con una lentezza esagerata. Sembrava una scena al rallentatore. Poi però, quando qualcuno di loro decideva di venirci a trovare, si immergeva e con un colpo di coda arrivava sottobordo alla velocità della luce. Quale privilegio per noi averli potuto osservare stando in mezzo a loro.
Ormai sta per calare la sera. Il vento rimane debole da Sud-Est e non riesce a formare l'onda. In cielo non si vede una sola nuvola e Margherita chiama tutto l'equipaggio a tavola per la cena. Il pilota automatico fa il suo dovere senza stancarsi mai e noi mangiamo quasi come fossimo a casa mentre il Tremar continua la sua corsa a sette nodi verso la meta: domani in mattinata saremo a Roses.
LA GRANDE BURRASCA
Dopo cena riprendo il mio posto in pozzetto. Faccio in tempo a vedere il disco infiammato del sole scendere dietro l'orizzonte colorando tutto il cielo di rosso: uno spettacolo frequente quando si naviga, ma io non riesco ad abituarmi a tanta bellezza. Ogni volta rimango incantato a bearmi di questa sensazione che non saprei come descrivere.
Poi succede una cosa strana. Un brivido mi coglie all'improvviso e sembra salire su per la schiena. Il vento ormai flebile soffia ancora da Sud Est, ma un treno di onde appena percettibili sulla superficie di un mare assolutamente calmo ci raggiunge proveniendo da Nord-Ovest.
Il buio ormai non tarderà ad arrivare e noi ci troviamo proprio nel mezzo della traversata; siamo nel punto più lontano dalla costa ovunque la si voglia cercare. Quelle onde, anche se appena visibili, non possono che essere generate da un vento da Maestrale e da queste parti, quando arriva, soffia quasi esclusivamente a burrasca. Avrò si e no dieci minuti di quel che resta della luce della sera e li devo impegnare con tutta fretta per mettere la barca in assetto da combattimento. Continuo a sperare di sbagliarmi, ma è meglio prepararsi per niente che farsi cogliere in questo stato. La barca, in questo momento, ha il classico aspetto della vacanza: le vele tutte a riva e sono quelle da vento leggero, c'è roba dappertutto sia fuori che dentro. Chiedo a Margherita di mettere in ordine l'interno. Le rivolgo la parola cercando di non lasciar trasparire quel che temo veramente. "Potrebbe esserci un groppo" - le dico - "Una vera e propria botta che potrebbe regalarci un quarto d'ora di paura".
Io metto in assetto la coperta e, soprattutto, vado a prua ad ammainare il fiocco che faccio in tempo ad insaccare e stivare sotto coperta. Prendo una sola mano di terzaroli alla randa... Farò sempre in tempo a ridurre ulteriormente. Non esistono cinture di sicurezza a bordo e la barca non è dotata di "life lines". Decido quindi di passarmi una cima da dodici intorno alla vita e ne assicuro l'altra estremità intorno alla base dell'albero. Non sarà proprio la stessa cosa, ma è quanto di meglio posso approntare a bordo. La sensazione è veramente strana. Io mi percepisco come fossi contemporaneamente due persone. Una di queste ha lo stomaco attanagliato da profonda paura, l'atro si muove con calma e precisione facendo le cose che occorre fare in fretta e bene. La notte è ormai arrivata e nel buio arriva la prima bordata. Una fucilata di vento colpisce la barca nel suo fianco destro ed io mi pento di non aver preso direttamente due mani di terzaroli. In compenso l'assenza del fiocco rende gestibile il vento che ci fa sbandare alla falchetta e ci spinge a gran velocità verso la parte più chiara di una notte che sin d'ora si annuncia scura. Che si tratti di una vera burrasca ormai è chiaro. La direzione del vento mi è stata preannunciata dalle onde che lo hanno preceduto: soffia al traverso e sono contento di aver tolto il fiocco. Il Caipiriña, in queste condizioni, rimane molto ben bilanciato con la sola randa e sarà molto più sicuro non dovere andare a prora a lavorare di notte (la barca porta fiocchi ingarrocciati).
