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La foto satellitare del tratto di mare chiamato "mare chiuso" ( a ridosso di Lefkada ).
Cartolina di Natale 2018
Il viaggio è stato bellissimo ed il vento, mano a mano che aumentava, non faceva che aiutarci ad andare più veloci. Il moto ondoso creato dal vento, come lo stesso vento, erano entrambi a favore. Le cose sono cambiate una volta arrivati nei pressi della lingua di sabbia che occorre circumnavigare per entrare nella darsena antistante il ponte levatoio. Infatti, se esaminiamo la foto satellitare riportata qui sotto, si vedono bene i bassi fondali con acqua trasparente che si incontrano avvicinandosi a terra. Inoltre, nella foto è stata evidenziata, da una linea tratteggiata, la zona di bassi fondali non navigabile che si incontra verso costa entrando.
Fine
Spiccare il volo verso la libertà e la conoscenza fa di ogni vita una vita degna d'essere vissuta.
L'impresa
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1985, ho 36 anni e non posso certo dire d'essere un “uomo arrivato”. Sono piuttosto in quella fase di mezzo nella quale si guadagna abbastanza per fare la bella vita... Ma un cabinato, una barca a vela che sogno sin da quando ero piccolo, rimane per noi fuori portata.
Mi trovo a Roma per un viaggio di lavoro. Mancano 10 giorni a Pasqua e, come spesso accade da queste parti in questo periodo dell'anno, quando il sole è alto si vedono evidenti i segni di un'estate che avanza. Andarsene in giro in giacca e cravatta può diventare rapidamente una tortura. Uno stupido contrattempo mi fa saltare l'incontro previsto per oggi che viene rimandato al giorno successivo ed io mi trovo libero da ogni impegno. Che fare?... Decido di comprarmi qualche rivista nautica ed andarmene nella stanza d'albergo con l'aria condizionata a passare la fine della mattinata. Per il pranzo e per il pomeriggio deciderò più avanti.
Comodamente sprofondato in poltrona, mi metto a sfogliare la prima delle riviste nautiche sulla quale allungo le mani. Sono distratto e rilassato. Mi godo questa pausa inaspettata in un periodo di lavoro frenetico che spesso assorbe tutte le mie energie. In quest'epoca siamo ancora senza cellulari, senza fax e senza internet. Ho già fatto dalla "hall", prima di salire in camera, le due telefonate in azienda per controllare alcune cose che mi premono. Ho la coscienza a posto: adesso devo solo darmi al relax.
...Ed è così che, sfogliando distrattamente la rivista mi imbatto negli annunci. Uno solo di questi risveglia la mia attenzione: una piccola barca a vela è in vendita ed il prezzo è tutt'altro che irraggiungibile. È visitabile a Fiumara Grande, sul delta del Tevere a pochi passi da Roma. Conosco bene il posto per esserci andato con mio zio Enrico che tiene proprio lì, in un cantiere, la sua bella barca di nome Pallina.
Sono tre le cose che mi colpiscono nell'annuncio: il prezzo (l'abbiamo visto), il fatto che sia un Amel ed il fatto che abbia un wc marino (non un gabinetto chimico da roulotte).
Nell'annuncio si chiede di telefonare in orario d'ufficio per informazioni e/o per concordare una visita a bordo. Sollevo la cornetta e compongo il numero: mi rispondono subito.
"Buongiorno" - dico - "telefono per quell'annuncio. Sono interessato a vedere la barca... Sono a Roma per lavoro ed ho solo oggi come giorno libero... Possiamo far qualcosa?"
"Mi chiamo Andrea" - mi risponde - "Al momento sono in ufficio, ma posso liberarmi. Sono venuto a lavorare in moto... Se non si formalizza, in moto arriveremmo molto prima. Potrei passare a prenderla in hotel tra un'ora ed andiamo insieme a vedere la barca... Che ne pensa?"
Accolgo l'idea con entusiasmo. Questo incontro non sarà frutto di un'azione ponderata. So benissimo che comprare una barca cabinata non è nel mio orizzonte. Sono solo molto contento d'aver trasformato una noiosa giornata d'attesa in qualcosa di diverso: una gita al mare piena di fascino e di curiosità.
Come da accordi, Andrea si presenta puntuale a bordo di uno scooter e, dopo veloci formalità, entrambi lo inforchiamo e ci buttiamo nel traffico cittadino che a quest'ora non scherza. Certo... Ho proprio l'opportunità di vedere quanta differenza vi sia tra la moto e l'automobile per spostarsi in queste condizioni. Mi sembra di metterci un attimo a sgusciare dal traffico: lasciamo a destra la Piramide Cestia, a Porta San Paolo, e prendiamo la via Ostiense per poi imboccare la Via del Mare.
Subito dopo Ostia Antica, pieghiamo a destra e ci troviamo a prendere una stradina che costeggia la riva Nord di uno dei rami del delta del Tevere: siamo a Fiumara Grande. Sono sorpreso dal numero di barche che ci circondano. Conosco bene Roma, ma non avrei mai immaginato niente di simile. A prima vista, almeno per chi viene da Milano, sembra tutto abusivo. È una giungla. La stradina è asfaltata... Si fa per dire... Ci sono buche e parti sterrate dappertutto. Quelli che chiamano cantieri, sono dei recinti costruiti con grossolani pali di legno e rete metallica e, da qualche parte, in una baracca improvvisata con mezzi di fortuna, si trovano "gli uffici". Questi cantieri si susseguono uno dopo l'altro e finalmente arriviamo nel nostro.
Parcheggiamo la moto a pochi metri dalla meta: Andrea mi mostra la barca che è ormeggiata in seconda fila. Sono sconcertato. Le rive del Tevere sono orlate da un tavolato grossolano alquanto sgangherato sul quale dobbiamo passare. Questo tavolato funge da banchina e vi si ormeggiano quattro file di barche messe all'inglese. Mediamente le barche sono tutte sporche perché evidentemente vi cadono delle foglie e i camion che passano sulla strada alzano nuvole di polvere che si deposita dappertutto... La pesante umidità della notte fa il resto.
Saliamo a bordo e Andrea apre con le chiavi il tambucio. La barca è un Supermistral costruito da Amel (m7,06 fuori tutto).
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Spaccato illustrativo del Supermistral (materiale reperito sul web)
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Accade a sorpresa, senza alcun preavviso. Quell'amore viscerale per il mare vissuto a bordo di una barca a vela che era ovviamente rimasto sopito per tanti anni esplode all'improvviso. Capisco in un attimo che con quella barca potrei avventurarmi in viaggi d'altura perché si tratta di un'imbarcazione costruita esattamente per lo scopo. Non conosco Amel, il costruttore; solo negli anni successivi saprò che le sue barche diventeranno le più famose al mondo per coloro che intendono farne il giro. Ma mi accorgo all'istante che non si tratta di un “normale barchino” per andare a fare il bagno davanti al porto.
Non abbiamo molto tempo. Andrea dovrà tornare al lavoro e mi dovrà riaccompagnare in città. Io ho una voglia irresistibile di fare una pazzia, ma mi impongo di pazientare.
“Andrea” - gli dico - “Sto pensando seriamente di acquistarla... Prendo la barca ma non il motore fuoribordo... Dovrai vendertelo separatamente. Ti faccio una proposta: sabato e domenica rimango a Roma e faccio venire mia moglie da Milano. Tu mi dai le chiavi della barca e mi ci lasci stare per due giorni. Non ti dico che non toccherò niente... Al contrario... Ti dico che svuoterò ogni gavone e passerò al setaccio la barca centimetro per centimetro. Ma, se mia moglie sarà d'accordo e se non troverò problemi a bordo, ti dico che comprerò la barca. Domenica sera scioglierò la riserva.”
"OK Marcello" - mi risponde senza tentennamenti Andrea - "Questa barca è "sana" in ogni sua parte. La vendo con la morte nel cuore... Ma mi sto separando e devo proprio farlo. Tieniti pure le chiavi e fai quel che vuoi... Per quanto mi riguarda ci vediamo qui domenica prossima alle quattro del pomeriggio."
Mi riaccompagna in albergo poco dopo l'una e decido di pranzare in hotel... Ma non resisto... Subito dopo pranzo, scendo in garage a prendere l'auto e torno in barca. Ho le chiavi ed Andrea mi ha detto di fare ciò che voglio. Comincio a controllare tutto. Voglio avere le idee chiare prima che arrivi Margherita. Nei gavoni e nei cassetti trovo di tutto e quel che è a bordo viene venduto con la barca. Trovo persino una radio CB (Citizen Band 27MHz).
La sera dall'albergo chiamo Margherita e le annuncio che ho comprato una barca. La colgo proprio di sorpresa: questa non se la aspettava. È giovedì sera ed ho organizzato tutto per sabato pomeriggio. Lei uscirà dalla scuola (...è una professoressa) verso l'una e prenderà un taxi direttamente da lì. Pochi minuti per andare all'aeroporto e l'aereo la sbarcherà a Fiumicino, proprio dove serve. Io sarò lì a prenderla in macchina.
Lascio l'albergo venerdì mattina. Dormirò in barca... Tanto se ne rimanessi lontano passerei la notte insonne. Ne approfitto per pulire tutto a fondo... Voglio che piaccia a Margherita... Inoltre, nella notte di sabato, dormirà a bordo anche lei.
Così, già perso coi miei pensieri che rincorrono questa novità, sabato pomeriggio vado a prendere Margherita all'aeroporto di Fiumicino ed in un attimo siamo in barca. Appena salita già si muove con naturalezza. Non vedo tentennamenti e non sento domande "strane" che, al contrario, mi sarei aspettato. La vedo controllare tutto quel che le interessa: buon segno. All'ora di cena andiamo a festeggiare in un ristorantino a terra e poi, lanciati entrambi nella nuova avventura, andiamo a consumare un drink nel pozzetto prima di andare a dormire. Per lei è la prima notte a bordo... Per me è la seconda. Ci metto un po' prima di addormentarmi... Mi sembra un sogno. Quanto a lungo ho immaginato questo momento ed è arrivato così "a sorpresa" che ancora non me ne rendo conto. Fisso nel buio quel po' che si riesce a vedere in cuccetta... Ascolto ogni rumore cercando di identificarlo. So che la prossima estate la passeremo in mare... E so anche che andremo alle isole Eolie.
Forse a questo punto va citato un antefatto. L'anno prima, durante la nostra vacanza in Sicilia, è venuto a trovarci in barca il più caro di miei zii. Ci ha fatto imbarcare e ci ha portato a Lipari dove abbiamo passato due o tre giorni. Non so cosa avrei dato per essere alle Eolie con una barca mia.
Quindi è deciso: costi quel che costi andremo alle Eolie alla vela pura. Faremo andata, visita di tutte le isole e ritorno. Faremo tutto a vela... Ma... Ho bisogno di un piccolo motore almeno per manovrare nei porti dov'è proibito veleggiare. Ho deciso che prenderò il vecchio Seagull di mio padre: è insufficiente per questa barca e non utile per la navigazione, ma lo userò per le manovre in porto.
Quando, alle quattro del pomeriggio della Domenica Delle Palme, Andrea arriva, capisce subito che è ormai un ospite sulla sua barca. Una stretta di mano, un brindisi e la cosa è fatta.
“Ricordati Marcello” - mi dice - “Come ti ripeto, anche se piccola, questa barca supera le 3 tonnellate di stazza lorda, è immatricolata per la navigazione fino a 20 miglia dalla costa e il comandante deve avere la patente nautica. Se “ti pescano” senza patente sono veramente problemi grossi”.
“Ho capito Andrea... Ho capito” - rispondo - “Ma io sono già abbastanza esperto. La cosa non mi preoccupa”.
Comincia così un periodo di week-end passati a Fiumicino nel corso dei quali metto a punto la barca in vista del grande viaggio.
LA PATENTE NAUTICA
Nel frattempo, subito dopo Pasqua, decido di affrontare il “problema patente”. So bene che si tratta solo di una formalità. Vado in barca a vela sin da quando ero bambino e la mia passione per il mare mi ha portato a studiare e ristudiare quelli che vengono considerati i testi sacri della “marineria a vela da diporto”. Mi sento ultra preparato.
Così, mi viene in mente un'autoscuola piuttosto grande a Milano che ha destinato la metà dei propri locali alla “scuola nautica”. In un certo periodo passavo regolarmente da quelle parti verso le sei di sera e vedevo con curiosità ed interesse le persone sedute a seguire i corsi. Decido di andare a vedere se è ancora operativa... Speriamo.
Così, un venerdì, verso le cinque e mezza, mi presento: "Sono Marcello". "Sono Salvatore" - mi risponde il titolare - "Dimmi pure"...
"Vado in barca sin da quando ero ragazzo ed ho accumulato un'esperienza veramente significativa. Credo di essere in grado di superare l'esame e prendere la patente. D'altra parte, ho appena comprato una barca e la patente mi serve il prima possibile. Quando è fissato il primo esame? Vorrei approfittarne subito."
Salvatore mi guarda perplesso. Ha proprio l'aspetto del marinaio. La sua pronuncia napoletana, se possibile, accentua questa impressione. Veste con un maglione blu a collo alto ed ha in testa un cappello da capitano. Che personaggio!
Parliamo un po' e si dichiara subito disposto a portarmi alla capitaneria di porto di Genova già martedì prossimo per la sessione di esami prevista. Ha degli ottimi rapporti con loro e dovrebbe poter inserire il mio nome anche se in ritardo.
"Vieni Marcello" - mi dice - "Andiamo di là sul tavolo da carteggio. Ti faccio subito una specie di esame e, se sei pronto, non vedo perché non dovremmo inserirti nella lista degli esaminandi sin da subito".
Sono contentissimo. La "faccenda" si fa persino più semplice di quanto pensassi... Una pura formalità.
"Eccoti la matita..." - mi dice - "Le squadrette ed il compasso... Tracciami una rotta da Marina di campo a Giglio Porto". Eseguo senza esitazioni. In verità tutta la mia esperienza, per massima parte, è "praticaccia" spesa su piccole barche in mare. Ho imparato anche molta teoria sul carteggio e quant'altro, ma quel che conosco solo per averlo studiato non mi viene naturale allo stesso modo. Comunque non ho problemi.
Poi però Salvatore comincia con le domande che non avevo assolutamente previsto: "cosa significa se di notte incontri una nave che mostra sull'albero due luci rosse sovrapposte?... - Come è fatto un segnale cardinale Est?... - E quello Nord, Sud ed Ovest?... - Una barca abilitata alla navigazione entro le 6 miglia dalla costa quanti salvagente deve avere a bordo?...
Insomma, non ha senso che io mi dilunghi. È chiaro che sono "andato a sbattere" clamorosamente. Mi vergogno come un cane. Ma come ho fatto a non pensarci?... Presunzione a parte, io in mare mi sento completamente a mio agio ovunque, o perlomeno, ovunque io sia stato finora (ed ho passato tanto tempo in tutte le possibili condizioni nelle quali mi sono trovato). Posso avere paura o no, ma so sempre cosa fare... Fintanto almeno che si può fare qualcosa. Ma navigare vuol dire anche altro... Vuol dire conoscere tutte le normative che regolano la navigazione d'altura. Molte di queste le conosco per averle sentite, ma conoscerle veramente è un'altra cosa.
Salvatore assume un tono paternalistico: "Marcello, vedi bene anche tu che non ha senso andare a fare l'esame in queste condizioni. Piuttosto ti darei un suggerimento... Lunedì alle 18h:00' vieni al corso... È già cominciato da due settimane (ci si trova il lunedì, il mercoledì ed il venerdì). Quando finisce sarai sicuramente pronto".
Non posso che acconsentire. Mogio, mogio lo seguo fino al bancone, faccio l'iscrizione formale e pago il dovuto: "D'accordo Salvatore, ci vediamo lunedì sera".
Lui mi da le ricevute ed il materiale per il corso. Mi trovo per le mani una coppia di squadrette, una gomma, una matita, un compasso da carteggio ed una carta nautica non valida per la navigazione per potermi esercitare... Tutti "omaggi" che ho appena pagato profumatamente.
Mentre sto per andare, apre uno stipetto dietro di lui e tira fuori un libro: "Aspetta" - mi dice - "Non dimenticare la cosa più importante... Il libro per il corso. Quando saprai tutto quello che c'è qui dentro, allora sarai preparato".
Mentre guido verso casa, mi sento stordito dalla figuraccia che ho fatto. Ma come ho potuto essere così stupido? Prendere la patente non è per niente una banalità. Farò un vero bagno di umiltà... Andrò al corso e mi metterò a studiare con modestia e meticolosità. Così arrivo a casa rimuginando questi pensieri. Non ne parlo con mia moglie... Non ne ho voglia... Devo ancora metabolizzare la cosa. Dopo cena, mi seggo in poltrona ed apro il libro che mi ha dato Salvatore. Lo leggo agevolmente e non faccio fatica a memorizzare quel che dice. Mi rendo conto di avere un bel vantaggio sulle persone "digiune di mare" che devono imparare quel che c'è scritto: io capisco al volo quel che dice, conosco le varie situazioni che vengono descritte ed i termini nautici mi sono familiari. Mi rendo conto che avanzo velocemente e memorizzo tutto.
Questa notte non ho voglia di dormire. Sono arrabbiato, deluso, soprattutto di me stesso. Divoro il libro ed a mezzanotte finisco di leggerlo tutto una prima volta. Dormirò pochissimo, ma in compenso la mattina successiva, il sabato mattina, so esattamente cosa farò: prima dell'orario di apertura alle 8h:30', mi faccio trovare davanti alla scuola nautica e quando arriva Salvatore lo intercetto subito. "Voglio un altro esame" - gli dico - "Questa volta ho studiato e per martedì c'è ancora tempo".
È scettico e mentre apre il "negozio" continua ad esprimere tutti i suoi dubbi. Ma è ancora presto, non c'è nessuno e dopo un po' si arrende. Sono sicuro che sta pensando che mi rimanderà a casa in pochi minuti. Ma non sarà così. Se tutto il problema è imparare quel che c'è scritto in "quel libro"... Ebbene, io ormai lo so. Mi prendo la rivincita... E con gli interessi per di più.
Salvatore non sa che dire. È stato proprio preso in contropiede. Ieri io ho sottovalutato l'esame, oggi lui ha sottovalutato la mia possibilità di reazione. È sabato, ma lui riesce a parlare con qualcuno che conosce a Genova in capitaneria: sono iscritto per l'esame di martedì prossimo. Per parte mia, non rifarò lo stesso errore. Continuerò a studiare fino all'ultimo per arrivare con la coscienza a posto.
Lunedì Salvatore mi telefona: "Ciao Marcello, ho bisogno di un favore. Ho un cliente molto importante, un giovane industriale. Lui non è come te, ha bisogno di un aiutino. Vorrei che tu lo sostenessi all'esame... Ti dirò quel che dovresti fare quando saremo in viaggio per Genova. Gli esaminandi andranno ciascuno per conto proprio, ma io e te andremo in macchina con lui... Se sei d'accordo."
Al mattino, il giorno dell'esame, ci troviamo davanti alla scuola nautica. Le presentazioni sono informali: ci si da tutti del tu. Saliamo su una lussuosa Audi 6 e partiamo poco dopo le sette del mattino. Salvatore mi spiega quel che dovrei fare... Veramente non mi è chiaro. L'unica cosa che mi sembra di capire è che nella prova pratica in acqua dovrei approfittare del tempo di attesa, quando ancora stiamo aspettando l'esaminatore, per spiegargli tutte le manovre alle quali accenna. Non c'è altro.
Così arriviamo a Genova e parcheggiamo l'auto proprio vicino alla capitaneria dove faremo l'esame. Non c'è che dire... Salvatore conosce il posto. Ci accorgiamo presto che in capitaneria conosce tutti. Grandi saluti a destra ed a sinistra in attesa che arrivino i graduati che dovranno fare gli esami. Quando arrivano, aprono la sala destinata a noi ed entrano tutti chiudendosi la porta alle spalle. Mi sembra di capire che lì dentro Salvatore dia loro alcune informazioni aggiuntive su ciascuno di noi: un po' come il membro interno, nell'esame di maturità, illustra ai colleghi della commissione le doti ed i limiti di ciascun esaminando. Quando si riapre la porta, con mia grande sorpresa, vengo chiamato per primo.
