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La foto satellitare del tratto di mare chiamato "mare chiuso" ( a ridosso di Lefkada ).

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Cartolina di Natale 2018

Il viaggio è stato bellissimo ed il vento, mano a mano che aumentava, non faceva che aiutarci ad andare più veloci. Il moto ondoso creato dal vento, come lo stesso vento, erano entrambi a favore. Le cose sono cambiate una volta arrivati nei pressi della lingua di sabbia che occorre circumnavigare per entrare nella darsena antistante il ponte levatoio. Infatti, se esaminiamo la foto satellitare riportata qui sotto, si vedono bene i bassi fondali con acqua trasparente che si incontrano avvicinandosi a terra. Inoltre, nella foto è stata evidenziata, da una linea tratteggiata, la zona di bassi fondali non navigabile che si incontra verso costa entrando.

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Fine

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Spiccare il volo verso la libertà e la conoscenza fa di ogni vita una vita degna d'essere vissuta.

Kalamos e Kastos

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Navigation

* 1° itinerario 2010

* 2° itinerario 2010

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Nell'ultima web-page eravamo a "Galaxidi" e ci eravamo recati a visitare le rovine di Delfi. Ormai eravamo arrivati a  toccare la località più "lontana" del golfo di Corinto che avremmo voluto raggiungere in questo viaggio. Da quel momento in poi avremmo cominciato a ripercorrere all'indietro la rotta da noi seguita fino a quel punto. Naturalmente avevamo pensato da tempo che, nella strada del ritorno, avremmo toccato anche delle località che nel viaggio di andata avevamo appositamente "saltato". Così, partiti da Galaxidi, siamo ritornati a Trizonia dove ci aspettavano tutti gli amici che avevamo lasciato per andare a fare i turisti a Delfi. Siamo rimasti lì un po' di giorni ancora; poi siamo partiti per tornare indietro.

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Foto dai nostri itinerari

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La grande darsena a Mesolongi dove ci eravamo sistemati per una notte.

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Questa volta però viaggiavamo in compagnia. Gli amici Gianni e Tania che avevamo conosciuto a Galaxidi sul loro Comet 333, almeno per un po', facevano la nostra stessa rotta. La prima tappa fu Mesolongi. Questa volta però non siamo andati al cantiere... Pardon... al Marina. Gianni ha trovato un posticino in fondo alla banchina, noi ci siamo accontentati di stare in seconda fila (dove peraltro siamo stati benissimo). Qui a "Mesolongi" abbiamo avuto un incontro che voglio proprio raccontare.