Saranno passati non più di dieci minuti dal primo colpo di vento. Sono sorpreso da quanto rapidamente si sia alzato il mare. La vela, da sola, ha una spinta più che sufficiente a far correre la barca tra le onde; ma decido di lasciare comunque il motore acceso a mezza forza perché il pilota automatico sembra fare più lavoro del solito e temo che consumi troppa corrente. Il motore produce elettricità. Inoltre voglio che di sotto possano tenere accese tutte le luci che vogliono. D'altra parte, il mare si è fatto veramente aggressivo e gli spruzzi che montano a bordo sistematicamente mi obbligano a chiudere completamente il tambucio. Veramente, più che spruzzi sembrano autentiche secchiate d'acqua. Non me ne curo: l'acqua è calda ed io ho indossato la cerata. Per coprire la testa, mi sono portato per prudenza il casco integrale della moto. Sono contento di indossarlo. Fornisce un tipo di protezione aggiuntivo che non guasta. A bordo le dotazioni non comprendono la stazione del vento: non posso sapere con precisione quanti nodi abbiamo. Ho navigato diverse volte a quaranta nodi, mi sembra che questa volta siamo oltre.
La barca adesso sembra in assetto. Si comporta molto bene ed il pilota automatico riesce a tenere la rotta, seppur con qualche sforzo. Nonostante ciò, rimango molto preoccupato. Lo stato di ansia è dovuto principalmente al fatto che la burrasca sembra non aver ancora raggiunto il culmine e quindi la vera domanda è: cosa devo ancora vedere?
Le secchiate si sono trasformate in "gavettoni" ed il pilota automatico fa sempre più fatica. Io riesco agevolmente a scendere sottocoperta senza togliermi la cima di sicurezza. La faccio passare nell'angolo superiore sinistro della chiusura del tambucio: ci passa appena... Ma è quel che serve. Dentro l'atmosfera è surreale. Non è certo la prima burrasca che prendiamo, ma è la prima volta che Margherita e Marco sono costretti a rimanere chiusi dentro. Mi vedono entrare e rimangono in silenzio. Io non mi curo di rassicurarli; sono maledettamente concentrato nel mio lavoro... Non era mai successo. L'unica luce che teniamo accesa è quella del tavolo da carteggio. Io continuo a fare il punto con regolarità. Non procediamo con "navigazione stimata" come abbiamo fatto per diversi anni. Possediamo un bellissimo LoRaN che ci fornisce il punto nave in Latitudine e Longitudine; inoltre ci informa sulle miglia mancanti all'arrivo e sulla velocità della barca. Fare il punto consiste quindi nel riportare ogni dieci/quindici minuti le nuove coordinate sulla carta. È una cosa che faccio sempre in navigazione; diventa estremamente importante in queste condizioni perché se dovessimo chiedere aiuto per radio ci servirebbe l'ultima posizione da diffondere con certezza.
Quando abbandono la confortevole sicurezza della cabina ed esco in pozzetto, le condizioni sono molto peggiorate. Ogni tanto, invece di imbarcare semplici secchiate d'acqua, la parte frangente dell'onda si rompe sulla falchetta sopravvento ed una piccola inquietante cascata d'acqua si riversa sulla coperta. Decido di dotarmi di una seconda legatura. Non mi attira l'idea di finire fuoribordo restando legato alla cima di sicurezza con la barca che salta a gran velocità tra le onde come un cavallo imbizzarrito. Così, mi procuro una tozza cima non più lunga di tre metri e mi lego corto, saldamente, al trasto di randa. Posso muovermi solo nel pozzetto: è proprio quel che voglio.
Non faccio in tempo ad assaporare la piccola soddisfazione di aver fatto un buon lavoro assicurandomi corto in pozzetto, che il pilota automatico smette di funzionare. È un maledetto guaio. Un guaio assoluto. Non posso restare bloccato al timone; ho bisogno di fare il marinaio su e giù ovunque serva il mio intervento... Ma non so come lasciare la barra. Sento perfettamente dentro di me che abbandonare la barra in questo momento sarebbe un disastro.