Mi aspettavo che si procedesse con tre esaminandi alla volta, ma mi fanno sedere e si dedicano tutti a me. All'inizio si fa del carteggio... Per fortuna ho fatto esercizio per tutte le giornate di domenica e lunedì. Mi muovo in scioltezza e, dopo un po', la discussione prende una piega inaspettata. Io dò sfogo a tutta la mia passione nel rispondere alle domande e l'atmosfera cambia. Non sembrano esaminatori che facciano le loro domande attendendo poi una risposta da valutare, siamo piuttosto un gruppo di appassionati che discutono sui vari argomenti facendo a gara a chi ha l'idea migliore sul da farsi in casi eccezionali o d'emergenza. Sono professionisti del mare ma evidentemente sono anche appassionati: quando scendono dalle loro grandi navi con equipaggio e prendono una barca da diporto... Allora siamo tutti uguali... Ciascuno, con le proprie conoscenze, è solo ad affrontare il mare. È questo che succede, ci si confronta.
Parlavano di una mezzoretta, ma il mio esame dura più di un'ora. Comunque si chiude con calorose strette di mano: mi comunicano che la prova orale è andata bene e posso andare sulla barca che in porto ci attende per la prova in mare.
Salvatore mi fa i complimenti e mi ripete le istruzioni che mi ha dato in macchina. Mentre mi avvio verso la barca con il compito di aspettare che mano a mano arrivino i promossi alla prova orale, vedo gli altri esaminandi entrare in gruppo. Che strano!... Io sono entrato da solo e loro in gruppo. Arrivato in barca sono da solo e mi metto a rimuginare. Non lo saprò mai, ma ho la sensazione che Salvatore li abbia avvertiti: abbiamo a che fare con un sapientino, forse sarebbe utile interrogarlo da solo... Gli altri non sono come lui... Non ci va d'esser giudicati... Lo"facciamo" per primo e ce lo togliamo dai piedi.
Bah!... Chissà come stanno le cose?... Nel frattempo io ho ancora da superare la prova in mare. Sono però tranquillo... Molto tranquillo. La parte pratica per me è quella facile.
Dopo un po', cominciano ad arrivare i miei compagni e quando arriva quello che sto aspettando non perdo tempo e comincio ad insegnargli le manovre così come mi ha chiesto Salvatore. Ormai siamo già molti... Ho saputo che non tutti sono passati all'orale. Io sono così impegnato a fare quel che ho promesso che vado avanti come un treno per finire il "compitino" prima che arrivi il comandante. Mi aspetto un graduato in divisa e mostro segni di impazienza per il tempo che passa nell'attesa. Ad un certo punto sale un signore che dice di essere il padrone della barca. Personalmente non ci faccio caso e continuo ad aspettare il comandante che tarda ad arrivare. Sono ancora impegnato a spiegare le ultime manovre e l'ultimo arrivato, l'armatore, si intromette per dire la sua. La cosa mi infastidisce. Oltretutto non è vero quel che dice; o perlomeno non è sempre vero. Mi sembra superficiale e presuntuoso. Faccio di tutto per ignoralo, ma lui continua a dire la sua. Io mi spazientisco e lo tratto sempre peggio; anzi, gli dico apertamente che non sono d'accordo con i sacri testi che indicano quella tal manovra in risposta ad un certo caso. La verità è che non è così semplice... Non è sempre così. Infatti a me è capitato un caso in cui ho fatto meglio a comportarmi diversamente. La cosa sembra funzionare... L'ultimo arrivato non sa più cosa dire. Speriamo che adesso stia un po' zitto.
Per riprendere il discorso, cerco una frase che faccia uno stacco: "ma quando cavolo arriva il comandante che ci deve fare l'esame per la prova in mare?" - chiedo ad alta voce - "Sono io" - mi risponde l'armatore - "Sono io l'esaminatore."
Ops!... Questa volta l'ho fatta grossa. Non so proprio come uscirne.
Provo impacciato a riprendere il discorso dicendo che in fondo aveva ragione lui... La sua teoria è destinata ai neofiti, quindi era volutamente semplificata all'essenziale... Insomma... Mi arrampico sugli specchi.
Per fortuna però l'armatore, che ha i suoi anni, mostra benevolenza verso questo giovane "esaltato" e la tensione si scioglie subito quando, mollati gli ormeggi, prendiamo il largo.
Devo dire che la prova in mare si dimostra più semplice di quanto mi aspettassi. Praticamente tutti quelli ammessi, ovvero tutti quelli che hanno passato l'esame teorico, hanno avuto la tanto sospirata patente nautica. Anche il mio nuovo amico imprenditore che è raggiante di felicità. Così, mentre ciascuno si disperde per tornare a casa coi propri mezzi, io e lui andiamo a cercare Salvatore perso tra i corridoi e gli uffici della capitaneria. Quando finalmente lo incontriamo, la nostra voglia di festeggiare ha la meglio: "Ho un'idea" - dice l'imprenditore - "La mia barca si trova a Lavagna. Propongo di uscire in mare e, per festeggiare, di andare a Sestri Levante dove sarete miei ospiti per la cena in un bel ristorante che frequento d'estate".
È un attimo. Recuperata la macchina, prendiamo l'autostrada e in poco tempo siamo sul pontile del marina ad ammirare la poppa di un quattordici metri di lusso con due alberi. Di barche belle ne ho viste, ma questa è proprio esagerata. Ha il ponte flash-deck con una cabina piuttosto spostata verso poppa la cui tuga è attraversata dall'albero di mezzana. Una bella ruota del timone fa mostra di sè addossata alla parete poppiera della cabina. Per la legge non si tratta di una barca a vela, si tratta di un motorsailer perché ha due potenti motori che rendono il rapporto tra la loro potenza e la superficie del piano velico incompatibile con le barche a vela col solo motore ausiliario.
Salvatore, che si sente ancora "addosso" la parte dell'istruttore, detta i ruoli: "Marcello sarà il nostro comandante. Io starò al timone e l'ultimo rimasto farà il marinaio... È quello che più di tutti ha vantaggio nell'imparar qualcosa."
Tutti d'accordo, usciamo in mare.
Tiriamo fuori le vele... Ma il vento è poco. Questa "bestia" avrebbe bisogno di una burrasca per muoversi solo a vela. Comunque a bordo il morale è altissimo. Le battute si ripetono a ritmo incalzante ed il tempo passa in allegria. Così, verso le sei di sera siamo davanti al porticciolo di Sestri Levante e ci prepariamo ad attraccare. Io distribuisco i compiti con cura... Starò personalmente a prua per manovrare l'ancora, Salvatore dovrà portare la barca poppa in banchina con i motori rigorosamente al minimo e l'armatore avrà il compito di calare la passerella e scendere a terra per passare una cima intorno alla bitta sul molo.
"Stai attento" - gli dico - "Per calare la passerella aspetterai d'essere con la sua parte più sporgente già sopra la massicciata. La barca sarà molto stabile perché darò ancora lungo e ci troveremo praticamente fermi con i motori indietro al minimo e la catena dell'ancora tesa. Sarò io da prua a guidare l'accosto mano a mano che mollerò catena. Tu avrai tutto il tempo per abbassare la passerella quanto basta e per assicurare la drizza alla galloccia prima di scendere con la cima d'ormeggio in mano... Tutto chiaro?... Hai visto come dare volta intorno alla galloccia?... Come ti ho fatto vedere stamattina."
Tutto fila liscio. Per prudenza, come avevo annunciato, calo l'ancora molto lontano dal molo. Quando, alla distanza opportuna, decido di stoppare la catena questa si tende a ferro dandomi certezza sul fatto che ha agguantato. Da questo momento in poi, Salvatore dovrà tenere macchine indietro per rinculare fino alla banchina, ma sarò io, mollando catena, a determinare il movimento della barca.
Quando la poppa si trova a circa tre metri dal molo mi fermo. La catena rimane tesa e la barca smette di indietreggiare. Avremo tutto il tempo necessario per abbassare la passerella e per mettere a segno la cima d'ormeggio di sinistra, quella sopravvento.
Do l'ordine di abbassare la passerella e scendere a terra. Tutto si svolge secondo i piani. Messa a segno la passerella, il mio amico prende in mano la cima ben dugliata da assicurare a terra e si porta, come da istruzioni, in punta alla passerella pronto per scendere. Io devo solo mollare catena quel tanto che basta per concludere la manovra.
Ma mentre comincio a calare vedo la passerella abbassarsi prima lentamente... Poi sempre più velocemente e vedo il nostro "marinaio" finire in mare con grande dignità... Non un grido... Non una mossa scomposta... Semplicemente sparisce in acqua in silenzio.
Accidenti!... Forse abbiamo sbagliato ad assegnargli il ruolo del marinaio... Avremmo dovuto fargli fare il passeggero. Sicuramente non ha bloccato la drizza della passerella sulla galloccia... Ma il peggio deve ancora venire.
Salvatore, appena lo vede cadere, viene preso dal panico. Invece di mettere immediatamente i motori in folle (quel che si deve fare con un uomo in mare), mette avanti tutta per spostare la barca dalla banchina. Risultato: due potenti getti portano il nostro amico in acqua a "spiaccicarsi" violentemente contro la banchina impedendogli di muoversi, almeno per quel paio di secondi durante la spinta.
Non ci posso credere!... Salvatore... Il nostro istruttore fa un errore di base come questo. Corro immediatamente a recuperare il nostro amico che, per fortuna sale con le sue gambe dalla scaletta da bagno che fa dormiente in una sorta di plancetta di poppa di cui la barca è dotata. È tutto dolorante per il colpo, ma non ha niente di rotto. Lo aiutiamo mentre si toglie i vestiti bagnati. Per fortuna siamo a bordo della sua barca dove ha il cambio a disposizione.
Ma i danni non finiscono qui. Il nostro amico è tagliuzzato da tutte le parti... Sono piccoli taglietti causati dalle cozze di cui le pareti verticali del molo sono piene.
Mentre Salvatore lo assiste sottocoperta, finisco da solo la manovra di attracco... Ma ormai la festa è finita. Il nostro amico dice, forse esagerando, che è tutto dolorante come se fosse caduto dal secondo piano. Non se la sente più di festeggiare e torniamo indietro un po' dispiaciuti... Ma pur sempre con la patente in tasca. Le Eolie sono sempre più vicine.
LA PARTENZA
Passiamo i mesi che ci separano dalla partenza in preparativi. D'altra parte non potrebbe che essere così. Una delle prime cose da fare è quella di portare il vecchio Seagull a bordo per installarlo e provarlo. Non perdiamo occasione per portare la barca in mare e controllare che tutto funzioni.
Sul Kikka (poi ribattezzato Tremar) in uscita da Fiumara Grande.
- indietro -
Poi finalmente arriva il giorno che non arrivava mai: domani si parte. Siamo arrivati in barca con l'automobile e siamo al gran completo: marito, moglie, figlio e gatto. Ho modellato un foglio di gommapiuma che opportunamente sagomato si incastra perfettamente sopra il mobiletto di dritta. Ho fatto una specie di cuccia con vista mare per il micio (ci passerà giornate intere in navigazione).
Mi sono preso cinque settimane di ferie... Non saranno troppe.
Alla sera, il gatto che ormai conosce la barca per esserci stato in tutti i week-end precedenti non si trova più a bordo: non lo aveva mai fatto. Tutta la famiglia, opportunamente sguinzagliata, partecipa alla ricerca. È buio e disperiamo di trovarlo. Poi, per fortuna, Margherita lo vede rannicchiato e spaventato nel pozzetto di una piccola barca a vela. È una barchetta senza lo specchio di poppa: è da qui che deve essere salito dopo essere finito in acqua. Eravamo molto preoccupati... L'indomani si deve partire e sarebbe stato un problema. È tutto bagnato: anche questo è un problema serio. I gatti sono delicati e se si prendono qualche malattia all'apparato respiratorio possono persino morirne. Lo portiamo in barca... Abbiamo il phon... Così, mentre io lo tengo saldamente per le zampe, Margherita lo asciuga come si deve. La povera bestiola è terrorizzata dal phon, ma noi dobbiamo asciugarlo e riscaldarlo per benino. Dopo questo trattamento, sono sicuro che non si butterà mai più in acqua.
Tutto è bene quel che finisce bene. Domani mattina, alle prime luci del giorno, partiremo per la nostra prima tappa: andremo ad Anzio che dista circa 25 miglia. Sarà una distanza da percorrere tutta a vela... Vedremo.
Dovremo "prendere le misure" al Kikka prima di capire quale rendimento ci si possa aspettare. Domani, domani... Domani vedremo.
Così, alle prime luci del giorno, cominciamo le operazioni per salpare. Non è semplice sfilarsi dalla nostra posizione: siamo la seconda barca in una fila di quattro. Ieri sera ho fatto e messo la miscela al fuoribordo; è proprio un motore inglese... Va a miscela al 10% (un normale fuoribordo va al 2%). Ho fatto il pieno... Non arriva a tre litri. Poi ho messo il motore nella sua sede così siamo pronti ad accenderlo. Ma dobbiamo sfilarci prima di farlo. Questo motore non ha le marce: una volta acceso è sempre in presa. Dobbiamo essere in acque libere per poterlo avviare perché una volta avviato la barca parte e non si può fermare se non si spegne tutto... Ma non basta... Non avendo le marce non abbiamo neanche la marcia indietro. Conclusione: nessuna manovra a motore sarà possibile su questa barca durante l'intero corso del viaggio che ci apprestiamo ad intraprendere.
Comunque, grazie al fatto che la barca è piccola, riusciamo a liberarci col semplice tonneggio. Il motore parte al primo colpo e noi cominciamo a discendere il fiume fino a sfociare in mare dopo una ventina di minuti dalla partenza. Il sole intanto comincia a colorare il cielo di rosso acceso: tra poco sorgerà dietro gli Appennini alle spalle di Roma. Noi siamo fermi per le operazioni necessarie prima di intraprendere il "vero viaggio". Tiro fuori il motore dalla sua sede e lo fisso sul pulpito (ho installato un apposito supporto motore in legno sul quale fissarlo). Tolgo il copriranda e sciolgo tutto pronto ad issare. Poi prendo il sacco del genoa e vado ad ingarrocciarlo a prua. Controllo che tutto sia in chiaro ed isso la randa... Infine tocca al fiocco.
Sul Kikka (poi ribattezzato Tremar) in partenza da Fiumara Grande.
- indietro -
Con le vele in assetto ed il mare piatto la barca scivola veloce sotto la brezza del mattino che spira ancora da terra, come ha fatto per tutta la notte. Ho proprio la sensazione che arriveremo presto ad Anzio... Se tenessimo la media di 4 nodi saremmo in porto prima delle due... Potremmo scendere e festeggiare la conclusione della prima tappa.
Ma non andrà così. Dopo un'oretta il vento cala ed avanziamo trascinandoci penosamente con le vele che, in virtù del loro stesso peso, si rifiutano di prendere forma. Finalmente, verso mezzogiorno, ricominciamo ad avere un'andatura decente e miglioriamo le nostre prestazioni mano a mano che avanziamo. Alle sei di sera siamo in vista del promontorio di Anzio. Ormai sembra proprio di esserci... Ma il promontorio si ostina a restarsene lì dov'è e non si arriva mai. Infine il vento cala e riprendiamo a trascinarci penosamente come già avevamo fatto al mattino. Arriviamo davanti al porto di Anzio alle nove di sera. Ormai è quasi buio e, prima di entrare, dobbiamo ammainare le vele, rassettare la coperta e mettere il motore nel suo alloggiamento per farlo funzionare. Quando finalmente entriamo sono quasi le dieci di sera. Decido di non cercare posto: non scenderemo a terra. Butto l'ancora proprio in mezzo al porto (nella zona lontana dalle navi) e finalmente siamo giunti a destinazione (almeno per oggi).
È stata una lunga lotta. Navigare alla vela pura obbliga a perseveranza ed autodisciplina (non abbiamo autopilota e devo rimanere ininterrottamente alla barra per tutto il viaggio). Non nascondo d'essere un po' deluso: mi aspettavo d'arrivare prima. Non lo dico tanto per me quanto per Margherita e per Marco che, in fondo, sono stati coinvolti dalla mia passione e potrebbero avere di che ridire. Ad ogni buon conto siamo arrivati... La prima tappa è conclusa e domani mattina partiremo per San Felice al Circeo. Mi godo il fresco della sera in pozzetto mentre i miei già dormono. È una strana sensazione quella che ho addosso. Siamo in viaggio... Sono sulla mia barca e, dopo una lunga navigazione, ci troviamo nel porticciolo di Anzio. Non riesco a spiegare a parole quello che provo... Comunque è un'immensa soddisfazione. Domani ci aspetta una tappa altrettanto lunga... Speriamo di fare prima.
L'indomani alle prime luci si salpa di nuovo. Voglio anticipare la partenza se possibile in modo da avere più ore di luce davanti a me... Ma comincio a maturare l'idea che forse dovremmo fare "come gli antichi". Una volta i marinai che si muovevano a vela per il trasporto merci su e giù per questa costa non salpavano secondo l'orario, ma secondo il vento. In altre parole, dovrei aspettare a terra un vento favorevole e poi viaggiare approfittandone a piene mani. Ma questo vale per il futuro... Ormai siamo partiti e vedremo come andrà questa seconda tappa.
Si ripete in pieno la stessa "storia". Venticello che poi si smorza al mattino per tornare ad ora di pranzo e "tirare" fino alle sei. Poi tutto si acquieta ed alle nove di sera, già al buio, stiamo entrando a motore nel porticciolo di San Felice al Circeo. Ho letto che, a causa di un persistente insabbiamento che ostacola l'entrata, per entrare dobbiamo largare ampiamente la punta del molo. Non si vedono boe di segnalazione e decido quindi di passare proprio in centro tra il molo di sovraflutto e quello di sottoflutto. Mi posiziono proprio sulla linea di mezzo tra i fanali di ingresso e, quando arriviamo proprio davanti alla banchina interna, la chiglia prende il fondo. Sento distintamente la barca che si infila nella sabbia e si ferma intrappolata.
Uff!... Ci mancava anche questo!
È estate. Mi tolgo la maglietta (sono già in costume da bagno) e mi butto in mare. Con mia grande sorpresa l'acqua mi arriva solo al petto: sono in piedi a fianco della barca e ce ne sarà più o meno un metro. Rifletto un attimo... È tutto regolare. La barca pesca m 1,10 e se si è aperta un solco di qualche centimetro i conti tornano. Allora tutto mi sembra semplice: prendo lo scafo di fianco a due mani e faccio uno sforzo per spostarlo verso maggiori fondali.
Maledizione!... Sono sorpreso. Nonostante spinga con tutte le mie forze la chiglia non si sposta di un millimetro.
Accidenti!... Ma è normale... Come ho fatto a non pensarci prima... La barca pesa oltre tre tonnellate come cavolo posso pretendere di spostarla spingendo ed alzandola dall'acqua?
Comincio a pensare che la mia grande esperienza sulle derive mi è utile solo quando navigo a vela... In questo caso le due barche si comportano allo stesso modo. Ma quando si tratta di altro... Beh!... Dovrò imparare un sacco di cose... Ed intanto mi trovo in un bel guaio. Per fortuna il motore è così poco potente che ci siamo infilati ben poco nella sabbia, ma è anche così poco potente da non riuscire a produrre neanche un cenno di movimento per tirarci fuori.
Mi sento veramente impotente. Una situazione frustrante, ma per fortuna dura poco. Uno yachtman seduto al bar nella banchina interna proprio di fronte a noi, si offre di darci una mano.
"Se volete" - ci dice - "Ho un gommone proprio qui, vi mando il marinaio e posso tirarvi fuori senza problemi."
Accetto pieno di gratitudine e salgo a bordo per preparami alla manovra. Effettivamente arrivano in due su un gommone con un 25 CV che mi da grandi speranze. Io mi comporto da marinaio... Al contrario di quel che chiedono, non gli do una cima di poppa per tirarci fuori dalla stessa parte dalla quale siamo entrati. Gli do invece la drizza dello spinnaker che, agendo in testa d'albero, quando il gommone si mette a tirare sul nostro fianco, abbatte la barca come se fosse di bolina...
Pluff... E ci liberiamo in un attimo.
Mi prodigo in ringraziamenti ma lo faccio con dignità.... Uff!... Sono riuscito a salvare la faccia. Non conoscevano la manovra che ho appena fatto e non nascondono il loro apprezzamento. Poi aggiungono, quasi a scusarsi, che le autorità locali dovrebbero almeno mettere un galleggiante di segnalazione per delimitare la secca. Queste brave persone si impegnano persino ad indicarci un posto libero e in men che non si dica siamo ormeggiati. Non scendiamo a terra da una notte e due giorni... Due passi adesso ci faranno proprio bene.
Quando rientriamo a bordo, i miei decidono di andare a dormire ed io mi attardo in pozzetto a sorseggiare un brandy. Come la sera prima, mi lascio affascinare da un porto che ho appena raggiunto con la mia nuova barca. Tutto mi affascina: le luci, le barche, lo sciabordio dell'acqua appena udibile nella calma della notte...