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Eravamo andati a fare due passi all'interno dell'abitato e stavamo ritornando verso le barche... Quando abbiamo visto un "vecchietto" con un carrettino che vendeva meloni. Non ricordo chi per primo ha avuto l'idea, ma abbiamo deciso di acquistane un paio: uno per barca. Stavamo "palpando" i frutti con la speranza di saperne scegliere uno buono e maturo...Quando il vecchietto, con una pronuncia strana ed incerta, ci ha chiesto nella nostra lingua se fossimo italiani. Abbiamo allora cominciato parlare quasi scordandoci dei meloni che continuavamo intanto a tenere in mano… "Noi greci amiamo gli italiani" - ci diceva - " da noi esiste un detto che ormai fa parte della nostra lingua: greci e italiani, “una faccia una razza". Io avevo già sentito questa storia e non ne sono rimasto sorpreso. In effetti, tra le due popolazioni esistono delle grandi affinità, soprattutto con la nostra gente che abita al sud. Inoltre, basta soffermarsi un momento a pensare alla storia dei due popoli: inizialmente furono i greci a dominare il Mediterraneo e fondarono colonie in mezza Italia, dalla Puglia alla Sicilia e su fino a Napoli e dintorni. Non colonie da sfruttare, ma vere e proprie potenze dell'epoca (si pensi semplicemente alla Magna Grecia). Poi, le cose sono cambiate: sono stati i romani a creare un impero e dominare anche la Grecia... Ma consideravano i greci un popolo speciale; non esisteva famiglia patrizia a Roma che non avesse al seguito dei tutori greci per i loro figli, veri e propri insegnanti. Parlare anche greco, per i patrizi romani, era fondamentale per poter accedere allo studio dei loro testi che continuavano ad essere un riferimento assoluto. Che dire poi dei loro filosofi: la famosa frase "ipse dixit" è esistita solo riferendosi ad Aristotele, un greco i cui scritti rappresentavano la massima autorevolezza. Con tali trascorsi così interconnessi, non mi sorprende la frase "una razza, una faccia". Ma il vecchietto voleva dire di più. Ci ha raccontato che durante l'ultima guerra gli italiani avevano occupato la Grecia e loro erano sotto l'autorità dell'esercito di occupazione. "Ma, fin quando c'erano solo gli italiani…" - diceva - " non abbiamo mai avuto problemi. I problemi sono arrivati quando sono giunti anche i tedeschi".A questo punto il pover'uomo soffriva a ricordare: gli si leggeva in faccia che soffriva. Ci ha raccontato di alcune  cattiverie  subite dalla popolazione e da lui stesso che, per pudore, non voglio raccontare. Quel che però voglio ricordare è quel che ha detto dopo con le lacrime agli occhi: "alcuni di noi… io stesso, sono stato inseguito da una pattuglia tedesca… Scappavamo terrorizzati… Se ci avessero presi… Allora tutti cercavamo di raggiungere la caserma italiana... E picchiavamo coi pugni per farci aprire in tempo. Allora gli italiani aprivano e ci arrestavano; così quando i tedeschi immancabilmente arrivavano a reclamare la restituzione del fuggiasco, i vostri soldati facevano muro… Eravamo prigionieri degli italiani… Guai a toccarci… Poi, quando tutto si calmava, ci portavano nelle cucine e ci davano da mangiare gli spaghetti… Non c'era da mangiare all'epoca, avevamo fame."

Elaborazione di un'immagine di Google Maps                                                                                 (immagine satellitare 1)

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La rotta di ritorno del July: Mesolongi - Poros - Sant'Eufemia - Fiscardo -

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Da Mesolongi abbiamo fatto una piccola " traversata " che ci ha portato a Poros, nel Sud della costa Est di Cefalonia. Di Poros non c'è molto da dire, è poco più che un porticciolo e basta. Da qui, abbiamo preso il mare per fare una piccolissima tappa, siamo andati a vedere Sant'Eufemia (Agia Effimia)… Più o meno a metà della stessa costa.

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il July nel porticciolo di Sant'Eufemia nell'isola di Cefalonia.

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Anche Sant'Eufemia è un piccolo agglomerato di case estive con una parte del golfo naturale banchinato. Qui sapevamo già, prima di arrivarci, che avremmo dovuto pagare la sosta. Non una grande cifra: sedici euro acqua e luce compresa. La gestione del porto è affidata al comune ed esiste una ragazza con impiego stagionale che, in un apposito "gabbiotto", passa tutto il suo tempo. Appena arriva una barca, si fionda  a  prendere  le  cime e riscuotere il dovuto. Quattro passi per " sgranchire le gambe ", un'occhiata in giro… Un po' di pane fresco per la cena… E poco più. Abbiamo passato una sola notte a Sant'Eufemia… L'indomani Fiskardo (vedi immagine satellitare 1).

Elaborazione di un'immagine di Google Maps                                                                                 (immagine satellitare 2)

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La rotta di ritorno del July: Sivota Bay - Vathì - Kalamos - Kastos - Vathì - Nydri - Levkas -