Non faccio che pensare freneticamente come fare: è un problema che va assolutamente risolto. Quando andavo con il "Dinghi" su e giù per il Tigullio facevo un bel gioco. Con la barca sotto vela, legavo la barra alla falchetta sopravvento. Trovando il giusto equilibrio, il Dinghi continuava la sua corsa per almeno un centinaio di metri e mi bastava spostare il mio peso per correggere la rotta quel tanto che bastava a procedere in linea. Era un "giochetto" capace di portarmi lontano.
Bene!... È proprio il caso di provare.
Mi procuro una sagoletta e la assicuro alla barra con un parlato bloccato da un mezzo collo doppio.
nodo parlato
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Il Caipiriña possiede due piccole gallocce, una per parte, nei pressi di uno dei winch del pozzetto. Proprio quello che ci vuole per fissare saldamente con semplicità la sagoletta sopravvento. In una manciata di secondi il gioco è fatto. Con grande sollievo vedo la barca tenere la rotta per almeno una ventina di secondi. Non è molto, ma è quel che basta per consentirmi di lasciare la barra a se stessa e fare altro. Cerco di regolare la randa per vedere di equilibrare, per quanto possibile, l'andatura. Almeno in teoria dovrebbe aiutare. Continuo a provare e riprovare agendo contemporaneamente sulla lunghezza della sagola.
Purtroppo, il mare continua ad aumentare e gli scrosci d'acqua a cascata diventano sempre più frequenti. Io sono saldamente legato corto e lavoro senza sosta nel tentativo di rendere la barca autonoma per mantenere la rotta senza timoniere. Malauguratamente, oltre alla massa d'acqua che adesso sale in coperta continuamente, c'è un'altra novità: le onde, che stimo alte non più di due metri e mezzo, frequentemente danno un colpo al mascone così violento da obbligare la barca ad accostare di parecchi gradi a sinistra, cedendo naturalmente all'onda. La situazione è decisamente sconfortante. Se da una parte ho la piena consapevolezza che devo assolutamente riuscire nel mio intento, dall'altra ogni qualvolta ho la sensazione di fare qualche passo avanti le condizioni peggiorano ed il gioco non funziona più.
È proprio una sensazione strana quella che provo. Mi sento fuori posto e molto spaventato:”Ma cosa ci facciamo in questo inferno? Non è posto per esseri umani”. Mi sento sdoppiato. Quasi fosse un'altra persona padrona del mio corpo, mi sorprendo a lavorare “freddamente” con l'attenzione e la capacità di far bene entrambe necessarie in questo momento. Mi sento assolutamente preparato: sono sicuro che saprò fare tutto quello che umanamente sarà possibile fare in questa situazione. Forse avere letto e riletto con ossessione i libri dei grandi navigatori è stata una specie di scuola il cui apprendimento si somma all'esperienza che ho accumulato negli anni fino a questo momento. Continuo a lavorare anche se questi pensieri mi frullano per la testa. Poi, all'improvviso, l'ennesima onda ci colpisce con grande violenza ed un rumore sordo e potente mi fa temere il peggio. Non ho idea di cosa sia. In quel caos primordiale mi sembra di aver sognato, ma è stato tutto vero. Il fatto ch'io non ne conosca l'origine non significa nulla. La barca continua a farsi strada come prima, l'albero e la vela sembrano ben saldi al loro posto. Io comunque non posso abbandonare il timone se non per qualche secondo. Mi faccio l'idea che avremo investito qualche tronco d'albero galleggiante. Ho letto nel portolano che nel Golfo del Leone succede frequentemente di incontrare tronchi alla deriva.
Mentre sono accanito nel perseverare, nonostante la frustrazione del momento, alla ricerca di un punto di equilibrio, il motore si ferma. Non posso fare nulla. In queste condizioni non potrei fare nulla anche se avessi il pilota automatico funzionante. La cosa buona però è che la velocità rimane sempre la stessa ed anche il comportamento della barca non sembra accorgersi dell'assenza del motore. Poco male!... Il pilota automatico è guasto e dentro rimane accesa una sola lampadina: non ho più bisogno di elettricità. Il motore può anche starsene a dormire: non mi interessa.