Ma comincio a pensare di essere partito senza avere le idee chiare. Non posso usare con una barca a vela "senza motore" lo stesso approccio delle "ferrovie dello stato"... Intendo dire che non posso navigare rispettando gli "orari", ovvero pensare di partire al mattino per una tappa obbligata (il porto più vicino) da raggiungere ad ogni costo entro la stessa giornata. Certo, non c'è niente di strano partire per andare a vela a Lipari: basta pensare alle regate che ogni anno si svolgono nel Mediterraneo. Quello che sembra non funzioni è il concetto di fare una vacanza a tappe con una barca senza motore. Comunque ormai siamo in ballo e balleremo. Vedrò, se mi sarà possibile, di fare tesoro di queste riflessioni.
L'indomani si parte al mattino, come al solito, ma non troppo presto. Siamo diretti a Gaeta; una navigazione di circa 23 miglia (non troppo diversa dalle due precedenti di 25 miglia ciascuna). Dopo i "rituali" davanti al porto, issate le vele, dirigiamo a Sud... Veramente non è proprio così... Noi siamo diretti verso il Sud Italia ma, per com'è disposta la nostra penisola sulla carta, la bussola al momento ci dice che stiamo navigando quasi in direzione Est. Gaeta è il primo ridosso utile per passarci la notte; non esistono possibili tappe intermedie. Forse dovrei considerare la possibilità di andare alle Eolie direttamente: farei un'unica traversata, certamente più lunga, ma potrei sostare più a lungo per far vacanza eliminando questi giorni spesi solo per effettuare degli spostamenti in fondo poco significativi. Continuo a riflettere ed a rimuginare sull'argomento.
Oggi però la giornata si rivela assai diversa dalle altre. Il vento non ci molla mai ed arriviamo a scapolare il promontorio che ci porterà in vista di Gaeta verso le quattro del pomeriggio. Appena doppiata Punta dello Stendardo il vento diventa contrario e molto teso e noi dobbiamo risalirlo se vogliamo "atterrare" nel porticciolo a ridosso subito dietro. Il motore è così poco potente che non è pensabile usarlo per avanzare: dobbiamo rimontare a vela abbastanza per poi lasciarci trascinare fino all'ormeggio spinti dal vento.
È la prima volta che devo affrontare una bolina dura con questa barca. Se voglio avanzare in queste condizioni devo cambiare il fiocco e prendere una mano di terzaroli. Faccio tutto in una decina di minuti e poi riprendo a navigare. Mi accorgo che, a causa del vento, abbiamo perso dell'altro "terreno" durante il cambio delle vele.
Per la prima volta posso ammirare le doti del Supermistral con vento forte. È una barca piccola ma robusta e pesante con una carena relativamente moderna e con una superficie bagnata minore rispetto alle carene classiche. Investita dalle raffiche maggiori, sbanda fino a mettere quasi la falchetta in acqua, ma rimane governabile, sensibile al timone con una tendenza all'orza decisamente moderata. Diventa un treno... Prende velocità e mantiene la rotta che è un piacere.
Certo... Al momento non c'è onda. Dovremo trovare condizioni decisamente più impegnative prima di parlare delle sue qualità marine... Ma rimane pur sempre un buon inizio.
Non ci mettiamo molto a risalire fino a considerarci ormai in "sicurezza": voglio dire per avere acqua a sufficienza per fare tutte le manovre mentre la barca scarroccia inesorabilmente verso il porto. Per prudenza, il primo lavoro che faccio è quello di preparare la linea d'ancoraggio pronta a filare. Quasi sicuramente dovremo dare ancora in porto ed ora tutto è pronto... Ma soprattutto, se qualcosa andasse storto e dovessimo arrestare lo scarroccio della barca, avrei pronta la nostra unica manovra di salvezza, quella di dare fondo confidando che l'ancora faccia testa per non "spatasciarci" spinti dal vento contro la massicciata.
Non si tratta di fare i catastrofisti. In realtà tutto va bene e la sequenza delle cose da fare si svolge velocemente e senza intoppi... Si tratta solo di mantenere un approccio maledettamente serio facendo finta di essere dei professionisti. So bene di essere un principiante, ma è giocando a fare i grandi che si cresce.
Una volta dentro, troviamo subito posto e non ci mettiamo molto a sistemarci. Non avendo un motore che ci consenta di manovrare, decido di filare l'ancora da poppa e di ormeggiare di prua. Ma la cosa non mi soddisfa: salire e scendere dovendo scavalcare il pulpito di prua è una manovra disagevole... Soprattutto per Margherita e Marco. Dovrò inventarmi qualcosa per capire come mettere la poppa in banchina come fanno tutti... Senza l'uso del motore sembrerebbe impossibile... Certo, salire e scendere sarebbe molto più comodo per tutti a bordo.
Ma, bando ai pensieri!... Siamo ormeggiati nel porticciolo di Gaeta e sono le quattro e mezza del pomeriggio. È la prima volta, in questo viaggio, che non arriviamo di notte... Dobbiamo approfittarne. Scendiamo subito a terra e ci sgranchiamo le gambe facendo un giro di ricognizione sul lungomare. È buffo... Almeno per noi milanesi... I negozi sono ancora chiusi. Cominciamo a vedere le prime avvisaglie del fatto che navighiamo verso Sud... Apriranno verso le cinque e mezza.
Il facile entusiasmo della gioventù ha presto il sopravvento. Nessuno pensa più alla navigazione lenta ed estenuante delle prime due giornate in mare. Oggi il vento ci ha assistito ed il viaggio è stato quasi divertente. Lancio un'idea subito raccolta da tutti: andiamo a cercare dove acquistare delle autentiche mozzarelle di bufala fatte da queste parti... Niente a che vedere con quelle comprate al supermarket.
Quando la sera i miei vanno a dormire ed io mi fermo in pozzetto a sorseggiare qualcosa, so perfettamente che in realtà siamo qui da circa cinque ore: ma la sensazione è quella di averci passato l'intera giornata. Scendere a terra, passeggiare, fare acquisti, comprare un gelato... Mi sembra che oggi, per la prima vota, abbiamo fatto vacanza.
Il meteo sembra incerto: nei prossimi giorni si prevede un po' di vento. Se domani il vento ci aiutasse non sarebbe niente male... Andremo a Ischia. Sono circa 32 miglia di mare lontano dalla costa; ben sette miglia in più delle 25 delle prime due tappe... Ma prima o poi dovremo allungare il passo.
L'indomani mattina partiamo presto. Completate le procedure di rito davanti al porto, mettiamo alla vela con rotta Sud-Sud-Est. Il cielo presenta poche nubi sparse che annunciano nell'aria che un qualche cambiamento dovremo attendercelo. Bene!... Comincio a pensare che dovremmo cambiare completamente la strategia di "viaggio". Se fa bello non c'è vento e noi dovremmo starcene fermi a goderci la vita da qualche parte; al contrario se fa brutto il vento non può mancare e noi, in questo caso, viaggeremmo a vela. Navigare in burrasca e far vacanza col bel tempo... Ecco cosa dobbiamo fare.
Ed ecco un'altra giornata senza l'odiata bonaccia. Il Kikka (che l'anno successivo si chiamerà "Tremar") fila veloce con tutta la tela a riva ed arriviamo in vista della meta verso le sei di sera. Decido di dare ancora a Nord di Ischia Ponte. Farò la manovra direttamente a vela così mi risparmierò la fatica di spostare il motore dal pulpito, dove rimane in navigazione, per posizionarlo nell'apposito supporto nel pozzetto.
Elaborazione di un'immagine di Google Earth
(immagine satellitare 1)
Il Kikka (poi ribattezzato Tremar) all'ancora nei pressi del Castello Aragonese ad Ischia Ponte.
- indietro -
Quando siamo ormai a poca distanza da terra, prendo la mia decisione: non occorre preparare in anticipo l'ancora pronta a filare. Il vento si mantiene moderato ed avrò tutto il tempo per manovrare in sicurezza anche senza motore.
Mi porto sopravvento rispetto al punto prescelto e metto la barca alla cappa. Fiocco a collo e barra sottovento, il Supermistral si mette a scarrocciare lentamente fianco al vento ed io ho tutto il tempo per dare fondo tranquillamente. Quando l'ancora agguanta, do volta al tessile sulla bitta del musone di prora e prendo un allineamento per controllare che abbia fatto testa come si deve. Le vele filano al vento che sembra aumentato per via del fatto che la tela sbatte facendo vibrare tutta la struttura. Ma tutto è a posto e posso ammainare. Quest'ancora tiene benissimo ed ho la massima fiducia sul fatto che non molli. È importante perché c'è maretta ed il posto non è così protetto come speravo. La barca rolla in modo esagerato, ma non è lo stato del mare a determinare quest'odioso movimento: sono le varie imbarcazioni a motore che passano continuamente a poca distanza da noi che creano un fastidioso moto ondoso. Sono sicuro che, una volta arrivata la sera si placherà tutto... Ma non succederà. Questa è solo la prima volta che arrivo ad Ischia e, nel corso degli anni, succederà ancora tante altre volte. Il Golfo di Napoli, da questo punto di vista, è qualcosa di incredibile: barche , barchini, gommoni e gommini, piroscafi e aliscafi... Persino le moto d'acqua sfrecciano giorno e notte senza sosta in gran numero e tutti fanno a gara a chi va più veloce.
Passeremo una delle notti più “movimentate” della nostra lunga esperienza. Per trovarne un'altra uguale, dovremo aspettare una crociera in Spagna durante un ancoraggio a Tossa De Mar.
Questa volta la povera mogliettina si lamenta un po'... Già non si sente bene per motivi suoi, stare in barca (invece che in una comoda casa...) è già un fastidio, stare a "ballare" in questo modo in rada ad Ischia è veramente troppo. Ha tutta la mia comprensione, ma la tengo per me. Guai a dirle che ha ragione... Chissà cosa succederebbe. "Non fare la lagna" - le dico - "Vedrai che tra poco ti passerà. Pensa ai pescatori che "dondolano", qualsiasi cosa facciano, sia di giorno che di notte... E se tu facessi "il pescatore?"
Non sembra convinta, ma adesso si lamenta sommessamente.
Sia moglie che figlio vanno in branda piuttosto presto la sera ed io rimango in pozzetto come al solito. Apro una bottiglia di whisky nuova... Basta brandy. Ne prendo proprio un'ombra e me lo faccio durare una vita limitandomi a bagnare le labbra di tanto in tanto. Non mi piace ingollare alcool, ma mi piace starmene a lungo in pozzetto la sera prima di andare a letto. Rimugino a lungo sul da farsi. Domani eviterò di partire per la tappa giornaliera... Li farò riposare. Cercherò di concedere loro una vera giornata di vacanza... E poi vedremo.
L'indomani, quando mi sveglio, mi sento in colpa. Mi sento anche molto infastidito da questo moto ondoso che impone alla barca dei guizzi tanto improvvisi quanto repentini. Così, alle prime luci del giorno salpiamo per portarci in un ridosso migliore che troviamo nello specchio d'acqua prospiciente la Grotta Verde, distante circa due miglia lungo la costa Sud dell'isola.
Data la breve distanza arriviamo piuttosto presto e diamo ancora nella baietta nella quale, per il momento, siamo da soli. Io gonfio per la prima volta nella stagione il "canotto". Lo chiamo canotto perché non si tratta di un tender... Sono andato a comprarlo con tutta la famiglia alla Standa. È un semplice canotto da spiaggia pagato pochi soldi e "nato" per farci il bagno poco distanti dal bagnasciuga. In compenso è molto leggero e lo si può gonfiare quasi senza sforzo. La mia idea è quella di concederci una giornata di puro relax, una sana interruzione del viaggio... E sembra proprio che l'idea funzioni: vedo Margherita che gonfia anche il materassino.
Ma dopo aver soddisfatto abbastanza la voglia di mare... Almeno nel senso della voglia di fare il bagno... Mi sorprendo a scrutare il cielo. Vedo le nuvole correre verso Sud-Est. Potrebbe esserci una "maestralata" e non saperne nulla... Siamo dalla parte opposta dell'isola (rispetto alla direzione di provenienza del vento) e ovviamente siamo completamente ridossati. Cerco di scrutare l'orizzonte alla ricerca di onde o frangenti per confermarmi l'idea. Ma non ne sono sicuro... Forse mi lascio solo suggestionare... Mi sembra di vedere qualcosa.
Comunque le nuvole che corrono le vedo bene... In barba alla decisione di concederci una giornata di riposo, in un attimo grido: "Presto, sgonfiate il materassino, io penso al canotto... Si parte!"
Velocemente la barca è pronta a salpare. Le nuvole non sono molte in cielo ed è sostanzialmente una giornata di sole. Alla partenza c'è poco vento, ma lo vediamo presto aumentare. Decido così di fidarmi del mio istinto e riduco in anticipo la vela: una mano di terzaroli e fiocco piccolo.
Dopo poco so già d'aver fatto la cosa giusta: la barca corre come mai l'avevo vista prima ed io non ho bisogno di lavorare alle vele in questo mare che adesso si fa sentire. Mano a mano che ci allontaniamo dal ridosso dell'isola, le onde si fanno sempre più alte fino a diventare veramente notevoli. Sono decisamente grosse ma non sono aggressive. Non frangono e ci vengono addosso da poppa con grande regolarità. La barca continua imperterrita la sua corsa e le lascia passare senza problemi alzandosi ed abbassandosi ritmicamente senza perdere il suo assetto.
Capisco che in qualche modo dovrei sentirmi intimorito. Quando guardo verso poppa vedo l'acqua sovrastarmi come mai mi era successo prima... Ma la verità è che, fintanto che le cose vanno così, il Supermistral sembra la "barca giusta al posto giusto". La navigazione è facile e veloce e non mi sono neanche dato da fare per mettere al sicuro una radiolina portatile che, semplicemente poggiata sulla seduta del pozzetto, diffonde musica a bordo.
Avanziamo veloci diretti a Capri. Studio con attenzione il portolano che ho comprato all'Ammiragliato di Genova appositamente per questo viaggio. Mi aspetta un "atterraggio" che avrà bisogno di tutta la mia attenzione. Il porticciolo si trova proprio sulla costa Nord dell'isola, la parte esposta, e mare e vento ci spingeranno contro una gettata di scogli. Non potremo permetterci nessuna incertezza ed io navigo con le sole informazioni che derivano dalla documentazione: non ci sono mai stato prima.
Ma, mentre penso e ripenso su cosa fare per non lasciare nulla al caso, noto sulla nostra sinistra, una grande nave portacontainer che apparentemente viene da Napoli e dirige verso Ovest. Non riesco a stimare se ci passerà davanti o no... È una situazione potenzialmente molto pericolosa. La lascerò avvicinare per capire meglio cosa fare: siamo in rotta di collisione ed io non voglio passargli davanti anche se ho la precedenza (nave a vela su nave a motore).
Mano a mano che avanziamo, anche se la nostra velocità è sorprendente, vedo che la nave guadagna inesorabilmente terreno fino ad essere assolutamente chiaro che ci passerà davanti in tutta sicurezza. Sono affascinato dal fenomeno che osservo: le stesse onde che ci arrivano di poppa passandoci sotto senza che quasi ci si accorga di loro, si avventano contro la fiancata della nave e vi urtano violentemente. Come su di una scogliera, l'acqua e la schiuma vengono lanciate in alto ed arrivano a lambire la prima fila dei container sul ponte. Fa impressione vedere che il polverino d'acqua risale fino all'ultima fila di container e la scavalca perdendosi in un gran pennacchio sottovento. Vedo distintamente il ponte di comando con le porte delle ali di plancia ben chiuse per tenere fuori il cattivo tempo: quella nave è in piena burrasca.
Sono affascinato. Chiamo Marco che è indaffarato a fare qualcosa sotto coperta. "Guarda Marco" - gli dico - "Guarda quella nave. Loro sono al sicuro perché stanno navigando su di una grande nave fatta per navigare con ogni tempo in tutti i mari del mondo... Ma tutti gli ufficiali sono chiusi in plancia e l'acqua di mare invade la coperta a fiotti... Gli spruzzi si sollevano oltre l'ultima fila di container e passano dall'altra parte... Vedi, mentre loro affrontano una vera burrasca, noi navighiamo veloci con la musichetta in coperta. Questo è uno dei grandi insegnamenti del mare: tutto è relativo. Ai tempi eroici della marineria a vela, nelle grandi burrasche dell'emisfero australe in avvicinamento a Capo Horn, a metà del XIX secolo, mentre le navi erano tutte con velatura ridotta ed avanzavano sotto incessanti colpi di mare che rischiavano di traversare la nave alle onde segnando così una tragica repentina fine, queste si vedevano sorpassare dai clipper dell'americano Donald McKay con tutte le luci di coperta accese e tutta la gente sul ponte che ballava al ritmo della musica dell'orchestra che suonava nel bel mezzo dell'oceano."
Vediamo la nave passarci di prora a due - trecento metri di distanza e, per un po', non riusciamo a sollevare gli occhi da questa dimostrazione imponente di forza della natura. Ma l'insegnamento è chiaro. L'enorme nave si pone come ostacolo in grado di sostenere e resistere alle onde e queste si scatenano in tutta la loro potenza. La nostra barchetta invece si alza e si abbassa seguendo il ritmo della massa d'acqua come un tappo di sughero ed intorno a noi tutto rimane tranquillo.
Nel frattempo continuiamo ad avanzare veloci e comincio ad intravedere la massicciata del porticciolo di Capri che, venendo con la nostra rotta, appare posizionato a circa un terzo della costa in vista a partire da sinistra (... da Est). È il momento di concentrarci; quando saremo all'ingresso dovremo fare una manovra di entrata alla vela assolutamente impeccabile. Avremo mare e vento che ci spingono da dietro e dovremo passare da un'andatura portante ad un vento al traverso virando a destra per imboccare l'entrata.
A mare non c'è nessuno e non esiste nessuna possibilità in queste condizioni di fermarsi, mettere la barca in assetto di porto, togliere il "tappo" nell'alloggiamento del motore e calarcelo per poi accenderlo con calma... Mare e vento ci butterebbero sulle rocce. Ma non sono preoccupato. Il governo delle vele è qualcosa che sento dentro e comincio già a capire quello che mi conviene fare.
Nella seconda metà di questa traversata ho adottato l'andatura a farfalla, ovvero, il fiocco da una parte e la randa dall'altra. Abbiamo il vento che spinge in fil di ruota e per entrare dovremo virare a destra: in altre parole dovrò essere pronto a strambare con vento forte. La cosa non mi preoccupa minimamente. Ad un miglio dall'arrivo metto la barca alla cappa. La barca si comporta benissimo; nessun'onda frange e tutto sembra calmarsi intorno a noi. So bene che non è così, ma ho fatto apposta questa manovra per avere il tempo di preparare l'ancora pronta a filare: mi basterà dare un brusco strattone al terminale della sagoletta, prolungato fino al pozzetto, che trattiene l'ancora per calarla immediatamente.
Ritorno quindi alla barra e riprendo l'andatura a farfalla. Nel disegno qui sotto si vedono bene le tre fasi della manovra.
Elaborazione di un'immagine di Google Earth
(immagine satellitare 2)
Il Kikka (poi ribattezzato Tremar) entra alla vela in burrasca nel porticciolo di Capri.
- indietro -
Sono concentratissimo. Quando è il momento passo la randa dall'altra parte in una strambata morbida e senza deviazioni sulla rotta prestabilita (la barca è piccola... È un gioco da ragazzi). A questo punto sono completamente rilassato. Mano a mano che viro per entrare non devo fare altro che recuperare le scotte quel tanto che basta a tenere a segno le vele. Stiamo entrando e sento che tutto andrà bene.
Proprio quando passo vicino al fanale verde nella punta del molo di sovrafflutto sento nel vento le urla di una persona in divisa della marina. Mi urla di presentarmi il prima possibile alla capitaneria con tutti i documenti.
Accidenti!... Ma non ha proprio altro da fare quel tizio.
Comunque, prima viene la barca. Arrivati nel punto stabilito, porto le vele a collo e lascio calare l'ancora. Prendo un allineamento a terra per vedere che non ari. Il vento è molto teso e se avesse arato me ne sarei accorto subito. Nel frattempo ognuno fa la sua parte a bordo e la piccola barca è tutta in ordine in un attimo. Gonfio il canotto e ci prepariamo a scendere a terra. Io porto con me i documenti e mi reco in capitaneria. Margherita e Marco passeggeranno nel porto e ci ritroveremo quando avrò finito.