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A Fiscardo, posto che amiamo particolarmente, siamo rimasti alcuni giorni. Poi, avendo deciso che fosse ormai tempo di andare, siamo partitit per Sìvota Bay. Era la seconda volta che entravamo in questa baia "superprotetta" e molto usata, soprattutto dalle flottiglie di charter. Poiché la prima volta c’eravamo trovati molto bene dando fondo appena entrati a sinistra, abbiamo deciso di andare ancora una volta in quella banchina. Ci sembrava un buon posto proprio perché era defilato rispetto alla zona centrale piena, appunto, di "charteristi" e di chiassosi localini per loro. Così, abbiamo dato fondo e abbiamo portato la poppa in banchina. Avevamo filato moltissima catena perché lì il fondale va subito giù a 15 metri (sono un po’ troppi per noi… e se non si sta attenti, poco più in là il fondo passa addirittura a 25 metri). Dato volta alle cime a terra, ho provato ad alare sull'ancora per l'ultimo controllo di routine. Inaspettatamente l'ancora invece si è messa ad arare fino a non opporre più alcuna resistenza. In questi casi, nonostante le vivaci proteste di Margherita, occorre ripetere completamente la manovra. Questo significa salpare, recuperare catena e ancora e ridare fondo una seconda volta... (rifare l’intera manovra come se rientrassimo in porto una seconda volta)… E così abbiamo fatto… Manovra impeccabile, come la prima d'altronde… Cime a terra e test finale: l'àncora ha deciso di cedere ancòra esattamente come prima. Terza manovra. Terza e più determinata protesta dell'equipaggio. Terzo fallimento. A questo punto, anch'io ho detto basta. Non ho mai saputo che tipo di fondo avessimo trovato, ma non era più importante: abbiamo deciso di andare semplicemente da un'altra parte (quando è troppo è troppo). Così, proprio nel bel mezzo dell'interminabile fila di "charteristi", ho visto un solo buco al centro. "Se ci stanno loro, ci starò anch'io" - dissi tra me e me - "vediamo se questa volta siamo più fortunati con le manovre". E questa volta tutto andò finalmente bene. Portate le cime a terra, ho provato ad alare sull'ancora con tutta la forza meccanica del salpa-ancore elettrico... Ma la catena, tesata a ferro, non si muoveva di un millimetro. Con nostra grande sorpresa, il caposquadriglia del charter, un biondo ragazzone inglese, è venuto personalmente a prenderci le cime (pensavamo che non gradisse la presenza di un estraneo in mezzo a loro, ma sbagliavamo). Così, una volta sistemata la barca in quattro e quattr'otto,ci siamo trovati a chiacchierare con lui per il solo piacere di fare conoscenza. Quando si sono fatte le sei di sera, il ragazzo a pensato che fosse tempo per preparare il "cocktail" per tutti... Naturalmente, intendeva "tutti i suoi". Abbiamo scoperto così come erano concepite e organizzate le "loro" vacanze Charter. Innanzitutto abbiamo notato che tutti gli equipaggi erano costituiti da inglesi: questo vuol dire che l'organizzazione (la compagnia di charter) ha base in Inghilterra (un po’ come succede per Caprera con noi italiani). La giornata tipo cominciava alle ore 10 con il "briefing". Dopo aver fatto colazione (full English breakfast) in un bel bar affacciato sul porto, si riunivano tutti in una sala dello (con tanto di "whiteboard) dove il "capoflottiglia" commentava la giornata precedente e dava tutte le informazioni e le disposizioni per la tappa di quel giorno. Poi, verso le undici, salpavano tutti insieme ordinatamente, nell'ordine inverso rispetto all'ordine di arrivo (questo accorgimento fa si che le ancore non si "prendano" tra loro rovinando la serenità di tutto il gruppo). A questo punto, appena fuori dal porto, si issavano le vele per passare la giornata in una sorta di regata-raduno: non c'era vera competizione… Solo il piacere di stare insieme a tanti "nuovi amici" che condividono la stessa passione. Poi, raggiunta nel pomeriggio la destinazione assegnata, cominciavano le manovre di attracco. Il capoflottiglia, con due aiutanti, precedeva il gruppo per organizzare e predisporre al meglio gli ormeggi dei partecipanti all’interno del porto di destinazione. Una volta arrivati, per gli equipaggi era predisposto l'uso di docce a terra presso un qualche locale " convenzionato "... ed alle sei di sera si partecipava al "cocktail". Bene !... E' proprio a questo punto che eravamo rimasti: il biondo "ragazzone" inglese si apprestava a preparare "lo shakerato intruglio inglese". Insomma, sappiamo tutti come si fa un cocktail: si predispongono i vari ingredienti nello "shaker" e poi si agita il tutto con sapiente maestria da "barman blasonato". Il problema però era che in questo caso occorreva servire non una o due persone, ma circa una trentina. Così, proprio davanti alla poppa del July (noi stavamo in pozzetto ormeggiati proprio al centro della flottiglia), il loro capo-intrattenitore ha piazzato un grosso tavolo, preso chissà dove, e ci ha messo sopra ordinatamente un bel barilotto (vuoto), una grande zuppiera piena di cubetti di ghiaccio, una fila di bottiglie di liquori diversi, qualche bottiglia di Schweppes e una grossa brocca di spremuta d'arancia fresca. Poi, con l'energia di un atleta, ha cominciato a "gettare" nel barilotto tutto quello che aveva davanti a se. Infine, "tappata" ermeticamente la botte, ha preso ad agitarla in aria con incredibile vigore. Poi, adagiato il preparato su di un apposito treppiede e messe in un sacco tutte le bottiglie vuote, in men che non si dica, ha sistemato sul tavolo una tovaglia. A questo punto (c'era da aspettarselo!), sono spuntati fuori i bicchieri che sono stati posti ordinatamente sul tavolo insieme a patatine, noccioline,ed ogni altro “intruglio” che potesse servire allo scopo. E’ stato così che il July ha potuto partecipare alla festa. La banchina si è subito " illuminata " di gente allegra e festante e la cosa è andata avanti fino all'ora di cena.