Non sono in grado di dire qual'è il momento esatto in cui prende forma l'idea vincente. Con aggiustamenti successivi sono arrivato alla conclusione che il comportamento della barca migliora scarrellando il trasto di randa tutto sopravvento. Alando sulla scotta, che rimane molto inclinata, porto il boma vicino alla mezzeria. La vela si dispone secondo una forma marcatamente elicoidale e, sorprendentemente, proprio per questa forma, esercita sempre una forte spinta di avanzamento anche se la prua della barca si sposta dalla rotta di qualche decina di gradi.
A questo punto, non serve più continuare a regolare la randa: la posso lasciare così. Mi concentro quindi sulla regolazione della sagoletta che tiene la barra del timone. Mi accorgo che, la barca lasciata a se stessa punta prepotentemente all'orza (sono senza fiocco) e la sagoletta si tende al massimo per cercare di contrastare il fenomeno. Viceversa, quando un'onda colpisce il mascone, la barca accosta sotto la spinta dell'acqua ed il timone l'accompagna senza sforzo.
L'idea vincente nasce da questo. Trovo l'equilibrio giusto che consente alla barca di procedere ritmicamente così:
1-un'onda colpisce il mascone di dritta e la barca abbatte a sinistra (questo movimento è accompagnato dalla barra del timone libera di muoversi incontro alla sagola di blocco)
2-esaurito il movimento d'accosto, la barca riprende la sua corsa all'orza e la sagola si tende fino a bloccare il timone che resiste all'orzata.
3-la barca corre sbandata nel cavo dell'onda incombente, ne supera la cresta e si "ficca" nel cavo dell'onda successiva
4-l'onda seguente colpisce ancora violentemente il mascone di dritta riportandoci nelle condizioni del punto 1
5-Il "meccanismo" si ripete all'infinito.
Uff!... Sembra proprio che funzioni. Mi attardo per diversi minuti in modo d'esser sicuro di potermi fidare a lasciare il pozzetto. Devo assolutamente andare sottocoperta e fare il punto. L'orologio mi dice che sono passati 35 minuti. Troppi per il punto nave in queste condizioni ma pochi se penso a cosa succederebbe nel caso non fossi riuscito a sistemare le cose in modo che la barca possa governare da sola.
Il disegno sotto rappresenta l'assetto finale della barca che le ha consentito di vavigare da sola per 70 Miglia
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Attendo ancora. Non mi fido. Vorrei poter studiare il comportamento del Tremar in dettaglio, ma guardare controvento non è possibile. Ho tolto il casco che ormai rimarrà nel gavone. La visiera sempre invasa da miliardi di goccioline non mi consente di vedere niente. Inoltre, voglio sentire direttamente sulla nuda pelle quel che mi succede intorno. Provo in tutti i modi: vorrei guardare in faccia questo mare che spero proprio di non dover vedere mai più nella vita. Niente. Tutto inutile. Non ci riesco. Controvento, gli occhi si riempono del polverino d'acqua e non vedo nulla. L'unico specchio d'acqua che riesco a vedere e quello delle onde che se ne vanno chissà dove verso Sud-Est. Comunque riesco a percepire nell'insieme come si comporta la barca. Ormai ne capisco intimamente il meccanismo: tutto gira come un orologio. Decido che è il momento di scendere sottocoperta.
Le cascate d'acqua si susseguono con un ritmo infernale. Forse non c'è un'onda che non ci si rovesci addosso. Per fortuna la barca è molto sbandata ed il pozzetto non trattiene se non una spanna d'acqua che fa una pozza permanente nello spigolo sottovento. Sciolgo la cima di sicurezza corta che uso quando sono fuori: entrerò tenendo saldamente l'altra sicurezza. Mi fermo davanti al tambucio per aspettare il momento giusto. Non vorrei portar dentro con me tutta quest'acqua.