Entro in capitaneria e apparentemente non c'è nessuno. Chiamo ad alta voce e dopo qualche istante sento qualcuno che risponde... Mi inoltro ulteriormente e mi rivolgo all'unica persona che vedo. "Buongiorno" - dico - "Sono il comandante del Kikka e sono appena entrato in porto. Un suo collega dalla testata del molo mi ha ordinato di venire in capitaneria con tutti i documenti..."
"Si... Si... Sono io" - mi risponde - "Lei sa che è vietato navigare a vela nei porti. Esiste un'ordinanza..."
Mi tocca sorbirmi la lagna di qualcuno vestito da marinaio che di mare non capisce niente. Queste persone esistono e, visto che hanno il potere dalla loro parte, la cosa più stupida è contrastarli. Lascio quindi che parli e che mi spieghi tutto quanto gli passa per la testa. Mentre mi sforzo di assumere un aria rispettosa di circostanza sento dei passi alle mie spalle nel corridoio...
"Guardiamarina Loiacono" - dice in tono deciso una voce dietro di me - " Che sta succedendo?"
"Sto contestando a questo signore l'ingresso in porto manovrando a vela Sig. Comandante" - risponde.
"Ha!..." - riprende il comandante - "venite entrambi nel mio ufficio".
A questo punto, ci alziamo ed io seguo il guardiamarina che mi fa strada. Salita una rampa di scale mi fa entrare in un ufficio dove ritroviamo il comandante che ci ha preceduto.
"Dunque" - interloquisce rivolgendosi al suo subalterno - "Mi esponga i fatti."
Ho la sensazione che il comandante afferri al volo la situazione. Quindi si rivolge a me per chiedermi spiegazioni. Quando gli spiego che sono nel corso di una piccola impresa velica con una barca dotata di un piccolo motore imbarcato appositamente per seguire le disposizioni che impediscono le manovre in porto sotto vela ma che, in questa occasione, la burrasca in corso e le specifiche circostanze all'ingresso del porto mi hanno suggerito di eseguire esattamente la manovra che ho fatto... Oltretutto con perizia e senza danni da parte di alcuno... Mostra non solo di capire, ma anche di apprezzare.
Quindi si rivolge al guardiamarina e lo congeda dicendo che intende sistemare personalmente la cosa. Poi, con grandi sorrisi, mi spiega che anche lui da giovane faceva vela. Ha fatto anche molte regate e gli manca quel periodo della sua vita.
Passiamo un quarto d'ora a parlare del più e del meno poi, senza neanche degnare di un'occhiata i miei documenti, mi accompagna alla porta.
"Il guardiamarina" - mi dice - "È un ufficiale di complemento... Non conosce la vela... È qui per rispondere alla leva. Vada tranquillo!... I miei migliori auguri per il successo della sua impresa."
Non ci metto molto a recuperare il resto della famiglia. Un'ultima occhiata alla barca per assicurarmi che tutto sia a posto e partiamo alla scoperta di Capri.
La traversata è stata decisamente veloce e quando prendiamo la funicolare sono passate da poco le cinque del pomeriggio. È ancora abbastanza presto e ci sgranchiamo le gambe facendoci tutta la passeggiata in quota fino al Belvedere su Punta Tragara da dove ci godiamo la bella vista dei famosi faraglioni.
Bellissimi!... Domani li rivedremo dal mare.
Alla sera il vento si è decisamente calmato ed abbiamo buone speranze per il giorno successivo: una navigazione tranquilla e veloce non ci dispiacerebbe. Come spesso accade, mentre i miei sono già a letto io mi attardo in pozzetto a bearmi dei colori, dei suoni e degli odori della notte in barca.
Quando anche io sento arrivare il sonno, decido che c'è troppa umidità per dormire all'aperto. Non che abbia pensato di starmene nel pozzetto... È solo che Margherita si è addormentata con il passauomo spalancato proprio sopra le cuccette di prora (dove dormiamo noi). Decido allora di chiuderlo prima di andarmene in cuccetta.
Bisogna sapere che l'osteriggio di prua del Supermistral non è del tipo incernierato. Il costruttore ha usato la vecchia tecnica in uso ai tempi delle navi a vela: una sorta di coperchio sagomato in modo che non entri l'acqua in caso di pioggia o di mare che monta a bordo.
Non sono sicuro del perché ma, invece che con la sua chiusura costruita apposta, decido di coprire l'apertura del tambucio con il materassino completamente sgonfio che assomiglia ad uno spesso telo di plastica. Sicuramente serve allo scopo e l'umidità non passa, ma quando al mattino seguente, mezzo addormentato, mi alzo per vedere perché sento rumore proveniente dalla linea di ancoraggio, ci metto sopra un piede e finisco in trappola con un un'intera gamba nel buco.
Dolore... Dolore...
Sicuramente mi sento immediatamente ben sveglio e reattivo... Ma è un po' tardi. La violenza del colpo è tale che il muscolo nella parte anteriore della coscia destra presenta un profondo avvallamento al tatto. Un avvallamento che non sparirà neanche dopo diversi anni. Comunque un "vero marinaio" non sente il dolore ed io mi sforzo di esserne all'altezza. Così, alle otto del mattino, metto il motore al suo posto, lo accendo e partiamo. La giornata è bella ed il vento, seppure piuttosto variabile, non ci mollerà fino all'arrivo. La nostra destinazione è Amalfi.
Ci arriviamo nel primo pomeriggio e non facciamo alcuna fatica a trovare posto. Anche qui, niente corpo morto, bisogna dare ancora. Alle due e mezza stiamo già passeggiando per la splendida località marinara. Dopo aver fatto due passi per il lungomare, saliamo su al duomo.
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Il Duomo, più di ogni altra testimonianza dell'epoca, mostra lo splendore della repubblica di Amalfi.
Nessuno di noi era mai stato prima ad Amalfi e fa un grande effetto esserci arrivati in barca. Percepiamo nell'aria la suggestione di quella che fu Amalfi ai tempi della Repubblica Marinara. Forse questa sensazione è acuita in me perché sento una certa comunanza col tipo di navigazione che abbiamo fatto non troppo diverso da quello che facevano all'epoca. Ci fermiamo seduti sui gradini in alto nella grande scalinata del Duomo. Da qui si gode la vista di uno scorcio dal fascino particolare. Ormai cominciamo a sentirci al Sud... Domani punteremo su Acciaroli... Una sosta tecnica per spezzare il viaggio fino a Marina di Camerota: ultima tappa prima del gran salto.
Non mi sembra vero... Dopo i primi due giorni che hanno seguito la partenza da Fiumara Grande, non abbiamo più subito la noia della bonaccia. Poco o tanto, abbiamo sempre avuto vento. Anche il tratto che ci porta ad Acciaroli non smentisce questo nuovo corso degli eventi. Di mattina presto mettiamo in rotta per capo Licosa. Saranno 26 miglia di mare aperto prima di raggiungere il capo perché taglieremo il golfo "dritto per dritto". Poi Acciaroli si troverà dopo sole sei miglia. Comunque nel viaggio non saremo mai a più di 12 miglia dalla costa anche se questa non sarà in vista per molto tempo.
In effetti, partiamo la mattina successiva ancora verso le otto ed eseguiamo con diligenza i soliti preparativi fuori dal porto prima di poter mettere alla vela. La barca assume subito una piacevole andatura di "bolina larga" con mare calmo e buona velocità. Mano a mano che avanziamo, il vento rinforza leggermente e la velocità aumenta. In vista di Punta Licosa, ci larghiamo dal capo quel tanto che basta per passare in sicurezza. Bassi fondali prolungano questa punta verso il largo. La carta mostra la batimetrica dei cinque metri ed al suo interno non vengono riportati rilevamenti (nessuna informazione sui fondali). Non mi fido a passarci dentro: per navigare in sicurezza, ho calcolato che è meglio tenersi a più di 250m ad Ovest dell'Isolotto Licosa. Non posso fare una rotta strumentale (si naviga senza strumentazione a bordo) e devo prendere le mie precauzioni: navigando con rotta stimata si possono commettere degli errori e la bravura consiste nel saperli valutare in modo da mantenersi comunque in sicurezza.
Da Punta Licosa al porticciolo di Acciaroli il vento aumenta ulteriormente fino a diventare molto teso; tuttavia la navigazione si mantiene agevole perché con l'effetto del vento reale combinato con la velocità della barca manteniamo un'andatura al traverso.
Dovrò fare attenzione alla secca del Generale posta all'ingresso del porto in posizione "maledettamente" pericolosa. Il portolano si dilunga su questo argomento. Comunque, per la sua posizione, sarà più pericolosa al ritorno qualora decidessimo di fare lo stesso scalo. Cerco di rimanere molto concentrato. Dalle informazioni che ho, nessuna meda, nessuna boa sono lì ad indicare il pericolo.
Il vento adesso è molto teso. In queste condizioni affidarsi ad un piccolo motore è un rischio... In acque ristrette (la secca del Generale sottovento), la scarsa potenza potrebbe essere inadeguata e potremmo finire a scogli. Per fortuna la direzione del vento mi concede una ghiotta possibilità: a mezzo miglio dall'ingresso prendo la cappa e metto il motore in acqua. Poi ammaino solo la randa lasciando il fiocco a riva. Quindi, con la barca in assetto e col solo fiocco che faccio portare, arrivo all'altezza dell'ingresso e viro puntando all'imboccatura. Accendo ora anche il motore che aiuta con la sua spinta a sfilare in sicurezza lontano dal pericolo. Alla fine, dirigo deciso verso l'interno ed ammaino il fiocco lasciando in funzione il solo motore che, nelle acque calme del porto, si rivela sufficiente.
Fortunatamente nel portolano danno anche un allineamento da usare in fase di atterraggio ed anche questo contribuisce alla riuscita della manovra. Appena dentro, troviamo subito posto a destra, nel molo di sottoflutto. Questa volta faremo la manovra che ho studiato per metterci poppa in banchina.
Disegno animato che illustra le varie fasi dell'ormeggio di poppa realizzato ad Acciaroli
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Naturalmente ho già avuto occasione di prepararla con Margherita che ha un ruolo fondamentale per la sua riuscita: è una manovra che va fatta in due. Va anche chiarito subito che non si tratta di una manovra adatta a tutte le barche. Occorre tonneggiare, pertanto è più agevole se la barca è piccola. Comunque vediamo di che si tratta.
1-A motore acceso punto la banchina di prua
2-Comincio a filare àncora di poppa
3 Tenendo il motore acceso che spinge (poco) lascio che l'àncora agguanti e porto la prua a mezzo metro dalla banchina (la barca resta ferma grazie alla linea di ancoraggio in tiro)
4 Margherita scende con una cima precedentemente preparata e da volta ad una bitta
5 Spengo il motore quando Margherita risale a bordo
6 Mentre mollo da prua, recupero da poppa a motore spento
7 Io e Margherita, ciascuno con la propria cima in mano, scambiamo poppa e prua
8 Si recupera verso la banchina arrivando di poppa
9 Cime a terra e àncora in tiro... La manovra è finita
Sorprendentemente la manovra d'ormeggio "poppa in banchina" fila liscia e senza intoppi sin dal primo tentativo. Alla fine sembra una cosa più facile a farsi che a dirsi.
Mille attenzioni... Mille paure... Ma tutto va bene.
Adesso, ci si sente felici e rilassati. È ancora presto ed abbiamo tutto il pomeriggio per noi (qui al Sud il pomeriggio comincia alle cinque e mezza, quando aprono i negozi). Mettiamo in ordine la barca, indossiamo abiti civili (a bordo si vive in costume da bagno) e scendiamo a terra. Questa mattina eravamo ad Amalfi.
Poco più in là, in acqua vicino alla banchina, notiamo qualcosa di strano... All'inizio non si capisce bene di cosa si tratti... Poi la visione.
Nella foto, fatta al nostro arrivo ad Acciaroli, il "Grand Soleil" affondato.
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Sento un brivido freddo salire su per la schiena: è una barca affondata. È una vista che fa vacillare tutta la mia spavalderia. Sono ansioso di sapere cos'è successo... Cosa ci fa una barca affondata all'interno di un porto?
La curiosità, o meglio, il bisogno di sapere è pressante. Entro in un bar poco distante e chiedo:
“È una famiglia originaria di Acciaroli ma che vive a Salerno” - ci dicono - “Hanno appena comprato una barca nuova, un “Grand Soleil” e sono arrivati fino a qui per farlo vedere a tutti. Sono arrivati ieri mattina ed hanno gettato l'ancora fuori dal porto appena a Nord dell'ingresso. Poi sono scesi a terra per mangiare a casa dei parenti. Il vento teso del pomeriggio... Lo stesso che vedete oggi, ha spedato l'ancora ed ha portato la barca sugli scogli.”
Beh!... Aver sentito la storia che c'è dietro attenua un po' l'angoscia che mi suscita la vista di una barca affondata. Bisogna proprio essere dei polli per perdere la barca in quel modo. Lavoro di fantasia immaginando un "paesano" che è andato a Salerno ed ha "fatto i soldi". Ha comprato la barca forse più bella che esista oggi sul mercato ed è venuto di corsa al paese per metterla in mostra. Tenerla al sicuro nel porto non interessa a nessuno... Meglio gettare l'ancora davanti alla passeggiata dove tutti possano ammirarla. Il vento del pomeriggio ha fatto il resto.
Dico ad alta voce quel che penso e questo convincimento rassicura me e la mia famiglia. Piano piano l'angoscia se ne va e ritorniamo presto gioiosi come di consueto. Quando aprono i negozi, troviamo in un vicolo una pescheria che ci attira: questa sera per cena avremo del pesce fresco.
Domani, secondo i piani, ci attende l'ultima tappa prima del "gran salto": andremo a Marina di Camerota... Una ventina di miglia. Poi, da lì partiremo per andare a Lipari... La nostra meta.
Ancora una volta il vento ci sarà amico. L'indomani mattina, consapevoli della relativa “brevità” della tappa, salpiamo senza fretta. Ci larghiamo esageratamente dalla Secca del Generale prima delle operazioni di rito per mettere alla vela. Quando finalmente mettiamo il Kikka in rotta sono già le nove e mezza... Ma non sbagliamo.
Infatti, il vento che ci fa “camminare” a quattro nodi, verso fine mattinata si intensifica e ci accompagna senza mai cedere fino al porticciolo di Marina di Camerota che raggiungiamo nel primo pomeriggio.
È difficile per me spiegare da quale "ressa" di sensazioni sono assalito. Finora, tutte le tappe, anche quelle con percorsi fuori vista lontano da terra, sono da considerarsi "rotte costiere". Non dobbiamo dimenticare che viaggiamo senza strumentazione in "navigazione stimata"... Ma per andare a Lipari dobbiamo proprio buttarci nel bel mezzo del Tirreno.... È un'altra faccenda.
Provo a spiegarmi meglio.
Io sono uno dei tanti "figli di Moitessier" che solcano i mari del mondo (anche se per ora navigo nelle pozzanghere). Moitessier è un mito per tutti noi. Il suo primo libro, "Un vagabondo dei mari del Sud" ha fatto irreversibilmente innamorare migliaia e migliaia di neo-marinai in erba.
Bernard, questo è il nome dell'autore, era un inguaribile romantico e coltivava la sensazione di andare per mare nel modo più naturale possibile. “Quel che non c'è non si può rompere”- diceva - “Ed in mare non si deve essere schiavi della tecnologia. Anzi... Ci si deve sentire parte di questa natura, a volte gaia e generosa, a volte spaventosa e selvaggia, nella quale noi tutti siamo immersi”.
È un fatto di allenamento. Bisogna impegnarci per riuscire a “sentire” quel che la natura ci racconta... Quello che la barca ci racconta... Una luce diversa, un suono inusuale, una qualsiasi stonatura del meraviglioso “quadro” intorno a noi... Ogni piccola sfumatura può farci capire per tempo qual'è la cosa giusta da fare e quando farla.
Si pensi che quando Moitessier faceva scuola di vela a Tolone col Joshua (la barca con la quale farà un giro del mondo e mezzo senza scalo) insegnava ai suoi allievi come raggiungere la Corsica senza bussola. “Oggi soffia il Maestrale” - diceva - “Un vento da Nord-Ovest che rimarrà costante per tutto il viaggio. Imparate a sentirlo dietro le orecchie... Adesso vi tolgo la bussola e dovrete rimanere in rotta lo stesso”.
Per parte mia, anch'io nel mio piccolo, cerco di fare lo stesso. Così per navigare non mi servo degli strumenti sofisticati che la tecnologia ci mette a disposizione... Anzi, navigo con l'essenziale.
Una delle cose di cui mi sono preoccupato durante la preparazione della barca per questo viaggio è proprio l'approntamento e l'approvvigionamento di tutto quanto necessario alla navigazione.
Vediamo in cosa consiste: ho acquistato le carte nautiche ed il portolano dell'ammiragliato - ho acquistato una piccola bussola da rilevamento per boy-scout durante un mio viaggio di lavoro a Napoli (£ 5.000 al mercato) - una piccola bussola per la navigazione è già installata a bordo - matita, squadrette e compasso me le ha date Salvatore* - poi ho autocostruito un paio di cosette...
1. Ho installato un goniometro a poppa (di quelli per la scuola) al quale ho collegato un filo di una decina di metri con un piccolo peso in fondo. Questo strumento mi consente di valutare lo scarroccio.
2. Ho costruito un solcometro a barchetta per misurare la velocità sull'acqua (diversa dalla velocità sul fondo quando si è in presenza di corrente).
Schizzo di un solcometro a barchetta costruito per la misurazione della velocità sull'acqua.
Non mi dilungherò sui dettagli: i neofiti non sarebbero interessati mentre gli esperti si annoierebbero... Diciamo quindi che, con una certa cadenza, misuro la nostra velocità ed aggiorno il punto nave (né più né meno di quanto si faceva regolarmente sulle navi a vela di un tempo).
3. Non va dimenticato il mio orologio - cronometro da polso comperato a Milano a pochi soldi con il quale prendo il tempo al solcometro a barchetta e rilevo i fari di notte.
È in questo modo... Con questa "filosofia" che partiamo per le Eolie.
IL GRAN SALTO
A Marina di Camerota abbiamo tutto il tempo per fare provviste. Dobbiamo essere molto prudenti. Imbarchiamo viveri per diversi giorni e tanta... Tantissima acqua in bottiglia. Abbiamo davanti un salto di 94 miglia ed è la prima volta in assoluto che mi lancio in una simile avventura. Bisogna considerare inoltre che andando a vela questa distanza è solo la minima teorica: infatti, se il vento non è favorevole, per risalirlo occorre bolinare aumentando considerevolmente la lunghezza del percorso.
Mi sorprendo calmo e metodico: sono psicologicamente preparato. Le previsioni del tempo che sono riuscito a vedere presso la Capitaneria Di Porto sembrano buone. Dovrebbe esserci vento in arrivo nelle prossime 24/48 ore e la direzione prevista è proprio il Nord-Ovest che a noi fa comodo. È un vento che dovrebbe arrivare a poppavia del traverso sulla nostra dritta. In realtà per effetto della nostra velocità il vento apparente che avremo sulle vele sarà un traverso... Ottimo!
Ormai ho sviluppato la mentalità del marinaio di un tempo... Navigare con tempo arruffato e riposare nelle giornate di calma.
Così, la mattina dell'indomani usciamo fuori dal porto verso le dieci del mattino, approntiamo la barca per la navigazione e facciamo vela con rotta approssimativamente Sud-Sud-Ovest.
La partenza è entusiasmante ed il vento ci gonfia le vele dandoci una velocità di più di quattro nodi. Il mare è decisamente calmo e la barca ha una bella stabilità di rotta. Mi è utile questa stabilità... Non avendo pilota automatico devo stare alla barra ininterrottamente per tutta la traversata. Ma, quando serve, posso chiedere aiuto a Margherita ed allontanarmi qualche secondo per le manovre alle vele.
Momenti in cui sono costretto a lasciare il timone esistono... Ma sono sporadici. Posso anche mettere la barca alla cappa per tutto il tempo necessario... Ma in questo caso ci si ferma e sono tutte miglia perse.
Per un paio d'ore mi illudo che questa volta avremo una traversata semplice e veloce: infatti riusciamo a tenere la giusta rotta per andare a destinazione e la velocità è persino "briosa". Ma mi accorgo presto di un fenomeno che ben conosco ma che non ho preso in considerazione: il vento di imbatto o vento di brezza che dir si voglia. Si tratta della "termica", ovvero del vento che si sviluppa sotto costa nei giorni senza grandi perturbazioni a causa delle diverse condizioni di irraggiamento solare sul suolo piuttosto che sul mare. Mano a mano che ci allontaniamo dalla costa infatti vediamo il vento migliore passare alle nostre spalle e noi navighiamo a velocità ridotta verso una zona di poca aria. Comincia così la parte centrale del viaggio, quella più lunga... Soprattutto in termini di tempo trascorso in mare.