 

La mattina dopo abbiamo salpato anche noi seguendo, come loro, l'ordine d'arrivo inverso (proprio come se facessimo parte della flottiglia). Avevamo deciso di andare a scoprire le isole di Kalamos e Kastos (vedi immagine satellitare 2) ripassando da Porto Vathì nell'isola di Meganisi… E così abbiamo fatto. Abbiamo deciso di passare prima per Kalamos che ha il porticciolo sul lato opposto rispetto alla direzione del nostro arrivo. Così abbiamo aggirato l'isola da Est e ci siamo tenuti “alla larga" da alcuni fondali bassi che costituiscono pericolo per la navigazione su questa rotta.

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il July si appresta ad entrare nel porticciolo di Kalamos.

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Siamo arrivati in porto verso le undici del mattino dopo una navigazione senza vento e senza problemi. Abbiamo trovato due o tre posti liberi ed abbiamo ormeggiato nel più comodo: quello al centro della banchina. Abbiamo gettato l'ancora e ci siamo presentati poppa in banchina con le cime già pronte in mano per saltar giù e dare volta ai cavi con calma… Senza stress. Ma con nostra sorpresa, un gentilissimo signore si è avvicinato per prenderci le cime e rendere, se possibile, la manovra ancora più comoda: " Gimmie your lines Sir…"  - ci ha detto con gentilezza - "…I guess you prefer I make just one tour and you take back your line again". Naturalmente ormai si era abituato anche lui che noi "sfaticati" del mondo delle barche evitiamo di fare nodi sulle cime d'ormeggio. Le passiamo semplicemente in doppio intorno all'anello: niente nodi da fare, niente nodi da sciogliere e, quando si va via, si molla un capo e si recupera la cima a bordo dall'altra parte. Appena ci siamo sistemati ed abbiamo ringraziato per l'aiuto, il tizio ha ripreso: " My name’s Georgios", we have a "taverna" just at the harbor side… Over there, at the root of this breakwater. In case you need food, drinks and so on, you may find us always open night an day. Remind please that we also have a clothes washer... You know ?… Just in case of need..." - E così dicendo ci mostrava il cartello riprodotto nella foto sotto.

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il July ha ormeggiato proprio davanti questo cartello.

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"Radio banchina" ci aveva preventivamente informati circa l'esistenza di questo splendido personaggio. In genere, quando una persona si presenta per proporre i suoi servigi, risulta sempre, al minimo, un po' invadente. Ma Georgios no. Era solo gentile. Certo, voleva incrementare il suo lavoro; ma era sincero. Sapevamo che in caso di necessità si sarebbe fatto in quattro per aiutare. Non bisogna dimenticare che in quest'isola non c'era nulla. Avere un qualsiasi problema, in questi luoghi, è sempre un dramma. La presenza e la disponibilità di Georgios però, rende qualsiasi "grosso guaio a bordo" più facilmente superabile. Sa sempre a chi chiedere aiuto sulla terraferma ed ha il "vantaggio" di  parlare greco.