Prendo il ritmo. Cerco l'attimo... Poi entro con la massima rapidità possibile. Purtroppo, insieme a me entra anche un'enorme secchiata di mare che avrei volentieri lasciato fuori. Appena dentro impallidisco. Margherita mi dice subito che voleva chiamarmi: ìl pagliolato di legno galleggia e sbatte continuamente; stiamo imbarcando acqua... E parecchia. Siamo immersi fino alle caviglie. Attanagliato dalla sorpresa, prendo la torcia subaquea e vado a controllare le prese a mare. Le conosco tutte una per una e mano a mano che le controllo le chiudo. Sono tutte nuove, appena installate. Le sento ben salde al tatto e questo mi tranquillizza. Non riesco a capire da dove sia entrata tutta quest'acqua. Ma adesso questo non conta. L'unica domanda che conta è questa: "mettendomi a pompare riesco ad esaurire il liquido o questo entra a maggiore velocità rispetto al mio sforzo?"
Prendo la leva della pompa d'emergenza e ritorno in pozzetto. Sono angosciatissimo. Marco dorme e non si accorge di nulla. Provvedo a legarmi di nuovo alla sicurezza corta e mi metto a pompare. Conto 97 colpi che durano un'eternità prima di sentire la pompa pescare l'aria. Uff!... Forse siamo salvi. Fintanto che le prese a mare sono sotto il livello dell'acqua non è possibile vedere da dove entra. Vado subito di sotto per fare un'ispezione approfondita. Lo scafo non ha buchi e le prese a mare sono a posto. Ma bastano un paio di minuti e l'acqua riprende a salire: entrerà dalla coperta... Chissà.
Conto 15 minuti, poi riesco per pompare. Questa volta i colpi di pompa sono una settantina. Da questo momento passerò tutta la notte "alle pompe". In realtà il ritmo è più o meno quello di pompare per circa dieci minuti ogni quindici. Giusto il tempo di entrare, fare il punto nave e riuscire a pompare un'altra volta.
Passo così tutta la notte. Per fortuna la barca tiene la rotta. Anche con la sua andatura da ubriaca (la prua va di qua e di là di alcune decine di gradi) ci stiamo avvicinando a Roses ad oltre sette nodi e per questa barca è una velocità pazzesca. Il LoRanN è uno strumento benedetto. Mi conforta sapere esattamente dove siamo e dove stiamo andando... E così passiamo l'intera nottata.
Intorno alle sei del mattino, il primo chiarore ci consente di vedere quel che c'è tutt'intorno a noi. Il mare è bianco di schiuma a perdita d'occhio. Le condizioni, dopo aver raggiunto il culmine, sono rimaste identiche e non accenna a migliorare. Non riesco a guardare le onde in faccia neanche con la luce ma riesco a dare un'occhiata a prua. Una brutta sorpresa: la copertura del gavone dell'ancora è sparita e tutto il tessile della linea di ancoraggio è completamente fuori bordo. Ce lo stiamo trascinando da chissà quanto tempo. Adesso capisco cosa fosse quel rumore che ho sentito durante la notte. Pensavo d'aver toccato un tronco; invece, più semplicemente, un'onda ha scoperchiato il gavone di prua e lo ha sradicato mandandolo ai pesci.
Sento fortissimo l'impulso di andare a prua per recuperare l'imbando e mettere tutto in sicurezza. Ma sarebbe una follia. È tutta la notte che navigo con tutta quella cima fuoribordo e non è successo nulla. Vedrò di reimbarcarla una volta in porto. Per il resto tutto procede con il ritmo che ormai ho cominciato a considerare normale. Il LoRaN mi dice che a questa velocità tra poco più di tre ore saremo a Roses.
Ormai l'atmosfera a bordo è più rilassata. C'è grande fiducia nell'idea che non avremo ulteriori "intoppi" prima di entrare a Roses. Ho studiato le carte. Esistono due posti che potrebbero accoglierci: uno è un marina piuttosto ricercato con una serie di canali fra villette con il posto barca di fronte (Impossibile entrarci alla vela) e l'altro è un porto pescatori nel quale è vietato l'ingresso alle imbarcazioni da diporto.