Dopo una giornata piuttosto "fiacca" che comunque ci permette di avanzare più di quanto avessi immaginato, il tramonto ci vede arrancare a due nodi in un mare decisamente calmo. Andrà così per tutta la notte ed ogni tanto non dico che qualche sonnellino di qualche minuto non ci "scappi".
Verso le tre di notte, sono appunto "perso" tra le braccia di Morfeo, quando un rumore improvviso molto vicino mi fa sobbalzare col cuore in gola. La notte è nera, di un nero profondo e l'unica cosa che vedo è la fioca luce rossa della bussola. Il rumore veniva dal mare, alla mia destra... Come se mi avessero lanciato qualcosa molto, ma molto vicino. Ci metto un po' a capire... Io penso ad un delfino, ma potrebbe essere anche un grosso pesce in caccia... Non lo saprò mai. Ma questa barca ha dimensioni tali che mi sento praticamente seduto sull'acqua.
Comunque l'ebbrezza della sorpresa dura poco e la sonnolenza di quell'universo di calma e silenzio mi invade di nuovo. Tengo in mano un registratore che si avvia direttamente per mezzo di un pulsante (e si ferma automaticamente quando il pulsante viene rilasciato): è la mia "arma segreta" per la navigazione stimata. Invece che fare il punto con cadenza regolare come si faceva in marina all'epoca delle navi a vela, io registro ogni variazione. Memorizzo orario, rotta, velocità stimata e quant'altro mi sembra opportuno ricordare per aiutarmi a fare una buona stima. Poi, quando mi sembra opportuno, trasformo tutte quelle informazioni in un nuovo "punto stimato".
Quella notte il vento non sarà solo leggero, ma cambierà continuamente di direzione. I momenti migliori, si fa per dire, sono quelli nei quali sono costretto a bolinare. In queste condizioni, anche se poco, si avanza comunque quasi controvento e l'aria sulle vele e sul viso tende piacevolmente ad aumentare. All'alba, riportando l'ultimo punto nave della notte, non posso che riflettere su quella linea senza senso che è la rotta fatta sinora. Tra le volte che ho dovuto cambiare direzione a causa delle variazioni del vento e le volte che ho solamente immaginato di andarmi a cercare il vento un po' più a destra o un po' più a sinistra, sulla carta nautica la traccia sembra quella di un ubriaco.
Avanziamo comunque sempre a bassa velocità fino a circa le undici del mattino quando finalmente appaiono fra la foschia le sospirate isole. È un momento particolare, un punto essenziale nella nostra navigazione... Non solo perché trasforma in certezza l'ipotesi d'aver fatto bene i calcoli, ma soprattutto perché adesso possiamo concentrarci sulla cosa più importante: dare un nome a tutte le terre emerse che vediamo. La cosa più sbagliata sarebbe quella di fidarsi del punto nave stimato e forzare quelle isole ad occupare il posto che si adatta ai nostri calcoli. Preferisco di gran lunga prendere il portolano e cominciare a fare tutti i ragionamenti che l'esperienza mi ha insegnato. Piano piano tutto va al suo posto ed io so esattamente dove puntare. Nel frattempo il vento cessa del tutto, ma quando tornerà so che farò rotta sulla sinistra dell'isola di Salina.
Il morale a bordo è altissimo e la fiducia sul fatto che il vento non tarderà ad arrivare ha la meglio sulla situazione altrimenti deprimente. Mi viene un'idea: dobbiamo festeggiare. Visto che di vento non ce n'è, ammaino le vele (che smettendo di sbattere già ci rendono la vita più piacevole) e chiedo a mia moglie di fare due spaghetti al tonno (ne abbiamo pescato uno non molto grande che è finito in alcuni barattoli sott'olio pronto per insaporire al meglio del buon sugo al pomodoro).
Quando la "mogliettina" chiama la famigliola a tavola, calcolo che mancano una ventina di miglia all'isola di Salina.
Festa grande... Non c'è che dire. Non ci facciamo mancare nulla. Ma prima di finire la "fiesta", sentiamo distintamente un colpo di vento piuttosto forte che si abbatte su di noi senza alcun preavviso. Tin-tin-tin... Tutto quel che può "tintinnare" lo fa senza ritegno. Le drizze in acciaio che per pura pigrizia ho lasciato incocciate sulle tavolette delle vele ammainate saltano a destra ed a manca con una certa violenza. Ma io non mi scompongo: che i festeggiamenti proseguano fino alla loro naturale conclusione. Vento e mare dovranno aspettare... Almeno fin dopo il caffè.
Quando infine metto il naso fuori rimango sorpreso. Ci saranno almeno venticinque nodi ed il mare comincia a dare segni di essersene accorto. Ma di una cosa molto positiva mi rendo subito conto e mi lascia di buon umore: la direzione del vento ci porta proprio dove vogliamo andare. Certo, issare le vele senza l'aiuto del motore con questo vento potrebbe essere un problema... Bisogna sapere cosa fare per evitare pericolose rotture. Isso il fiocco medio che si mette a bandiera concedendomi di tesare la sua drizza a ferro. Devo fare presto... Molto presto, perché sono proprio queste "frustate" che possono romperlo. Ma la barca è piccola e la manovra si conclude in un baleno. Poi, faccio portare e, col vento all'anca, cazzo la scotta quasi fino in fondo. A questo punto, con una virata a 270 gradi prendo a collo. Solo così posso issare la randa con una mano di terzaroli senza temere rotture. La vela sale protetta dal fiocco, anche se solo parzialmente, e posso mettere a segno la drizza balestrando quanto serve fino ad essere contento del risultato.
Non credo ai miei occhi... Non appena metto in rotta e porto a segno le vele tutto sembra calmarsi. Le vele non sbattono più e tirano come una mandria intera. Le onde che prima sembravano preoccupanti diventano dolci e quasi carezzano la carena. È la magia delle andature portanti. La barca, correndo veloce davanti alle onde viene raggiunta quasi a fatica e queste, invece di "sbatacchiarci" violentemente, ci passano sotto con delicatezza: sembra quasi che non vogliano farci male.
Io mi rendo conto che non posso lasciare il timone neanche per un attimo: questa magia durerà fintanto che durerà questo equilibrio. Ma la verità è che non voglio neanche lasciare il timone. Ormai "fiuto" la meta e non penso ad altro che ad avanzare mantenendo sempre la massima velocità. So bene che una volta arrivati nella rada del porto di Lipari saremo al sicuro... Sicuramente saremo almeno protetti dal mare. Potremo allora riposare a sazietà. Ma adesso bisogna mantenere la massima concentrazione e non "sbagliare un colpo".
Ci mettiamo più di tre ore a raggiungere il traverso (quasi) dell'isola di Salina. È un momento importante. Sebbene non possa dire di aver mai avuto in queste ore alcun problema a tenere la barca in assetto a questa velocità pazzesca, mi rendo conto che le condizioni al contorno diventano sempre più impegnative e sento nella pelle che il rischio, mano a mano che avanziamo, continua ad aumentare. Parlo di rischio senza meglio specificare e lo faccio a ragion veduta. Infatti i timori sono diversi e non sempre chiaramente identificabili. La navigazione col vento in poppa, quando questo è eccessivo, non presenta solo i vantaggi che abbiamo visto: quello che può succedere è che un'onda diversa dalle altre, una qualsiasi improvvisa rottura o più semplicemente la perdita di controllo da parte del timoniere porti la barca fuori assetto. In tal caso, la prima conseguenza è quella di perdere velocità se non di traversarsi al mare. I velieri di una volta potevano anche affondare per questo. Mare e vento si gettano allora sopra la sventurata nave senza più alcun controllo e con tutta la loro reale velocità non ridotta dalla fuga a fil di ruota.
Sono tesissimo... Tutti i sensi all'erta. Voglio assolutamente continuare fino a girare intorno all'isola... Almeno quel tanto che basti per sentirne gli effetti di ridosso. Ma mentre sono così concentrato, senza un apparente motivo, scatto per ammainare il fiocco. Non avrei voluto farlo... Ma ho sentito dentro che questa volta non avrei avuto una seconda "chance". Non è una manovra semplice. Ancora una volta occorre essere freddi e molto tecnici per evitare rotture. Ma so quel che sto facendo e tutta la manovra non mi prende più di un paio di minuti.
È incredibile!... Ho visto giusto. Non faccio in tempo a rimettere la barca in rotta che la botta arriva. Adesso il vento sarà almeno a trentacinque nodi e noi procediamo veloci come prima con la sola randa terzarolata a riva.
Comunque siamo ormai a poca distanza da Capo Faro e mi aspetto un qualche miglioramento appena lo avremo doppiato. In effetti, appena possibile, scapolato il promontorio, accosto di qualche grado e, non mi sembra vero, la randa adesso lavora meglio... Sembra più stabile. Il mare invece, almeno per il momento sembra peggiorare. Ottengo comunque una piccola soddisfazione... Un passo avanti: faccio rotta su Punta della Castagna, a Lipari, e quest'isola è proprio la nostra meta finale.
Purtroppo le mie belle idee sulla relativa protezione dalle onde che avremmo dovuto avere nel tratto di mare tra queste due punte si rivelano del tutto infondate. Tutti sappiamo che la violenza del mare aumenta nei pressi di un capo... E questo è normale. Ma per quel che ci riguarda, non è il capo il problema. Mano a mano che mi addentro in questa sorta di canale tra le due isole la navigazione si fa sempre più dura. Onde e vento cambiano direzione e ci vengono addosso sulla dritta al traverso. Sembra quasi che entrambi gli elementi si incanalino tra le due masse vulcaniche subendo una compressione ed una deviazione aumentando contemporaneamente di intensità. Sono circa cinque miglia di mare e saranno in assoluto la parte più dura da traversare dell'intero viaggio. Ad ogni modo, dopo circa un'ora in queste condizioni, finalmente siamo quasi all'altezza di Punta della Castagna: sono certo che adesso, andando avanti, almeno il mare dovrebbe migliorare. Anzi, mi sembra proprio, guardando avanti a prua, di intravedere un netto miglioramento del moto ondoso. Il vento continua a soffiare feroce, ma il mare si fa più maneggevole. Ho la sensazione di avercela fatta... Tutto ormai è alle spalle.
Lipari però intende darci il suo "benvenuto". Quel che accade, almeno all'inizio, non lo capisco. Dei sassi ci colpiscono con grande violenza... Colpiscono la barca, colpiscono le vele, colpiscono anche me... Ma non mi fanno nulla... Non sono ferito. Cosa buffa, un sasso grande quanto una noce mi colpisce in testa e cade in acqua... Non solo non mi fa male, ma galleggia.
Siamo sottovento alle cave di pomice. Non avevo mai assistito a questo fenomeno. Il vento crea dei violenti vortici a terra e solleva vere e proprie nuvole di polvere. Ovviamente, data la sua leggerezza, riesce a scagliare in aria anche sassi dello stesso materiale. Dopo poco il mare è pieno di pietre galleggianti.
Ad ogni buon conto, il fenomeno non dura a lungo. Il vento si mantiene rabbioso ma il mare si calma molto mano a mano che procediamo verso la Sciarra di Monte Rosa, l'ultima propaggine dietro alla quale troveremo il porto.
Avvicinandomi molto alla costa, mi accorgo che subito sotto questo massiccio promontorio c'è una sacca di calma relativa. Lo vedo bene dal mare che, ormai a ridosso dell'isola, non presenta più il moto ondoso che abbiamo visto prima... Piuttosto sembra "bollire" sotto l'effetto del vento. Ma sotto il Monte Rosa l'acqua non bolle. Vedo bene, da come il vento tratta la superficie dell'acqua, che se vorrò entrare verso Pignataro dovrò bolinare "selvaggiamente" contro un vento apparentemente insostenibile. Decido allora di approfittare di questo "angolo di acque quiete" per prepararmi a risalire il vento.
Una volta sotto costa nel punto giusto, metto alla cappa. Prendo una seconda mano di terzaroli e cambio il fiocco con la tormentina. Non ho più vele... Sembrano due fazzoletti. Ma se tanto mi da tanto, se quel che vedo è vero... Andrà bene così. Sono un po' angosciato: mi chiedo se la barca riuscirà ad avanzare di bolina. Ad ogni modo, lo scopriremo presto. Metto le vele in assetto ed esco dal quel "rifugio" improvvisato.
Accidenti!... Quando le vele prendono vento la barca si abbatte su un fianco fino alla falchetta. Sembra proprio che i 35 nodi li abbiamo superati. Sono contento di avere ridotto le vele quasi all'osso... E poi, sono contento che ormai siamo a ridosso per quanto riguarda il moto ondoso. Risalire in mare aperto con queste condizioni meteo sarebbe impossibile, ma qui, dovremmo riuscirci.
È la grande questione. Se riusciamo a risalire giungiamo in porto e possiamo considerarci arrivati: fine del viaggio. Se non riusciamo a risalire e il vento ci spinge indietro anche solo di un miglio, le onde contrarie diventano un ulteriore ostacolo e finiamo col trovarci impegnati a "centrare" lo stretto di Messina. La risposta a questa domanda è molto importante ed ho bisogno di fare subito qualcosa per capire come va a finire. Ormai siamo all'imbrunire e non mancherà molto al calar della notte. Prendo immediatamente un paio di allineamenti a terra e mi curo che rimangano visibili anche al buio. Fortuna vuole che all'imbrunire le luci cominciano ad accendersi e ne trovo un paio che fanno al caso mio alla nostra sinistra.
Faccio un bordo intero puntando verso la costa Sud dell'isola e quando arrivo più o meno all'altezza del castello, subito a Nord di Marina Corta, viro. Vado avanti per un altro bordo intero e viro di nuovo quando siamo sotto Monte Rosa. Controllo con ansia il mio allineamento... Vedo con sorpresa che non siamo andati avanti neanche un metro... È sconfortante.
Tengo duro. Cerco di riflettere mentre pongo tutte le mie capacità nel cercare di fare correre la barca guadagnando al vento. I miei sono sottocoperta e sento che fanno di tutto per risollevare il morale del gatto che dev'essersi stufato di questo viaggio. Rimuginando sulla situazione, penso che "volendo"... Qualcosa di positivo la possiamo pure trovare. Primo: se anche è vero che non avanziamo, è anche vero che non siamo in rotta per Messina. Secondo: le qualità marine di questa carena, già viste all'inizio di quest'avventura, si dimostrano importantissime in questo frangente e corriamo sotto vela con una stabilità invidiabile. Terzo: con questa velatura così ridotta, quando vado alla vira non faccio nessuna fatica e riesco a bordare il fiocco sulle altre mura con un colpo secco tirando la scotta mentre questo passa sventato da una parte all'altra. La virata risulta istantanea ed non cediamo un solo metro allo scarroccio.
Ormai è notte. Mi accorgo che sarebbe una notte nera come la precedente se non avessimo le luci della costa a rischiarare il cielo. Dentro le cose vanno meglio... Sento delle risa provenire dalla dinette. Margherita ha deciso di distrarre sia Marco che il gatto col quale probabilmente stanno giocando. Faccio tre/quattro bordi senza avanzare... Apparentemente... Si perché, ad un cero punto posso rilevare di essermi mosso in avanti sull'allineamento che continuo a controllare ogni volta che ritorno sotto il Monte Rosa. Mi si gonfia il cuore di speranza... Non mi interessa quanto tempo sarà necessario per arrivare in porto... Mi sento forte e determinato: ce la faremo!
Il controllo sull'allineamento, come abbiamo visto, lo faccio sempre nello stesso punto, ovvero dopo la virata sotto il Monte Rosa: praticamente ogni due bordi, uno di andata ed uno di ritorno. Percorriamo circa un miglio per andare ed un miglio per tornare... I conti tornano... Infatti ci mettiamo circa mezzora... Avanzeremo a quattro nodi ma lo scarroccio sarà considerevole. Teoricamente potrei misurarlo; ma non me ne curo. Avrebbe senso se fossimo in navigazione stimata, ma noi ormai navighiamo a vista. Per misurarlo finirei col deconcentrarmi e perdere metri preziosi... E poi?... A che mi servirebbe? Preferisco rimanere concentrato e lottare per strappare al mare ogni centimetro.
Andiamo su e giù cercando di addentrarci nella rada di Lipari. Sono circa le undici e mezza ed ormai conosco bene la situazione. So che avanziamo lentamente... Ma avanziamo. Ad un certo punto, guardando verso Messina, vedo una nave: a giudicare dalle luci di via sembra in avvicinamento. Decido di tenerla d'occhio: essere speronati a meno di un miglio dall'arrivo mi darebbe proprio fastidio. Al momento dell'incrocio riusciamo a passargli di prora: avanza molto lentamente. È un po' che continuo a scrutarla... Sembra una nave cisterna... Voglio dire, di quelle navi che una volta cariche hanno la falchetta quasi a pelo d'acqua. Dico ciò perché si vedono le luci di via e la prora, dove evidentemente si trova la plancia di comando vagamente illuminata. Poi buio... Tutto buio fino al castello di poppa anch'esso con qualche luce. All'incrocio decido di passargli davanti: navigando a vela ho la precedenza e non mi posso permettere di perdere decine di metri tanto faticosamente guadagnati per farli passare. Comunque stimo che le nostre rotte, sebbene si incrocino, non siano rotte di collisione. Pertanto nessun problema.
Ci sembra però che la nave in qualche modo ci punti... Non capisco che rotta faccia... Mi arriva ad una cinquantina di metri ed accende un faro di indicibile potenza: la barca si illumina a giorno. Agito le braccia facendo chiaramente segno di tenersi lontano... Ho già fatto l'esperienza di cercare d'essere salvato durante la notte. Grazie!... Da allora, se proprio devo affondare voglio farlo da solo (click). E poi, se proprio vuole, che affondi pure... Lui. A bordo del Kikka noi abbiamo tutto sotto controllo.
Faccio quei gesti sotto la luce del riflettore senza interrompere il governo della barca, semplicemente tenendo la barra del timone tra le gambe. La nave sembra fermarsi e noi in poco tempo ci allontaniamo nel buio.
Questa scena si ripeterà ancora una volta tale e quale prima che il Kikka riesca a gettare due ancore appennellate ad una cinquantina di metri dalla riva. Ma quante navi cisterna vengono questa notte in questo sperduto porto della Sicilia?
Quando infine arriviamo, facciamo la solita manovra ormai collaudata... Più o meno come quella di Capri, con l'unica differenza che questa volta filo due ancore e non una: voglio proprio essere sicuro di non correre rischi durante la notte e di potermi concedere un vero sonno ristoratore senza dover pensare a nulla.
Adesso, una volta che l'ancora ha preso e gli allineamenti a terra ci dicono che non ara, mi sento finalmente stanco... Tutti ci sentiamo stanchi. Tuttavia io lascio che i miei vadano a dormire prima di me e mi attardo nel rassettare la coperta. Ho bisogno di un po' di tempo prima di andare a dormire: non si può spegnere tutta quell'eccitazione con un interruttore. Mezzo sdraiato nel pozzetto mi godo Lipari di notte. Siamo arrivati.
Quando vado a dormire è l'una e mezza e, una volta in cuccetta, cado in un sonno profondo che durerà senza interruzione fino alle otto della mattina successiva. Tutto si ferma a bordo... Persino il gatto quella notte rimarrà nella sua cuccia. La branda non mi è mai sembrata così comoda.
LE ISOLE EOLIE
Al risveglio, la mattina dopo, sono il primo a saltare fuori. Ho dormito profondamente ed il senso di protezione che mi infonde questa baia è difficile da descrivere. Sono già stato a Lipari con la barca di mio zio l'anno prima e so che un vento di Maestrale dura almeno tre giorni. Quindi, finché dura questo vento noi qui staremo benissimo. Certo, vedo bene che arrivano delle autentiche “fucilate” dalle vallate intorno alla baia, ma ho appennellato due ancore e da qui non ci sposterà nessuno.
Ormai sveglio in pozzetto guardo con curiosità un rimorchiatore d'altura all'ancora non molto lontano da noi. Dev'essere arrivato mentre dormivo perché non l'ho visto quando questa notte ho fatto il giro di ispezione prima di dare fondo. È molto bello... Tutto verniciato a nuovo... Tutto arancione. Ma quello che soprattutto mi attira è cercare di capire cos'ha a poppa. Mi sembra di vedere un paio di lunghe antenne issate verticalmente tra le quali è stata fissata una spessa rete da pesca.