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il July ben ormeggiato nel bel mezzo della banchina.

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Siamo rimasti solo un giorno a Kalamos; ma siamo stati bene. Purtroppo non ci sono bei posti dove fare il bagno nei pressi del porticciolo. Siamo stati in una spiaggetta che da lontano sembrava molto carina. Quando ci siamo arrivati però, al posto della sabbia, abbiamo trovato fango. La sera, tanto per fare qualcosa, abbiamo deciso di mangiar fuori. Non una vera cena classica, piuttosto qualcosa di sfizioso ed inusuale. Abbiamo trovato un localino sul mare (di fronte al July, tanto per cambiare) dove abbiamo preso delle crepes al prosciutto con delle patatine niente male… La “nostra” birra Mythos, naturalmente, non poteva mancare a tavola.

immagine di Google Maps                       (immagine satellitare 2)

La mattina dopo, senza troppa fretta, siamo partiti per Kastos. Qui abbiamo subito trovato posto dietro al moletto, entrando a sinistra, dove i fondali sono sufficienti per una barca a vela come la nostra. Se si guarda la foto satellitare qui a fianco, si notano subito bassi fondali dappertutto. Sapevamo già prima di venirci, che Kastos è un posto più "sperduto" persino di Kalamos, ma ce ne avevano parlato come di un posto dov'è possibile passare qualche giorno a far nulla: pura vacanza mare e cielo. Mi avevano anche avvertito di ormeggiare lungo perché frequentemente di pomeriggio calano dalla collina potenti raffiche che spedano le ancore e mandano le barche inesorabilmente in banchina. Così, per dar fondo, ci siamo spinti quasi fino a terra dalla parte opposta del porto e siamo arrivati quasi a toccare con la chiglia pur di allungare al massimo. Per fortuna Il risultato di tanti sforzi ha pagato ed alla fine, ci è parso un risultato del tutto soddisfacente. 

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La foto che segue, un po' più in basso, mostra il July appena arrivato a Kastos e ben ormeggiato in banchina. Se si fa attenzione, la catena dell'ancora appare molto tesa (il che significa che l'ancora fa una buona presa sul fondo)… Si capirà più avanti perché mi sono dilungato a spiegare come avessimo dato fondo in modo perfetto. Siamo quindi subito scesi per un'ispezione generale del posto. Abbiamo fatto presto. Un lungomare con tre taverne che non ci convincevano, una piazzetta con quattro case intorno ed una stradina in salita che, dopo la prima fila di case, finiva subito in campagna… Ma che portava all'unico "prezioso" negozietto di alimentari che non esisteva fino a pochi giorni prima.

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il July ormeggiato con la catena ben tesa appena arrivati a Kastos.

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Sapevamo benissimo che questo posto è solitamente affollato e non abbiamo mai saputo quale fosse il motivo per il quale, quando siamo arrivati, nel porticciolo di Kastos vi avessimo trovato così tanto posto libero. Quei posti, in effetti, sono stati tutti presi poco dopo e sono rimasti occupati per tutto il tempo che abbiamo passato in quel porto. Siamo stati alcuni giorni a Kastos: giorni molto sereni e pieni di "vacanza" (dal latino "vacuum" = vuoto). Due passi ogni tanto… Per farci venire fame o per digerire, andare a fare la spesa o andare a fare il bagno. A proposito del bagno, avevamo scoperto una bella spiaggetta con acque limpidissime non molto distante dal porticciolo. Le due foto sotto sono state prese proprio nella " spiaggetta " di cui parliamo.

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il bagno alla "nostra" spiaggetta di Kastos.