Bene!... Entreremo nel porto pescatori. Siamo in emergenza e non ci faremo scrupolo di entrare.
Margherita dice di non aver chiuso occhio. Semplicemente se ne stava in cuccetta aspettando l'alba. Verso le otto poi, si sveglia Marco. Le sue prime parole sono state: "Papà, ma quanto manca ad arrivare?" Benedetta gioventù. Praticamente non si è accorto di nulla. Tutti gli oblò, sotto la continua pressione delle onde che ci coprono continuamente, fanno acqua. L'unica cuccetta rimasta asciutta è la sua che si allunga a poppa dove non esistono oblò. Ma, in fondo lo capisco: è con mamma e papà che pensano a tutto. Lui è tranquillo.
Verso le dieci siamo di fronte all'ingresso del porto. Il mare si mantiene feroce, ma niente a vedere con quello della notte. Dopo aver scapolato il promontorio siamo entrati in una relativa protezione che ci fa gioco. Seppur legato, vado a prua e sistemo la linea d'ancoraggio lasciandola pronta a filare: potremmo averne bisogno in porto manovrando alla vela. Isso a prua un fiocchetto ingarrocciato. È piccolo ma mi serve per rendere la barca manovriera. Prendo una seconda mano di terzaroli e riporto il trasto di randa al centro. Adesso siamo pronti per entrare.
L'ARRIVO A ROSES
Per fortuna la direzione del vento ci consente di imbucare l'entrata senza stress. Anzi, direi che entriamo con una buona andatura che ci mantiene manovrieri e pronti ad approfittare di qualunque opportunità d'ormeggio. In circostanze normali, sentirei l'ansia di dover manovrare alla vela in questo posto. Ma la verità è che siamo euforici e ci sentiamo indistruttibili... O almeno... Diciamo che dopo averla scampata in mare aperto con quelle condizioni, non ci facciamo impressionare da un ingresso alla vela in un porto pescherecci dove è vietato entrare.
Una rapida occhiata in giro è più che sufficiente per capire come stanno le cose. In mare non c'è nessuno... Neanche i pescherecci che, infatti, sono tutti stipati in porto. Non c'è un buco. Occupano tutte le banchine messi all'inglese in due, tre o quattro file. Mi sembra chiaro, a questo punto, che un posto vale l'altro. Mi affiancherò ad uno di loro. Siccome sono veramente tanti, decido di rendermi facile la vita: mi affiancherò al peschereccio che si trova nella posizione migliore per rendere la manovra d'attracco alla vela rapida e sicura.
Neanche il tempo di affiancarci e siamo già ormeggiati. Dal peschereccio che abbiamo eletto a vicino di barca si protendono due paia di mani che agguantano le nostre cime dugliate già pronte a filare per l'occasione.
Uff!... È fatta. Siamo in Spagna.
Margherita comincia subito a rassettare la barca. Io mi metto a parlare con i pescatori che, nel frattempo, sono diventati cinque. Ci offrono subito il caffé... Lo hanno appena fatto. Le chiacchere sono le solite che si possono sentire in ogni porto.
"Chi siete?... Da dove venite?" - ci chiedono.
"Io mi chiamo Marcello, mia moglie si chiama Margherita. Siamo italiani" - rispondo.
È bellissimo. Loro parlano catalano e noi parliamo italiano: ci capiamo benissimo. Sono incapaci di accettare il fatto che fossimo fuori in mare con questo tempo.
"Ma siete matti!... Cosa vi è saltato in mente di uscire con questo tempo?... Fuori c'è forza nove... Non si muove nessuno. A che ora siete partiti stamattina?
Quando gli dico che siamo in mare da ieri e che veniamo da Tolone si avvicinano tutti increduli. Pensano di non aver capito bene. Quando alla fine realizzano quale sia la verità, uno di loro mi offre un cordiale e pretende pure che ingolli alcol alle dieci del mattino. Faccio presente che da noi è l'ora di un cappucino... Ma non c'è storia: prima versa un bicchierino per me, poi distribuisce lo stesso anche per loro e alla fine facciamo un brindisi di benvenuto tutti insieme.