Comunque non rimango sveglio da solo a lungo. Margherita si sveglia e in pochi minuti l'odore del caffè invade l'aria. Una barca si stacca dal rimorchiatore con un paio di uomini a bordo... Ci puntano... Dopo poco ci abbordano.
"Eravate voi questa notte alla vela?" - mi apostrofa uno dei due - "Vi abbiamo intercettato due volte... Volevamo essere sicuri che non foste in difficoltà... Siamo andati a prenderne tre la fuori che rischiavano di affondare."
Finalmente mi è tutto chiaro. Mi hanno spiegato che il loro è un rimorchiatore attrezzato per il salvataggio in qualsiasi condizione di tempo. Data la pericolosità di questo tratto di mare, esiste un servizio di soccorso che prevede lo stazionamento del loro rimorchiatore per tutta la stagione estiva. Lavorano agli ordini della Capitaneria di Porto ed escono con qualsiasi tempo. Quelle strane antenne con una rete nel mezzo sono un'attrezzatura speciale che consente il recupero di persone in acqua minimizzando il rischio di imbarcarli col mare formato. Immergono la rete e le persone si aggrappano o vengono letteralmente "pescate" e portate a bordo senza "fracassarsi" sulle fiancate a causa del moto ondoso.
Probabilmente è l'odore del caffè che fa la differenza, perché accolgono il mio invito di salire a bordo e passiamo una ventina di minuti a chiacchierare. Ci raccontano di aver rimorchiato in porto tre yacht durante la notte e così finalmente do un senso a quello che ho visto. Io credevo d'aver incontrato delle navi dell'acqua (quelle che riforniscono l'isola) perché vedevo luci solo a prua ed a poppa ma buio totale nel mezzo. Invece vedevo le loro luci, poi più niente dove correva il lungo cavo di rimorchio ed infine le luci degli yacht che si portavano dietro che mi sembravano quelle delle strutture di poppa di una nave.
Ci facciamo delle gran risate quando mi confessano d'avermi visto bene durante la notte mentre mi sbracciavo perché si allontanassero. "Di solito" - ci dicono - "La gente si sbraccia per farci avvicinare."
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Una foto sul Kikka nella rada di Lipari.
I successivi tre giorni li spendiamo a fare i "visitatori". Voglio dire che ci comportiamo come se fossimo arrivati con qualsiasi altro mezzo al fine unico di divertirci e di conoscere l'isola. Passeggiate, visite ai musei, qualche ristorantino... Insomma, tutto quel che esiste nel copione del turista fai da te: ci informiamo infatti presso la locale agenzia che ci riempe di depliant e partiamo in caccia di tutte le attrazioni che questa perla del Tirreno può offrire.
Una sola cosa è al di fuori di questo schema: il forte vento ha "sbrandellato" le stecche della randa che sono fatte di legno. Dopo qualche ricerca, riesco a trovare un falegname sull'isola che mi vende una stecca di quasi cinque metri di lunghezza che dovrebbe (dice lui...) andare anche meglio dell'originale. Quindi taglio a misura quel che serve e procedo alla sostituzione (l'unica difficoltà che incontro sta nell'estrarre i pezzi rotti che non vogliono saperne di uscire dalle tasche). La parte che rimane della lunga stecca riesco a sistemarla a murata in un modo che risulta quasi invisibile: se ne starà lì pronta per qualsiasi eventuale futura necessità.
Fuori la burrasca non cessa di esercitare il suo potere: siamo alle Eolie... Nella casa del dio dei venti. Ma quando, alla mattina del quarto giorno, il mare si calma e noi decidiamo di salpare, ci accorgiamo che l'ancora è incocciata. Mi armo di maschera e pinne e mi calo in acqua. Avremo venti metri di fondo sotto la chiglia e per me sono troppi. Riesco a scendere fino a dodici/tredici metri, ma non me la sento di andare oltre. L'acqua è straordinariamente limpida e riesco bene a vedere le due ancore sul fondo... È tutta una distesa di enormi massi e una delle due ancore si è incastrata tra loro. Scendo più volte per tentare di liberarmi... Ma niente da fare. Devo scendere a terra e procurarmi un sub professionista.
Prendiamo il battellino e scendiamo tutti immaginando chissà quale difficoltà per cercare aiuto. In realtà è tutto più facile del previsto: è un paese di mare ed esiste un sub che fa proprio questo "mestiere"... Soprattutto d'estate fa un po' di soldi andando a prendere le ancore dei turisti. Probabilmente quell'enorme distesa di massi che ho visto sul fondo della rada è opera sua.
Ad ogni buon conto, alle nove del mattino siamo già "liberi" con entrambe le ancore a bordo ed in rotta per l'isola di Vulcano. A parte le cinquanta mila lire in meno nel portafoglio, praticamente non è successo nulla.
ISOLA DI VULCANO
Non sono più di quattro miglia per arrivare alla Baia di Levante, ma ci mettiamo comunque quasi due ore. Il vento non manca mai, ma si mantiene leggero e la giornata è bellissima. Prima di partire, me ne guardo bene dal "mettere in scena" la solita routine col motore. Con questa poca aria non succede niente se lascio la barca in balia di se stessa per quel poco che mi serve per issare tutta la tela a riva: così il Kikka sorge dall'ancora direttamente alla vela. Per un po' sfiliamo la costa di Lipari, poi passiamo "il canale" tra le due isole e viriamo intorno a Vulcanello per dirigere davanti alla Spiaggia Delle Acque Calde nella Baia di Levante che, insieme al Porto di Ponente (baia sul lato opposto di un istmo che collega Vulcano a Vulcanello) costituisce uno degli ancoraggi più sicuri da queste parti. L'entrata nella baia avviene con vento in poppa ed andatura a farfalla. Chiedo a Margherita di tenere il timone il tempo necessario per abbisciare la catena dell'ancora. Una volta pronti a filare la manovra si svolge impeccabile come previsto. Ho assicurato la cima sul bittone di prora dandogli già la giusta lunghezza, quando decido di essere sul punto voluto, con un secco strattone, calo il ferro, che in quel fondo agguanta subito, aiutando l'evoluzione della barca che con il timone tutto alla banda gira su se stessa trattenuta dalla linea di ancoraggio. Questa notte dormiremo qui.
Scendiamo subito a terra in esplorazione. L'isola è scarsamente abitata. Non esiste un vero paese; piuttosto ci sono delle case qua e là che sembrano poste a caso. Margherita non resiste e trascina tutti in un "discutibile" bagno di fango che, dice lei, fa bene alla pelle. Naturalmente è già informata della cosa e si muove decisa verso questa specie di pozza gigante dove alcune persone si muovono rotolandosi come ippopotami. Io resisto poco prima di andare a buttarmi in mare a poca distanza per togliermi di dosso tutta quella terra.
Facciamo bagni anche dalla barca. Abbiamo in acqua il "canotto" ed il materassino: il primo è la passione di Marco il secondo di mia moglie.
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Due foto, poggiate una sull'altra, mostrano l'intero cratere dell'isola di Vulcano.
Dopo pranzo, intorno alle cinque, cominciamo la salita al cratere e non ci mettiamo molto ad arrivare. Nonostante si sia nel mese di agosto non troviamo turisti quassù, ma un intraprendente ragazzo ci attende proprio in cima per venderci della CocaCola ghiacciata: naturalmente non ci è possibile resistere.
Lo spettacolo è impressionante. Si vede bene d'essere nel bel mezzo di un cratere di un vulcano quiescente, ovvero ancora attivo con varie fumarole che creano qua e là un certo effetto.
La sera, dopo la doccia, ci godiamo il tramonto mentre Margherita prepara la cena. Nel frattempo discutiamo sul programma del giorno dopo: andremo a visitare la Grotta Del Cavallo che si trova al centro della costa Ovest dell'isola.
L'indomani, verso le dieci del mattino, ancora una volta il Kikka salpa alla vela direttamente. Dobbiamo circumnavigare l'isola per un quarto della lunghezza delle sue coste. Non avendo strumenti d'ausilio per la navigazione dovrò concentrarmi molto per riuscire nell'impresa. Non esistono punti cospicui ch'io possa utilizzare per facilitarmi il compito. Ad ogni modo, ce la facciamo e, di fronte alla rada ammaino tutto e preparo il motore... Occorre entrare in un "anfratto" con rocce e pareti scoscese dappertutto: non è pensabile entrarvi alla vela. Oltretutto, piccole raffiche calano dai crinali posti tutt'intorno e giungono all'improvviso da direzioni sempre diverse. Sarebbe una follia.
Una volta dentro, facciamo diversi "giri di perlustrazione" ma non mi decido a dare ancora da nessuna parte: ho paura di fare la stessa fine che ho fatto a Lipari due giorni fa... Ma non ci sono sub da queste parti. Continuando a girare, non posso non notare che non siamo soli: un bel peschereccio verniciato a nuovo è posizionato con ancora al centro della baia e cime a terra. A bordo vedo una famigliola: un pescatore, sua moglie e suo figlio. Rispetto alla nostra barchetta è enorme... Non si accorgerebbe neanche di noi se ci concedesse di accostare.
Così mi avvicino e, con tutta la "gentilezza" di cui sono capace gli chiedo se sarebbe disposto a "farci da banchina" per un accosto di fianco. Si dimostra immediatamente una persona aperta e disponibile e, mentre mi fa cenno d'assenso, già si porta a murata per prenderci una cima. In un attimo siamo "ormeggiati" e chiacchieriamo come fanno i marinai. Lui passa tutto l'anno a pescare: è la sua unica professione. Quando viene l'estate, usa la sua bella barca per le vacanze dell'intera famiglia. È qui da tre giorni e se la passano piuttosto bene. Immediatamente, Margherita si mette a parlare con la moglie del pescatore e dopo pochi minuti siamo tutti sulla coperta del peschereccio a prendere un caffè all'ombra di un grande tendalino mentre i due ragazzi giocano come se si conoscessero da sempre.
Come possa accadere non si sa... Ma leghiamo subito noi due. Lui è un vero marinaio, io un vero appassionato. Ciò che colpisce però è qualcosa di più. Ch'io sia interessato a lui è normale... Vista la mia passione. Quel che mi sorprende è che lui sia interessato a me. Abbiamo esperienze complementari. Lui ne ha viste di tutti i colori, ma non si è mai allontanato da queste isole. Il fatto che noi si venga da lontano con una barca così piccola e senza motore... Beh!... Questa cosa lo colpisce. Conosce il mare e sa quel che può succedere "là fuori". Continua a farmi domande su domande e le chiacchiere tra noi non saranno mai banali.
Passiamo l'intera giornata in compagnia. Probabilmente anche i nostri nuovi amici hanno piacere di interrompere la quieta solitudine che caratterizza le loro vacanze. Così, verso le sei di sera, viene naturale l'idea di cenare insieme. Le donne si organizzano: "io faccio questo tu fai quello". Noi maschi ci assumiamo il compito di andare a caccia... A caccia di patelle.
Io metto pinne e maschera e mi calo in acqua con coltello e retino. Avvicinandomi agli scogli che orlano tutta la baia riesco a trovare delle vere patelle giganti. Lui non usa niente... A parte il coltello. In pochissimo tempo torniamo a bordo con un bel bottino. Preso un bugliolo d'acqua di mare, occorre spazzolare energicamente il "dorso" di ciascuna patella per essere certi di eliminare qualsiasi possibile residuo non voluto. Con queste si fa un sugo esattamente come con le vongole. L'unica differenza è che le vongole le mangiamo, le patelle no... Danno solo il loro sapore (so di qualcuno che le mangia... Questione di gusti).
Dal Kikka arriva il vino e qualcosa da bere dopo cena. Che serata!... Quando arriva la notte e tutti vanno a dormire, io e il pescatore ci attardiamo a parlare sulla tolda del peschereccio. Tutte le luci sono ormai spente e non si vede traccia di umanità intorno a noi. In quel buio totale, le stelle in cielo diventano migliaia e la notte nera non è poi così nera. Andremo a letto tardi ma entrambi porteremo con noi il fascino dei nostri discorsi. Se non ci fosse il buio a proteggere da sguardi indiscreti la nostra espressione... Potremmo vedere i nostri occhi fissare sognanti l'infinito del mare di cui siamo entrambi innamorati.
ANCORA A LIPARI
La mattina dopo, senza fretta, salpiamo per ritornare nella rada di Lipari. Ci salutiamo calorosamente come fanno i marinai, come se ci dovessimo rivedere il giorno dopo... Non ci rivedremo mai più. Il vento si mantiene debole ma non manca mai ed arriviamo a dare ancora a fine mattinata. Questa volta però ho studiato i fondali: non intendo fare l'abbonamento col sub del posto. Inoltre, per prudenza, metto il grippiale e mi curo di non avere più di cinque metri d'acqua sotto la chiglia. Pericolo scongiurato!
Staremo qui qualche giorno prima di salpare per Salina.
SALINA
La mattina della partenza, con calma, prima di salpare, facciamo cambusa. Margherita compra un "grappolo" di peperoncini rossi che appende in dinette a murata vicino al fornello. Non ne avevo mai visti così: sono rotondi e pizzicano le mani quando li si tocca. Fa allegria un punto di rosso vivo all'interno della barca.
L'intero percorso non sarà più lungo di una decina di miglia e, se le Eolie manterranno ciò che il nome promette, avremo sempre un po' di vento. Dovremo ripercorrere a ritroso l'ultimo tratto della rotta fatta per arrivare a Lipari. Ma questa volta non si vedono segni di burrasca. Si salpa senza problemi e, tanto per risparmiarci fatica inutile, il motore lo lasciamo nel suo supporto sul pulpito: si sorge sull'ancora alla vela. Questa manovra, semplice in sé, diventa addirittura banale quando ci si abitua. La giornata è bella e la barca scivola veloce sul mare calmo del mattino. All'inizio, il sole basso sull'orizzonte ci indica la rotta: lo abbiamo dritto in prua e, guardando a poppa, ci consente di vedere i colori dell'isola più vivi e più marcati che mai: queste isole sono uno spettacolo della natura.
Ci rilassiamo veleggiando... Quasi che non fossimo in viaggio. È uno di quei momenti ideali per gli amanti della vela nei quali il vento è quello giusto ed il mare è calmo. Scapolato il Monte Rosa, le cui forme sento scolpite nella memoria, stringiamo sotto costa per sfilare davanti alla spiaggia di Canneto. Invece di andare diretti, seguiamo l'andamento della costa a poca distanza dalla riva: non ci interessa arrivare in fretta, ci interessa vedere questa parte dell'isola dal mare. Quando siamo di fronte alla cava di pomice siamo costretti a passare un po' più a largo: l'acqua limpida ed il fondo bianco ci danno la sensazione di bassi fondali e non vogliamo concludere qui il nostro viaggio.
L'isola di Salina sullo sfondo, vista dalla spiaggia dell'Acqua Calda a Lipari.
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Poi, scapolata la Punta Della Castagna, stringiamo sotto costa e buttiamo l'ancora a pochi metri dalla battigia di fronte alla spiaggia dell'Acqua Calda. Ci fermeremo in quest'acqua così invitante per fare il bagno e per pranzare a bordo. Da qui vediamo l'isola di Salina e l'agglomerato di case che ci indica lo scalo: la nostra meta di oggi. Penso che passeremo lì la notte.
Verso le cinque, dopo un lungo bagno, un buon pranzetto e persino una bella siesta nelle ore più calde del pomeriggio, riprendiamo la navigazione. Quando arriviamo ci accorgiamo che non esiste un vero porto: piuttosto sembra uno scalo per le navi. Ma noi riusciamo a sistemarci di fianco in banchina vicino alla radice del molo Est.
Dopo aver fatto una camminata per sgranchirci le gambe, decidiamo di cenare a bordo: domani vogliamo andare a Filicudi. Quando dopo cena io e Margherita ci fermiamo a chiacchierare in pozzetto mentre Marco dorme, veniamo avvicinati da un piccolo gruppo di persone: "È vero che eravate voi alcuni giorni fa?..." - ci dice uno di questi - "Vi abbiamo visto passare in burrasca... A mare c'eravate solo voi... Com'è andata?... Ve la siete cavata?..."
Ci sembra strano che abbiano riconosciuto la barca. Ma, a pensarci bene, le barche che arrivano su queste isole per turismo sono ancora poche ed una barca piccola come la nostra poi, si nota subito.
FILICUDI
Appena svegli, il giorno dopo, salpiamo come da programma. La nostra meta dista circa quindici miglia e non esiste sull'isola un porto dove rimanere al sicuro con ogni tempo. C'è uno sbarcatoio, una specie di molo in mare aperto dove con bel tempo si può attraccare. È logico che ci sentiamo particolarmente esposti: navighiamo su di una piccola barca senza motore e, in caso di qualche brutto scherzo del tempo, potremmo avere seri problemi. Starò sempre con le antenne alzate... Vedremo di non farci sorprendere "attraccati" a terra in caso di pericolo.
Già... Questa è la cosa che suona strana alle orecchie di un "terraiolo". In caso di mare e vento pericolosi, è proprio la prossimità con la terra che presenta il rischio maggiore. Le statistiche mostrano come solo pochissimi affondamenti si verifichino in mare aperto: la stragrande maggioranza avviene per collisione con la costa. Conclusione: l'istinto, in caso di pericolo in mare, ci spinge verso terra mentre in realtà è proprio quello il momento nel quale dovremmo starne lontani.
Il vento ci accompagna leggero per tutto il percorso ed una veleggiata senza storia ci porta di fronte al molo che rappresenta la nostra destinazione di oggi.
Lo sbarcatoio a Filicudi in una foto presa da Google Maps - Street View.
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Al nostro arrivo il molo è quasi tutto “libero”. Una barca da pesca è ormeggiata di fianco dalla parte opposta. Io potrei fare a meno di mettere il motore in acqua ed attraccare direttamente alla vela, ma sarebbe un'imprudenza imperdonabile. Durante tutta la sosta, preferisco tenere costantemente la barca pronta a salpare: il motore già in grado di "muovere" fa una bella differenza.
Comunque devo dire che penso potremmo anche essere molto fortunati. Infatti il mare è particolarmente calmo e, anche se il posto è completamente "aperto", al momento stiamo benissimo. Quel po' di vento che abbiamo incontrato per giungere fino a qui spira dalla parte opposta dell'isola e noi qui ci troviamo a ridosso.
Troviamo in tutto quattro case sperdute ed un solo "negozietto" dove acquistiamo qualcosa più per curiosità che per necessità. Per farlo ci accolliamo una scarpinata che ci porta in alto verso quello che dovrebbe essere "il centro del paese". Quando rientriamo è calata la notte e solo ripercorrere la strada a ritroso nel buio è un problema. Alla fine, una volta a bordo, rimaniamo proprio soli. Le luci sono rade ed il buio la fa da padrone ma, il cielo è terso e le stelle tornano a trovarci a migliaia. Per fortuna tutto è calmo intorno a noi.
L'indomani decidiamo di portarci dall'altra parte dell'isola per dare un'occhiata. Verso le undici, troviamo un posticino vicino ad uno scoglio particolare che ha forma di un arco con tanto di passaggio possibile per il canotto. Gettiamo quindi l'ancora lì vicino e ci diamo ai bagni. Siamo completamente soli e non vediamo nessun segno della presenza dell'uomo. Così, dopo aver pranzato, decido di fare vela per tornare a Salina.
Non era una decisione già presa quella di spingerci o no fino ad Alicudi. Mi avevano avvertito che non avrei trovato nulla. Sono isole molto belle, ma le isole sono tutte belle e queste sono molto piccole e ci vivono veramente pochissime persone (che si fa fatica a vedere in giro). Quindi, visto che il vento è pochissimo, decido, come ho detto, di saltare Alicudi e ritornare a Salina.
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Da Filicudi a Salina issiamo il gennaker (poco vento).
Viaggio tranquillo e sereno... Ma senza vento... O quasi. Avanziamo lentamente in un mare placido. Per cercare di raccogliere ogni bava di vento, decido di issare il gennaker che, data la leggerezza del suo tessuto, riesce là dove il genoa fallisce... Anche se lentamente, avanziamo.