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Come abbiamo visto, a Kastos i giorni passavano tranquilli. Ogni giorno qualche barca andava via ed ogni giorno qualche altra vi arrivava; ma nel complesso, in quei giorni, vi era una maggioranza "stanziale". Così cominciammo a fare amicizia. Ogni giorno, di pomeriggio, il vento rinfrescava fino a diventare teso e vi era sempre la barca di qualcuno che richiedeva un qualche intervento all'ancora (Le ancore aravano). Io aiutavo tutti… E non nascondevo a nessuno la soddisfazione per la linea di ancoraggio del July: "la catena dell'ancora era tesa come nessuna altra ed era un esempio per tutti". Un bel pomeriggio, il vento era montato come al solito ed io, come al solito, ero su una qualche barca ad aiutare per sistemare l'ancoraggio quando tutti in porto abbiamo sentito l'urlo angosciato di Margherita: "Marcello... Presto… Corri… L'ancora ha ceduto e la barca sta finendo in banchina". Mi sono immediatamente precipitato a bordo; l'ancora aveva evidentemente "mollato la presa" e la catena ormai era come se non ci fosse. Il vento aveva deciso di aumentare di colpo e,ogni tanto, le raffiche erano quasi violente.Ho subito preso un paio di parabordi e mi sono affrettato a proteggere la poppa in modo che non subisse danni sbattendo in banchina. E’stato un momento: in un attimo ho avuto attorno così tante persone venute per aiutare che la poppa del July non aveva posto per le mani di tutti. Ormai sapevo che la barca non rischiava più: tutti quei "compagni di porto" l'avrebbero tenuta. Uno disse: "Ho il gommone a mare… Se vuoi una mano… Andiamo insieme: io al motore e tu lavori" - "OK" - gli ho subito risposto -  "vado a prendere quel che mi serve, tu fatti trovare sotto la prua che ti passo le cose… Tanto qui gli amici riusciranno a tenere per tutto il tempo necessario"… Così ho preso una seconda ancora, uno spezzone di catena, una cima, un parabordo, la maschera subaquea… E le fidate pinne. Avrei dovuto lavorare in acqua con pesi rilevanti e le pinne si sarebbero rivelate indispensabili. Arrivati sul punto mi sono immerso per vedere quale fosse la situazione. Ho immediatamente trovato la mia ancora: aveva arato per quasi cinque metri ed ora giaceva semplicemente poggiata sul fondo… Senza mordere. Inoltre , la traccia lasciata mostrava chiaramente che, sotto qualche centimetro di sabbia, c'era una superficie "dura come la roccia": impossibile da scalfire. Ho quindi preso lo spezzone di catena e me lo sono portato giù per "ammanigliarlo" al diamante dell'ancora di posta. Poi, ho portato giù la seconda ancora: avevo preso un'ancora a marre piatte articolate di buon peso (che tengo a bordo per casi come questi). Stesa bene la catena, la ho ammanigliata a sua volta, infine l’ho fatta mordere "a mano"… Per quel poco che si riesce… Almeno. Avevo capito cosa fosse successo. Il porto era stato dragato. La parte superiore del fondo, quella nella quale le ancore riuscivano a mordere, era stata portata via. Ora rimaneva solamente una superficie durissima che non consentiva alle marre di penetrarvi.

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Galleria fotografica del nostro viaggio a Kàlamos e Kastos.

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Kastos è stato per noi uno degli "scali magici" dell' estate 2010. Vi abbiamo passato qualche giorno in totale relax beandoci… Così… Semplicemente… Di sentirci immersi in una natura bella ed incontaminata. Ma poi, tutto finisce ed anche questa volta è arrivato il momento di salutare i nuovi amici e partire. Abbiamo fatto tutto con molta calma e niente stress: per prima tappa abbiamo scelto di ritornare a "Porto Vathì" (isola di Meganisi) per la terza volta, il giorno dopo ci siamo recati a "Nydri" e, dopo una sola notte, siamo ripartiti per "Levkas". Il mare chiuso ormai lo avevamo lasciato alle spalle. Con l'arrivo a Levkas si è chiusa questa lunga pagina. Da Levkas saremmo poi andati a Prèveza… Ma questa sarà la prossima web-page.

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