Non mi dilungherò a dettagliare quel che accade. Nei giorni seguenti provvederò a riparare il motore da solo e recupererò il pilota automatico che si era messo in sciopero ben prima che le cose peggiorassero veramente. Metterò tutto in ordine con meticolosità prima di riprendere il mare.
Una sola cosa voglio dire. Un fatto che mi colpisce e che ricorderò per tutta la vita. I pescatori mi chiedono quali danni abbiamo subito e si offrono di darci una mano per quel che possono. Per una cosa però, da soli non possiamo fare niente. A prua rimane ben visibile la "voragine" del gavone dell'ancora completamente aperto (visto che il mare durante la notte ha divelto la sua copertura). Decidono allora di accompagnarmi al cantiere navale dove vengono costruiti ed allestiti tutti i pescherecci della zona. Mi presentano al proprietario e gli spiegano la nostra storia. Quest'uomo, di poche parole, prende un metro e mi chiede di portarlo a bordo del Tremar. Qui, in pochi minuti, misura quel che deve e se ne va dicendomi che mi avrebbe fatto sapere. Io non riesco a capire quali siano le sue intenzioni. Mi dice che ci risentiremo tra due giorni. Quel che penso è che voglia fare una stima del danno e voglia portarmi un preventivo.
La verità è che, due giorni dopo, mi porta e mi monta un pezzo già finito in teack massello così bello da non sembrare una riparazione. Anzi, devo dire che l'intera barca ne risulta impreziosita.
Sono stupefatto da tanta efficienza e da tanta maestria. Provo ad offrirgli qualcosa... Non so come ringraziare... Ma non ha tempo; deve andar via. Allora mi decido a chiedere il conto.
"Nulla" - mi dice - "non mi deve nulla. Piuttosto, se un giorno trovasse un catalano che ha bisogno di aiuto... Bene!... Allora si ricordi me."
P.S. GUASTI E RIPARAZIONI
Il racconto naturalmente si conclude senza illustrare i risultati sulla ricerca delle cause dei guasti subiti e delle riparazioni effettuate. Questi, pur essendo irrilevanti ai fini della storia in sé, sono tuttavia di grande interesse per il lettore-marinaio.
IL TREMAR IMBARCAVA ACQUA: CAUSE
Il gran colpo sentito durante la notte era da attribuirsi ad un'ondata che ha aperto e poi divelto lo sportello di chiusura del gavone delle ancore. Come conseguenza, l'acqua era libera di entrare violentemente all'interno durante ogni immersione della prua contro le onde che si susseguivano a ritmo costante.
In sede di costruzione, la paratia in vetroresina che separa la zona interna dal gavone era stata forata in due punti per permettere il passaggio dei cavi elettrici inguainati collegati alle luci di via. Questi fori sono di circa 15mm di diametro. In fabbrica, finito il lavoro, hanno otturato i buchi con stucco speciale a base di resina. Ovviamente, non si sono curati di ripulire e sgrassare con acido la superficie da stuccare. Come conseguenza, lo stucco non ha creato un corpo unico con la vetroresina. Piuttosto vi è rimasto incollato per decenni in virtù del fatto che in quel punto non si è mai registrata nessuna sollecitazione. È stata sufficiente la violenza dell'acqua per staccare i due “tappi”. In ogni immersione della prua, nella zona nascosta in cui si trovano questi fori, entravano due flussi d'acqua paragonabili a quello di una manichetta da giardino completamente aperta.
Imbarcavamo una gran quantità d'acqua anche quando entravo o uscivo dal tambucio. Per tutta la notte mi sono illuso di farcela... Ma l'acqua è entrata sempre quando aprivo e richiudevo per passare.
Entrava acqua anche dagli "oblò a tenuta stagna". Non hanno mai fatto passare acqua prima di quella notte e mai ne hanno fatto passare dopo in caso di pioggia. Ovviamente la causa è stata la pressione esercitata da un volume considerevole di acqua che premeva quando l'onda ci saltava addosso. Tuttavia, parliamo di gocce... Due o tre secchi d'acqua in tutto nell'intera notte.