È già buio quando attracchiamo a Salina dove andiamo ad occupare lo stesso posto che avevamo all'andata. Una bella passeggiata a terra prima di andare a dormire ci consente di sgranchirci le gambe. Io poi, come capita spesso, lascio andare a letto gli altri per primi e mi attardo nel pozzetto a godere di questi momenti che appagano la mia voglia di "vita di mare". Tutto mi affascina. Un pescatore da banchina "acquattato" in fondo al pontile ha ben tre canne con la lenza in acqua... Ha installato un campanellino sulla loro punta... Se un pesce tocca l'esca si mette a suonare. Un pescatore professionista si attarda a bordo prima di andare a casa a dormire. Ha messo tutto in ordine ed ora sta buttando delle generose secchiate d'acqua di mare sulla coperta. È una barca in legno ed i comenti devono rimanere sempre umidi. Se si dovessero seccare, il legno si "ritirerebbe" e si aprirebbero delle fessure che farebbero passare l'acqua. Guai però ad usare l'acqua dolce... Il legno marcirebbe. Occorre acqua di mare e in abbondanza. Io guardo tutto senza annoiarmi... Potrei passare l'intera nottata a guardare. Poi, raggiunto da un briciolo di saggezza, decido di andare a letto anch'io. Domani cercheremo di raggiungere l'isola di Panarea... Vento permettendo.
PANAREA
La mattina dopo di buon'ora, solito rito appena fuori del porto di Salina. Il Kikka, messo in assetto da navigazione, riprende il suo viaggio a vela con rotta Est-Nord-Est: andiamo a Panarea. L'isola dista meno di dieci miglia ed è quasi sempre in vista: non servirà impegnarsi tanto per fare "l'ufficiale di rotta". Basterà tenere conto solamente del "cammino" percorso e sapremo sempre dove siamo.
In realtà le cose vanno molto meglio del giorno prima. Il vento si mantiene sempre debole, ma non ci abbandona mai e finiamo il viaggio gettando l'ancora alle spalle della famosa spiaggia di Cala Junco. Come sempre intorno ad un promontorio, si da ancora dall'una o dall'altra parte a seconda della direzione del vento.
Posizione del Kikka appena giunti a Panarea in una elaborazione di una foto presa da Google Maps.
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È una gran bella giornata e, appena calata l'ancora, ci ritroviamo tutti in acqua. Il posto è incantevole e sappiamo che sopra al promontorio ci sono i resti di un villaggio preistorico che si possono visitare. Non ho voglia di gonfiare il canotto, così decidiamo di scendere a nuoto. Io prendo le pinne e le uso per tenere uno zaino fuori dall'acqua mentre uso i soli piedi per muovermi. Così facendo porto le scarpe di tutti e ci incamminiamo direttamente in costume da bagno.
I resti sono solo pietre disposte a testimonianza di quello che doveva essere una volta un insediamento umano di poche persone. Il fascino però non è nelle pietre... Piuttosto sta nella capacità di immaginare come potessero vivere costoro in un posticino tanto bello quanto ben difendibile da qualsiasi nemico sia che esso venisse dal mare che da terra.
Dopo la visita ai resti dell'antico villaggio, rientriamo a bordo per pranzare. Sorpresa!... A poca distanza da noi si è fermato un nostro fratello maggiore: un Maramù, un altro Amel che batte bandiera francese. È una barca di quasi quattordici metri... Una nave rispetto a noi.
Dopo pranzo, decido di ritornare in pozzetto per prendere il caffè all'aperto. Non posso resistere dall'ammirare il Maramù: è una barca eccezionalmente solida e completa progettata espressamente per fare il giro del mondo... È un sogno per me. Con grande sorpresa, mi accorgo che il proprietario, che nel frattempo era sceso in acqua per fare il bagno, punta su di noi. Quando giunge sotto bordo mi rivolge la parola: "Vous êtes italien, je pense... Votre pavillon est italien mais le bateau est français. Il est un Amel comme le mien..." - mi dice - "Je voudrais vous demander de quelle partie de l'Italie vous venez?"
Lo invito a salire a bordo e prendere il caffè con noi. È curioso di sapere che viaggio abbiamo fatto. Ha visto subito che il nostro unico motore, troppo piccolo per esserci utile per davvero, se ne sta sul pulpito di poppa e noi navighiamo alla vela pura.
Chiacchieriamo affabilmente per un'oretta; la moglie è rimasta a bordo per un pisolino pomeridiano. Loro vengono da Tolone e non è la prima volta che navigano qui alle Eolie.
Quando alla fine rientra in acqua per tornarsene a bordo, non posso non restare ammirato per come i francesi considerano l'arte del navigare. Un italiano di una barca grossa non avrebbe mai rivolto la parola ad un altro di una barca più piccola. Io invece ho percepito persino ammirazione da parte sua. Ha tutto il mio rispetto... È un marinaio.
Così, verso le quattro del pomeriggio, decido di riprendere il mare per andare a cercare uno sbarcatoio, poco più avanti su questa costa, di cui ho notizia dai documenti nautici. Quando lo raggiungiamo c'è un po' di vento che spira da una parte e, visto che c'è molto posto libero, decido di attraccare nella parte opposta dove saremo protetti dalla maretta. Come già fatto in una condizione simile a Filicudi, calo il motore nel suo pozzetto: ci aiuterà nella manovra e servirà per sicurezza durante la sosta in questo molo completamente esposto in mare aperto (-click-).
Posizione del Kikka nello sbarcatoio a Panarea in una elaborazione di una foto presa da Google Maps.
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Come ho detto, quando arriviamo ci sono ancora diversi posti tra le barche dei pescatori, ma dopo neanche un'ora tutta la banchina è ormai piena. Dalla parte opposta del molo vediamo attraccare un Canados 70 (uno yacht a motore di poco più di 21 metri di lunghezza fuori tutto). Facciamo una bella camminata a piedi per il puro piacere di "far girare le gambe", ma non c'è molto da vedere. Sicuramente l'isola è bella in sé... Le coste, l'acqua cristallina, lo scenario... Tutto concorre all'assoluta bellezza dell'ambiente. Ma di attività turistiche non c'è traccia. Ci sono due o tre ristoranti, ma dopo aver "nasato" l'ambiente e data un'occhiata al menù, decidiamo di mangiare in barca. Abbiamo la cambusa piena; non abbiamo perso occasione per comprare di tutto perché dopo questa sosta abbiamo in programma di passare per Stromboli e da lì partire per tornare a Nord.
Di fianco a noi abbiamo una pilotina di otto metri a motore con marito, moglie e due figli a bordo. Anche loro hanno la barca immatricolata a Roma: mi ricordano il film con Johnny Dorelli "Mi faccio la barca". Lui del marinaio non ha proprio niente, anzi... Sembra solo molto attento a seguire un "cliché", una sorta di immaginario che descriva il perfetto "yachtman". La sera li vediamo scendere vestiti a puntino come se dovessero andare ad una serata di gala... Hanno prenotato in uno dei ristoranti... Buona fortuna!...
Noi ceniamo splendidamente nel pozzetto a lume di candela e Margherita non sbaglia un colpo... Riesce sempre a portare in tavola, oltre al buon cibo, fantasia ed allegria. Nel frattempo vediamo un gran fermento sopra il Canados: sembra che stiano preparando una festa.
Passa un'altra oretta e a bordo del Kikka madre e figlio sono già tra le braccia di Morfeo; io, come al solito, mi prendo un dito di whisky e mi siedo disteso in pozzetto rimanendo in ombra per un curioso gioco di luci. Mi piace osservare tutto quel che mi circonda, ma, in particolare, sono attratto dai preparativi a bordo del Canados: vogliono proprio fare le cose in grande... Vedo arrivare un camioncino che scarica una montagna di fiori che vengono posizionati tutt'intorno al quadrato in modo da far bella mostra di se anche per chi guarda da terra. Quando tutto è pronto, cominciano ad arrivare gli ospiti. Hanno acceso dei faretti che illuminano la banchina intorno alla passerella per dare il benvenuto. Mano a mano che la gente arriva, il proprietario dello yacht scende di persona a ricevere gli invitati. Sono tutti molto eleganti e fa piacere vedere tanta bella gente che parla sottovoce e si diverte con tanta classe.
Quando rientrano i miei vicini della pilotina, non mi vedono: l'ombra mi protegge. Sento lui parlare alla moglie: "È stata una cena orribile... Una vera sofferenza. Siamo entrati alle sette e siamo usciti alle dieci e mezza di sera... Non ci servivano mai e non credo proprio si possa dire di aver mangiato bene. Il conto poi è una vergogna... Abbiamo speso una fortuna."
Mentre ridevo sotto i baffi (dicevo ben io che non erano ristoranti da provare), con mia grande sorpresa sento che parlano della festa a bordo dello yacht.
"Hai capito chi sono?" - dice ancora alla moglie - "Sono quelli che abbiamo incontrato oggi pomeriggio al bar... Quelli col cagnolino così carino che tu hai accarezzato... Ragazzi andate a dormire che io e la mamma vediamo se ci riconoscono." E così dicendo vanno a piazzarsi sotto il cono di luce nei pressi della passerella del Canados. Facevano entrambi gran gesti di saluto per essere notati ed io vedevo benissimo da bordo il proprietario far finta di non vedere. Sono rimasti un interminabile quarto d'ora prima di perdere la speranza... Che pena!... Questa non può essere la nautica... Non la passione per la difficile arte marinaresca che tanto mi entusiasma. Ho brutti presentimenti per il futuro di questo settore. Ad ogni modo, dopo un po' si sono arresi e sono saliti a bordo scomparendo in cabina e tutto è tornato "normale".
Non una nuvola in cielo e non una bava di vento... Sarà una notte tranquilla (spero). Domani andremo a Stromboli: sento già "odore di rientro".
STROMBOLI
L'indomani infatti ci svegliamo riposati dopo una splendida notte di sonno. Il tempo è ancora decisamente buono e questo mi fa ben sperare per la traversata. Già... Infatti ho deciso che ci porteremo a Stromboli in mattinata e rimarremo all'ancora davanti alla spiaggia che troveremo subito dopo la "Sciara del Fuoco", poi, all'imbrunire, salperemo per Marina di Camerota. Siamo in viaggio!
le manovre per mettere alla vela sono sempre più veloci ed automatiche, così partiamo di buon passo verso le otto del mattino. Dovremo percorrere 12/13 miglia e, con questo mare calmo e questo vento, dovrebbe essere un viaggio veloce.
Purtroppo tutti i miei calcoli si infrangono contro la dura realtà a circa quattro miglia dalla Spiaggia Lunga dove siamo diretti: il vento cala completamente e non c'è verso di avanzare. Decido allora di fare un'eccezione: metto in funzione il motore. La calma piatta è così piatta che anche un motore così piccolo dovrebbe bastare a farci muovere un pochino. La scelta si rivela giusta e, ammainate tutte le vele, filiamo tre nodi verso la meta.
Con l'isola di Stromboli di prua, avanziamo a motore senza vento.
- indietro -
Arriviamo a fine mattinata e gettiamo l'ancora ad una ventina di metri dalla spiaggia: da una parte c'è Stromboli, dall'altra Strombolicchio, un grosso scoglio caratteristico che ospita un famoso faro. Il “micio”, nome non troppo originale dato al nostro gatto, imbarcatosi alla partenza come “marinaio per caso”, dopo una ventina di giorni è diventato marinaio professionista. All'inizio di questa avventura, passava giornate intere nascosto sottocoperta e tendeva ad uscire solo di notte (quando poteva). Adesso in barca è il padrone ed ama soprattutto infilarsi sotto le vele quando queste vengono ammainate. Direi che ormai si è fatto “il piede marino” e non sembra che subisca alcun disagio per dover vivere in un ambiente che non è quello d'origine.
Una sola cosa sembra non riesca a superare: la sua naturale avversione per il pesce. Si sa che un vero gatto di mare ama il pesce fresco... Soprattutto se ancora vivo. Nei porti vediamo i gatti del posto attorniare i “pescatori da banchina” che gettano loro sul selciato i pesci troppo piccoli appena slamati. C'è sempre un gatto, più veloce degli altri, che si appropria della preda e si allontana trionfante mentre ancora si contorce in bocca. Il nostro “micio” invece non lo tocca (a meno di pulirglielo e darglielo a pezzettini), soprattutto sembra diffidare alla vista degli occhi... Se invece, appena pescato, salta ancora, allora se lo guarda curioso per poi ritrarsi subito dopo per prudenza. Dovremo accontentarci di farne un marinaio che non mangia pesce.
La mascotte del Kikka si riposa all'ombra del fiocco mentre siamo all'ancora davanti a Stromboli.
- indietro -
Passiamo una bellissima giornata a Stromboli cadenzata dal ritmo incessante delle esplosioni del vulcano... Ho tralasciato di dire, infatti, che già in fase di avvicinamento avevo notato le esplosioni che si sentono da lontano alle quali segue immediatamente una nuvola di fumo che fa da pennacchio all'isola che si staglia sull'orizzonte con la forma di un cono. Spinto dalla curiosità, ho misurato l'intervallo di tempo e mi sono accorto che rimane incredibilmente costante. Passando sotto costa poi, mi sono accorto che ad ogni esplosione viene lanciato in aria del materiale incandescente che va ad aggiungersi alle tonnellate e tonnellate che dalla Sciara del Fuoco si riversano in mare.
LA SECONDA TRAVERSATA
Devo ammettere che mi sento un po' strano... Non che sia in grado di dire chiaramente in che senso... Il fatto è che non ho timore di partire per la traversata di ritorno, ma non mi sento neanche rilassato come in una normale giornata nella quale l'unica cosa da fare sono bagni e turismo... Mi sento in viaggio e non vedo l'ora di partire. Nel frattempo si è alzato un discreto venticello che mi fa ben sperare... Almeno in una sciolta partenza alla vela sorgendo dall'ancora come ormai da abitudine consolidata. Così, alle sei di sera, siamo pronti. Isso le vele che si mettono a bandiera mentre Margherita, che sa esattamente cosa fare, si mette al timone. Salpo l'ancora a forza di braccia e nel farlo mi trascino la barca che prende abbrivo. Sebbene le vele fileggino, io ho fissato in precedenza le scotte pronte a portare... Così, quando sento spedare l'ancora, comando di abbattere a sinistra ed in un baleno le vele portano: siamo in navigazione.
Do la rotta a Margherita che la segue senza deviare come un'esperta marinaia, mentre io, in piedi a gambe divaricate, duglio il tessile della linea d'ancoraggio che è rimasta stesa in coperta. Le vele sentono la pressione del vento e ci regalano un'andatura di tutto rispetto: sento l'orgoglio di una manovra ben riuscita. Il viaggio è cominciato.
Avanziamo veloci in un mare finalmente vivo che non presenta ostacoli. Le previsioni parlano di una perturbazione in arrivo: questa è la ragione per la quale ho deciso di partire. La regola a bordo ormai è chiara: nelle belle giornate senza vento si fa vacanza, in caso di cattivo tempo si naviga. Per parte mia, ormai si sa, sono alla barra e non potrò abbandonare il timone (a meno di brevi periodi) fino all'arrivo: dirigiamo di ritorno verso Marina di Camerota da dove siamo partiti per "il gran salto" fino alle Eolie.
Passate tre ore dalla partenza, ormai è buio e, se possibile, andiamo persino più veloci di prima. Le onde, che vengono da Nord-Ovest, rimangono molto maneggevoli e mai in grado di rallentarci. L'incedere è potente... Forse ho troppa tela a riva, ma questa barca la "chiede" e risponde con un'andatura stabile e sicura che non sembra possibile con uno scafo così piccolo.
Il vento aumenta lentamente ma costantemente. Verso le undici di notte cambio il genoa con il fiocco 1: non faccio alcuna fatica a mantenere la barca sempre alla massima velocità. Adesso il saliscendi tra le onde è piuttosto marcato e quando scendiamo nel cavo, le creste si vedono alte di fronte a noi, ma sono "arrotondate" a sufficienza per non ostacolare il nostro cammino ed a bordo tutto va bene. Moglie e figlio sono ormai in branda ed io gestisco il solito tran-tran ben sapendo che, se tutto va avanti così, dovremmo essere a Marina di Camerota l'indomani poco dopo le undici del mattino.
Al contrario del viaggio di andata, mare e vento mi tengono ben sveglio ma faccio una rotta che mi impegna poco. Occorre ricordare che ho un registratore a pulsante nel quale registro ogni variazione che traduco in componenti della stima quando vado ad aggiornare il punto nave. Ma questa notte variazioni non ce ne sono: la rotta rimane sempre la stessa, quella su Marina di Camerota ed anche la velocità rimane praticamente costante.
Verso mezzanotte e mezza qualcosa mi mette in allarme. Mi sembra di vedere una barca dritto in prora... Non sono le luci di una nave: è un'unica luce bianca come quella dei barchini sotto costa. Cosa cavolo ci fa una barchetta in mare aperto a tale distanza da riva? Aguzzo la vista per cercare di capire meglio... Devo stare attento ad evitare ogni abbordo ed allo stesso tempo sento il dovere di passare vicino abbastanza per vedere se qualcuno è in difficoltà in questo mare tutt'altro che calmo. Ma mentre faccio queste considerazioni, all'improvviso di luci ne vedo due... (?), poi tre, otto, dieci, cento... Insomma cosa succede?
Mi viene in mente quello che ho sentito dire ad Acciaroli nella sosta di andata da una conoscenza occasionale: "ci sono pescatori fuorilegge che calano in mare delle reti galleggianti lunghe 20 miglia (quasi quaranta chilometri)... La notte le illuminano con delle lanterne a petrolio, una ogni duecento metri... Se ci finisci sopra, la rete ti cattura come un pesce e sono guai... Non ti azzardare a scendere in mare per liberarti, soprattutto di notte: ci sono squali che cercano di rubare i pesci intrappolati."
La cosa mi sorprende. Se non avessi sentito questo racconto non ci avrei mai pensato. Sono preoccupato... Molto preoccupato. Adesso il numero di luci è così elevato che le vedo salire e scendere sulle onde in modo raccapricciante. Mi viene voglia di tornare indietro per la strada percorsa e sfilarmi da questa trappola. Mi giro indietro e... Orrore!... Le luci si sono chiuse dietro di me... Sono dappertutto ed io non saprei come trovare la strada.
La mia mente viene incalzata dalle più fantasiose possibili soluzioni... Ma nessuna regge al vaglio della logica: sono fregato.
Mentre mi "contorco" in queste riflessioni, vedo in lontananza due luci rosse sovrapposte nella notte: è il segnale internazionale che issa una nave che non governa. Devono essere i pescatori rimasti a guardia della rete. Metto a segno le vele e faccio rotta verso di loro: non sono poi così lontani. Quando arrivo nei pressi, mi vedono ed accendono un grosso faro che mi illumina a giorno (quello dei fari da puntarmi addosso dev'essere un gioco che impazza qui nel Tirreno). Buttando il timone tutto alla banda metto alla cappa in modo repentino e la barca si ferma ben stabilizzata a pochi metri dall'ala di plancia di sinistra. Non aspetto tempo e grido all'unica persona che vedo che voglio parlare col comandante. "Sta dormendo" - mi risponde - "Un attimo... Lo chiamo subito."
Quando, dopo una manciata di secondi, lo vedo comparire, gli urlo con tutta la voce che ho in gola:"comandante, siamo diretti a Nord e siamo rimasti circondati dalle vostre reti; mi può dare la giusta rotta per uscire?"
Lui rientra senza dire una parola. Sono spariti tutti e quel peschereccio è semplicemente enorme... Sale e scende su onde che non pensavo fossero così grandi... Sono veramente impressionato. Ma la mia perplessità ha un brusco risveglio quando il comandante ritorna fuori e mi da la rotta che ho chiesto:" proceda per quattro miglia con rotta 342°, poi siete liberi."
Ringrazio con un gesto della mano e non dico una parola: i comandanti fanno così da queste parti. Con una manovra altrettanto brusca quanto quella all'arrivo, metto in forza di vele e procedo nella nuova direzione. Con la coda dell'occhio vedo che dalla plancia del peschereccio tutti ci guardano curiosi. Navigo per un paio di miglia (quasi mezzora), poi vengo assalito dai dubbi... Quei maledetti "lumini" continuano ad essere tutt'intorno a noi... C'è da diventar matti.
Poi mi costringo alla calma: qualsiasi scelta alternativa io possa fare in questa situazione, sarebbe una scelta basata sul nulla... Non ho elementi. A questo punto è meglio reprimere l'ansia e dare fiducia al comandante del peschereccio proseguendo secondo le sue indicazioni.
Indicazioni assolutamente corrette: dopo un'altra mezzora siamo finalmente fuori.
Uff!... Che scherzo da prete!
Calcolo rapidamente il punto nave dopo tutte quelle deviazioni tra le anse della rete e metto in rotta verso la nostra meta... Sono circa le tre e mezza di notte e mancano più o meno 33 miglia all'arrivo. Non male come traversata... Se non fosse per lo scherzetto dei lumini... Comunque, quale che fosse il rischio, ormai è tutto alle spalle: vale come esperienza.
Alle cinque del mattino si comincia a vedere il cielo ad Est più chiaro di quello ad Ovest: il sole è in viaggio e non ci metterà molto ormai ad arrivare. Ho la netta sensazione che il moto ondoso sia meno potente: direzione ed intensità del vento invece si mantengono invariati.
Quando finalmente il sole sta per sorgere, miracolo inaspettato, vediamo terra. Non si tratta di un vero avvistamento... Vediamo però stagliarsi all'orizzonte la catena degli Appennini dietro i quali il sole ancora si nasconde. È una bella sensazione che mi godo tutta da solo: i miei dormono ancora e, quando si sveglieranno sapranno solo che la terra è già in vista... O almeno... È stata già vista dopo la traversata.
L'arrivo a Marina di Camerota avviene verso le undici e mezza. Ancora una volta io e Margherita mettiamo in atto la manovra ormai collaudata per portare il Kikka poppa in banchina. La traversata di ritorno è finita; adesso ci aspettano solo tappe costiere. Non c'è da illudersi... Dovremo risalire il vento d'imbatto che spirerà a tratti forte proprio sul naso. Ma non nascondo comunque che la sensazione è quella d'aver fatto un tale passo avanti da farmi sentire, a torto, quasi arrivato.
RISALENDO VERSO ROMA
Marina di Camerota, come Acciaroli, non sono (ancora) località turistiche. Persino lo stesso Palinuro è più famoso di nome che di fatto. La sensazione che ne ricevo visitando questi posti è che a Sud di Capri, fino ad oggi (1985), ho trovato solo zone bellissime ma arretrate. Il turismo è scarso e non ci sono strutture.
Per i motivi sopra esposti, dopo un buon sonno ristoratore, la mattina dopo ripartiamo per Palinuro. Ho intenzione però di fare, durante il percorso, una piccola deviazione per andare a gettare l'ancora nella Baia Del Buon Dormire: un'ansa ben protetta in caso di venti e mare da Maestro (Nord-Ovest) dove è la stessa conformazione del promontorio a proteggere dalle onde di riflesso (le quali non riescono ad entrare nello specchio di mare prossimo alla bella spiaggia omonima).
Solite manovre davanti a Marina di Camerota prima di partire alle otto del mattino con un venticello leggero che spira dal largo. Una navigazione senza storia ci porta all'ancoraggio dopo poco più di cinque piacevoli miglia lungo costa. Essendo un ancoraggio, non dobbiamo armeggiare col motore ed alla ripartenza saremo più comodi a salpare. La sosta ci serve per fare un bel bagno e per memorizzare "un posto" la cui conoscenza potrebbe diventare utile in caso di futuri passaggi. Dopo il bagno, è qui che pranziamo prima di ripartire per percorrere le tre miglia e mezzo che ci separano dal porto di Palinuro. Navigare sotto le rocce dure a picco di Capo Palinuro intimorisce un po'... Mi sembra di intuire quello che può succedere da queste parti nelle grandi burrasche invernali.
Dopo aver contornato l'intero promontorio, questo vago senso di timore si acuisce ulteriormente alla vista del porto: una nave affondata è addossata alla parete di roccia ad Est della gettata. Chissà cos'è successo per affondare proprio qui: comunque rimane una visione inquietante.
Solita manovra per portare la poppa in banchina e siamo ormeggiati in un bel posticino tra barche di pescatori e di locali che ci accolgono con indifferenza: c'è posto per tutti. Visto che arriviamo di primo pomeriggio, decido di gonfiare il canotto e di andare con tutta la famiglia a visitare la grotta di Palinuro a qualche centinaio di metri verso il capo uscendo dal porto.
Sul canotto all'ingresso della grotta a Palinuro
- indietro -
L'indomani partiamo di buon'ora nel tentativo di arrivare prima che il vento diventi contrario intensificandosi a tal punto da diventare un ostacolo all'avanzamento. La perturbazione che ci ha consentito di navigare velocemente nella traversata di ritorno è passata praticamente durante la nostra sosta a Marina di Camerota: adesso si prevedono alcune giornate di bel tempo. Occorre però sapere che lungo tutta la costa tirrenica, quando non ci sono perturbazioni in corso, il vento a regime di brezza nel pomeriggio si oppone con forza alle barche a vela che intendono risalire verso Nord. Una cosa che sapevano bene i marinai che un tempo portavano le merci navigando su e giù per tutta l'Italia.
Dobbiamo fare poco più di diciannove miglia per arrivare ad Acciaroli... Non sarebbero molte. Ma il vento fa i capricci e noi, dopo una partenza "spumeggiante", ci troviamo a rallentare tanto che alle tre del pomeriggio mancano ancora quattro miglia alla meta.
Lo sapevo... Non abbiamo fatto in tempo ad evitarlo ed Eolo ha deciso di passare puntuale per venire a farci visita. L'intensità del vento che ci arriva in faccia all'improvviso mi impressiona. Devo cambiare il fiocco e prendere una mano di terzaroli... Ma non basta... Il mare comincia a ribollire e questa maretta contraria minaccia di fermarci del tutto. Il rischio è serio: potremmo non riuscire ad avanzare e rimanere in queste condizioni a quattro miglia da Acciaroli fino a sera quando la brezza dovrebbe cessare. Naturalmente il rischio non sarebbe per la barca... Sono cose che succedono alle barche a vela. Piuttosto sarei io a dover fronteggiare un ammutinamento a bordo.
Ma, per l'ennesima volta, mi vengono in aiuto le qualità marine di questo piccolo Amel. Il comportamento di questa barca è curioso: non bisogna aver paura di mettere tela al vento. Infatti ho imparato che se metto le vele che considero giuste per avanzare, la barca non riceve adeguata potenza e si ferma sull'onda. Al contrario, se metto coraggiosamente più vela, la barca sbanda in modo impressionante... Ma è tutta scena!... In realtà si "butta giù" fino alla falchetta, poi, tutta sbandata, comincia ad avanzare bucando le onde e passandole da parte a parte con un passo che non si riesce a immaginare se non lo si vede.
Uff!... Un'ora di lotta e siamo dentro ad Acciaroli.
Faccio quel che devo per evitare la Secca del Generale... Ma ormai la conosco bene e non è più un problema.
Sistemata la barca, scendiamo subito a terra. Alla radice del molo, proprio a pochi metri da noi, c'è un cantiere navale nel quale vediamo in secca un bellissimo yacht a motore di almeno venti metri. Quello che ci fa impressione è vedere che entrambe le eliche e le pale dei due timoni sono stati raschiati via: si vedono le profonde incisioni lasciate dalle rocce nello scafo per tutta la sua lunghezza. Chiediamo subito ad un pescatore che in un angolo sta sistemando le sue reti... Siamo troppo curiosi.
"Si... Si" - ci dice -" È proprio passato a tutta velocità sulla Secca del Generale. Il poveretto è finito in ospedale. Lo yacht non è suo... Ha tanto insistito col suo amico finché questo non ha ceduto e gli ha prestato la barca. No...No... Non si è ferito durante l'incidente. È che non ha avuto il coraggio di dirglielo ed ha avuto un infarto."
Non ci siamo ancora ripresi da questa inquietante notizia che troviamo sul molo, pochi metri più avanti, la barca affondata vista all'andata...
- indietro -
Nel porto di Acciaroli, il relitto della barca affondata è stato messo in secca e spogliato di tutto.
Rimaniamo sgomenti. Quando l'abbiamo vista la prima volta era affondata ma si vedeva che era una barca nuova... Oggi, spogliata di tutto, è un misero relitto. Abbiamo un bel dire che se la sono meritata... La verità è che fa impressione.
Comunque la vita continua... E noi non ci mettiamo molto a pensare ad altro. Anzi... A pensare al pesce fresco che abbiamo comprato qui ad Acciaroli l'altra volta. Così ci ficchiamo nel vicolo alla ricerca della pescheria che ricordiamo bene. Compriamo un meraviglioso "cartoccio" di calamari freschi. Stasera cena in pozzetto a lume di candela.
Acciaroli si trova a Sud di Punta Licosa che a sua volta è il capo Sud del Golfo di Salerno... Vuol dire che per risalire dovremo innanzitutto scapolare Punta Licosa e poi farci tutto il golfo fino alla sua costa Nord senza nessuna possibilità di scalo intermedio. Queste considerazioni le faccio perché mi preoccupa il vento di imbatto che potrebbe soffiare contrario in una tappa così lunga e darci dei grossi problemi. Ma non mi sembra che ci si possa fare molto... A parte partire un po' presto, per il resto bisognerà affidarsi alla fortuna.
Così, il giorno dopo alle otto siamo già in viaggio per Punta Licosa che scapoliamo con un venticello leggero poco prima delle undici del mattino. So perfettamente che la brezza tesa del pomeriggio ce la beccheremo quando saremo proprio nel bel mezzo della traversata del Golfo di Salerno... Vedremo!... Tanto non abbiamo alternative.
Sorpresa... Sorpresa... La brezza arriva, una brezza gagliarda ma non eccessiva e non ci viene addosso di prora... Anzi... In questo tratto di mare gira un po' ad Ovest quel tanto che ci permette di fare rotta diretta su Amalfi.
Facciamo le ultime due ore di viaggio con mare calmo e vento teso che rende il momento alquanto esaltante. Velocità e stabilità di rotta ci accompagnano fin proprio sotto l'entrata in porto ed Amalfi ci accoglie tra i suoi moli con tutto il fascino che sa emanare questa antica località di mare che tanto lustro ha dato all'Italia dell'epoca. Purtroppo non troviamo posto in banchina: tra pescatori e barchette varie accatastate una di fianco all'altra non c'è un buco. Gettiamo l'ancora all'interno, proprio nel mezzo e scendiamo con il canotto... Amalfi è sempre bella.
Praticamente stiamo facendo a ritroso tutte le tappe che abbiamo fatto all'andata. L'indomani infatti ci spostiamo a Capri dove prendiamo posto entrando a destra di fianco in banchina. Stiamo ancora mettendo in ordine la coperta, quando entra in porto l'aliscafo che fa un'onda che ci trancia di netto due cime d'ormeggio facendoci rischiare danni allo scafo. Quel comandante andrebbe arrestato!
Noi allora decidiamo di spostarci all'interno dando ancora e portando la poppa in banchina. Visto che è l'una e c'è ancora tempo, decidiamo di chiudere tutto e prendere una barca che porta i turisti a vedere la Grotta Azzurra. Andare con il Kikka è sconsigliabile perché c'è una specie di "cooperativa di barche locali" che lo fanno per mestiere e si arrogano il diritto di obbligarti ad andare con loro.
Niente da dire... Merita tutta la sua fama. Effettivamente è più bella di quella di Capo Palinuro.
Il tempo si mantiene buono ed il giorno dopo cambiamo isola. Il viaggio è tranquillo e veloce e giungiamo a Ischia Ponte, che già conosciamo, poco dopo l'una. Questa volta però non ce ne staremo a ballare sull'ancora nel mezzo della rada... Portiamo invece la poppa in banchina nell'unico pennello che esiste e nell'unico posto libero tra due barche di pescatori.
La manovra fila liscia ed in un attimo, assicurate le due cime al pontile, metto in tensione la linea d'ancoraggio per finire il lavoro. Ho ancora addosso i guanti di cuoio che uso per manovrare la catena e sto ancora mettendo in ordine la coperta quando "Micio" decide di uscire dalla sua cuccia e venire a vedere dove siamo arrivati. Con un balzo felino (lui se lo può permettere) sale sulla tuga e distrattamente decide di "stirarsi" allungandosi come solo i gatti sanno fare. Io lo guardo mentre lavoro, semplicemente perché i gatti hanno qualcosa di indefinito che attira irresistibilmente...
Ma questo bel quadretto fatto di serenità salta all'improvviso quando, con mossa repentina, vedo il gatto arcuarsi ed il suo pelo diventare irto come fosse un'istrice. Non riesco a capire cosa stia succedendo. So bene che l'animale, quando perde il senno, non ha paura di nulla e si lancia in battaglia come Davide contro Golia... Ma io non vedo con chi dovrebbe prendersela: non vedo niente intorno. Lui fissa un punto indefinito con aria feroce ed io, per tentare di venirne a capo, cerco di seguire la direzione del suo sguardo... Quando lo metto a fuoco mi si gela il sangue. Non lo avevo visto. Sdraiato, col pelo che si confonde dello stesso colore delle reti da pesca, un enorme cane lupo lo fissa senza muovere un muscolo. Conosco quello sguardo. Mi vedo già il cane saltare sulla mia barca ed ingaggiare la lotta sulla coperta... Il fatto è che la barca è piccola, se lui sale scendiamo noi. Allora scatto in anticipo su tutti, prendo il gatto (meno male che ho ancora i guanti di cuoio) e in un baleno vado a rinchiuderlo nella cabina di prora. Quando ritorno in coperta guardo il cane: sembra totalmente indifferente.
Uff!... Non si può mai stare tranquilli. Ma è andata bene.
La mattina dopo ci svegliamo presto, ma la notte abbiamo riposato tutti tranquillamente. Un vento moderato sembra spirare da Ovest ed il nostro pontile, esposto al mare aperto, in queste condizioni rimane protetto dall'intera isola. Così stando le cose, possiamo permetterci di lasciare la banchina salpando direttamente alla vela e fare tutta una tirata in rotta diretta che ci porta a concludere questa lunga tappa a Gaeta verso le sei di sera.
All'arrivo rassettiamo la coperta e mettiamo in funzione il motore in modo da poter ormeggiare nella stessa zona del porto che abbiamo occupato l'altra volta. Il cielo si sta coprendo sempre più velocemente ed il vento sembra aumentare: sono proprio contento d'essere già arrivato. Credo si stia preparando una buriana e non è male sentirsi protetti in porto quando fuori si scatena la natura...
Voglio dire che la tecnica di navigare in burrasca e fare vacanza col bel tempo funziona, ma bisogna avere delle burrasche col vento nella giusta direzione... Che ti porti esattamente dove vuoi tu. Essere in mare con una burrasca contro... È tutta un'altra cosa.
Mentre mi crogiolo tra queste considerazioni, arriva un'auto della capitaneria di porto dalla quale scendono due uomini in divisa che si dirigono subito verso il nostro gruppetto di diportisti in transito. Mi interrogo su quali possano essere le loro intenzioni: che vogliano controllare i documenti?...
Invece passano da una barca all'altra per dare delle disposizioni che non avrei mai immaginato. "Dovete salpare immediatamente" - ci dicono - "Portatevi il più presto possibile al marina ad un miglio da qui. Dovrete pagare l'ormeggio, ma sarete al sicuro. Quelle nuvole nere sopra le montagne dall'altra parte della rada annunciamo vento forte... Tra poco arriverà e sarà molto violento... Questa banchina non è sicura."
Accidenti!... Tutta la mia "supposta sicurezza" era basata sul nulla. Tutte le barche si muovono all'istante e salpiamo praticamente tutti insieme... O quasi.
Infatti, mentre gli altri si allontanano in fretta, io perdo un paio di minuti a salpare l'ancora e quando finalmente metto motore "a tutta forza" mi accorgo che la barca praticamente non avanza: siamo quasi fermi. Il vento è contrario, ma non si tratta della botta che stiamo aspettando... Quella verrà da un momento all'altro. Si tratta solo del nostro motore che è così piccolo da non consentirci di avanzare anche se il vento in prua è così modesto.
Capisco bene che devo fare qualcosa, non posso certo restare fermo dove sono. Ma non vedo nessuna facile soluzione. È logico che dovrei immediatamente issare le vele e portarmi in navigazione lontano dalla costa... Ma, per farlo ho bisogno di potenza, dovrei issare randa e genoa e farli portare. Ma cosa accadrebbe se arrivasse la botta mentre lavoro alle vele rimanendo sopravvento a questa costa? Non oso immaginarlo.
Mentre penso ansiosamente al da farsi, un gozzo da pesca mi sfila a pochi metri diretto anch'egli probabilmente al marina. "Potrebbe gentilmente trainarci in porto" - gli urlo - "il nostro motore non ce la fa con questo vento."
È un attimo!... Il pescatore acconsente ed io gli lancio una cima che tengo a disposizione sulla battagliola ben dugliata e pronta a filare. In dieci minuti siamo in porto e la botta di vento ancora non arriva.
Quando infine arriva, restiamo bloccati a Gaeta per tre giorni. Ne approfittiamo per rilassarci e fare vacanza di tipo turistico-terraiolo. Non pensavo che Gaeta fosse così piacevole per viverci. La presenza dei militari si vede: quando c'è la "libera uscita" se ne vedono in giro a gruppetti un po' dappertutto. Persino loro sembrano a proprio agio in questa cittadina che da l'impressione di vivere in modo allegro e spensierato.
Quando poi riprendiamo il mare, la burrasca è finita ma il tempo rimane sufficientemente arruffato per consentirci di bruciare le tappe con navigazioni sempre veloci. Toccheremo ancora a ritroso gli stessi porti dell'andata, ma arrivando sempre di giorno. Ho dovuto telefonare in azienda per dire che sarei arrivato in ritardo di una settimana rispetto al mio rientro previsto: questa è la vela.
Quando, alla fine dell'ultima tappa, entriamo a Fiumara Grande e chiudiamo definitivamente questa avventura, lascio la barca con una sola idea fissa: comprare subito un motore fuoribordo adeguato e portare la barca alla Lega Navale di Sestri Ponente dove, finalmente, ne potrò disporre anche nei week-end.
P.S.
Questo racconto è stato scritto nel 2020, dopo trentacinque anni passati coltivando sempre questa grande passione di navigare con una barca a vela. Scriverlo è stato un esercizio di memoria non solo per ricordare i fatti, ma soprattutto per ricordare com'ero io all'epoca dei fatti: sicuramente molto diverso da come sono oggi. Alcune cose, solo a ripensarle, oggi mi fanno impressione. Una fra tutte: quella di andare in giro praticamente senza motore. So bene che per secoli questo modo di andare per mare era semplicemente l'unico possibile e comunque era considerato normale. Ma mi rendo anche conto che gli standard di sicurezza sono cambiati ed oggi mi sembra una follia. Nei tempi in cui viviamo assistiamo spesso nei porti ad episodi di incompetenza da parte dei diportisti, ma ciò non ostante le tragedie sono incredibilmente rare. Ciò è dovuto proprio ad una serie di fattori che hanno elevato enormemente la sicurezza della navigazione. Per contra dobbiamo ricordare che una volta affondare era piuttosto comune e la gente dei viaggi in mare diceva “si sa quando si parte, ma non si sa quando e se si arriva”.
In questo racconto si vede che (non solo io... all'epoca) ho fatto cose con una barca senza motore che oggi non farei con la mia barca attuale che è in grado di risalire contro trenta nodi di vento (non le onde conseguenti in mare aperto) andando solo a motore. Una fra tutte, la sosta in pontili che sono sbarcatoi in mare aperto (vedi Filicudi, Panarea ed Ischia Ponte). Non che oggi i diportisti non li usino. Sappiamo tutti che ad Agosto si addossano tutti uno sull'altro... Ma non lo faccio io, che preferisco passare la notte all'ancora andando a scegliermi non solo il posto ma anche il fondale, possibilmente di sabbia, dove affondare il ferro (-click-).
Un altro appunto vorrei farlo per la regola di navigare in burrasca e fare vacanza col bel tempo. In questo viaggio questa strategia ha pagato. Ma non va sempre così. Basta insistere a sufficienza che, prima o poi, le cose si possono mettere male... Ed allora la scelta può rivelarsi disastrosa.
Ultima nota: "Micio". Per rientrare a Milano, utilizziamo l'auto che ho lasciato parcheggiata in cantiere per tutto il tempo. Il gatto si ricorda della macchina nella quale ha viaggiato sin da piccolo e non mostra segni di insofferenza durante il percorso. In compenso, quando infine arriviamo a casa, mostra segni di impazienza per scendere a terra liberandosi dall'abbraccio di Marco che lo ha portato con se. Riconosce la casa... Sa esattamente dove si trova e prende la rincorsa per raggiungere in derapata la sua lettiera. Siamo tutti incuriositi dal suo comportamento e lo seguiamo per capire cosa stia facendo. Quando lo raggiungiamo lo vediamo fare "pipì"... Ma non come ha sempre fatto qui in casa... Fa finta di non vederci guardando altrove mentre si mantiene in posa rimanendo eretto e tenendosi ben saldo con le unghie a destra e a manca: speriamo che la casa non sbandi al primo colpo di vento... Non si sa mai.
- indietro -