PILOTA AUTOMATICO
Non sono riuscito a determinare la causa puntuale del guasto. Nel senso che non conosco in quale punto esatto questo si è verificato. So tuttavia che si è trattato di eccessiva umidità. Infatti, con calma a Roses, ho semplicemente smontato tutto e messo l'elettronica ad asciugare al sole; poi ho spruzzato del liquido speciale per togliere l'umidità dai circuiti elettrici ed ho rimontato il tutto. Il pilota automatico ha ripreso a funzionare perfettamente e nel corso della sua vita non ha più dato alcun segno di malfunzionamento neanche in caso di pioggia scrosciante.
IL MOTORE
Ho contattato ben tre meccanici perché riparassero il motore. Non dimentichiamo che, alla partenza da Genova, aveva 34 ore di moto: ovvero motore nuovo. Costoro, chi più chi meno, mi hanno dato segni chiari di disonestà. Due di loro parlavano di danni gravi per i quali era necessario sbarcare il motore e portarlo in officina. Ho quindi deciso di fare da solo.
Ho cominciato col controllare la linea di alimentazione. Qui mi sono accorto che il serbatoio del carburante era pieno di acqua di mare. Per capirlo, ho preso una pompa a mano, di quelle che servono nelle piccole barche fatte con un lungo tubo rigido lungo il quale si muove un pistone gommato. Ho immerso la pompa fino a pescare il fondo del serbatoio ed ho cominciato a pompare. Ho riempito quattro secchi di acqua di mare prima di vedere uscire del gasolio. A questo punto ho provveduto ad eliminare tutto il carburante e sostituirlo con gasolio nuovo. Ho spurgato e pulito tutti i filtri ed ho proceduto allo spurgo del circuito. Il motore BUKH da 18CV non è autospurgante; pertanto l'operazione andava fatta a mano. È partito al primo colpo.
Purtroppo l'euforia è durata poco. Dopo meno di un minuto di funzionamento il motore si è arrestato di nuovo. Tuttavia ormai la situazione era chiara. Avrei dovuto procedere allo spurgo più volte fino ad eliminare anche la più piccola traccia di acqua residua. Ho fatto lo spurgo tre volte a Roses prima di vedere il motore funzionare ininterrottamente bene per un'ora. Poi, quando siamo ripartiti, col movimento della barca, il motore si è fermato in mare altre due volte. Rifatto lo spurgo, è poi ripartito definitivamente senza più darmi problemi.
Ho scoperto da dove sia entrata tutta quell'acqua. Ogni serbatoio di carburante ha bisogno di un tubicino di sfiato. Il mio sbucava in pozzetto dopo aver fatto una "U" per evitare le infiltrazioni in caso di pioggia. Ogni volta che la coperta veniva invasa dal mare, per qualche secondo, lo sfiato restava sottacqua e la pressione induceva un fiotto d'acqua all'interno del serbatoio
IL COPERCHIO DEL GAVONE DELLE ANCORE
Come abbiamo visto nel corso del racconto, il cantiere navale di Roses ha provveduto a costruirne uno nuovo. Il lavoro è stato fatto a regola d'arte ed il materiale utilizzato è stato il legno di teak (molto apprezzato in mare e molto costoso).
La riparazione è risultata definitiva e persino migliorativa. Ho anche avuto parole di apprezzamento a proposito dal nuovo proprietario quando ho venduto il Tremar II.
LA VELA DI RANDA
Ha lavorato egregiamente con una sola mano di terzaroli sotto un vento sferzante stimato a 50 nodi di media. Ho controllato punto per punto tutte le cuciture: tutto a posto. Ho anche cercato punti che avessero subito un qualche logorio: nulla da segnalare. La vela non ha subito danni e si è mantenuta integra nel tempo fino alla vendita della barca ed oltre (verrò a sapere che ha resistito ad un uragano nelle Antille con a bordo i nuovi proprietari).
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