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La foto satellitare del tratto di mare chiamato "mare chiuso" ( a ridosso di Lefkada ).

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Cartolina di Natale 2018

Il viaggio è stato bellissimo ed il vento, mano a mano che aumentava, non faceva che aiutarci ad andare più veloci. Il moto ondoso creato dal vento, come lo stesso vento, erano entrambi a favore. Le cose sono cambiate una volta arrivati nei pressi della lingua di sabbia che occorre circumnavigare per entrare nella darsena antistante il ponte levatoio. Infatti, se esaminiamo la foto satellitare riportata qui sotto, si vedono bene i bassi fondali con acqua trasparente che si incontrano avvicinandosi a terra. Inoltre, nella foto è stata evidenziata, da una linea tratteggiata, la zona di bassi fondali non navigabile che si incontra verso costa entrando.

Rotta del July da Paleokastritsa a Gaios, nell'isola di Paxos.

Abbiamo ricordi incredibilmente belli di quella sosta a Paxos. Era nel 1993 ed avevamo appena comprato la barca nuova: ci eravamo spinti fino alla Grecia che non avevamo mai visitato prima. A bordo con noi c'era nostro figlio Marco con un suo amico ospite a bordo. Paxos ha tutte le caratteristiche della tipica isola greca: un'isola con un paesino sul mare che inizia e finisce sul litorale banchinato dove è possibile ormeggiare subito di fronte alle case, i bar, i negozi e le taverne. La foto qui sotto è in realtà uno strappo alla regola. Non è stata fatta in questo viaggio, è un ricordo del 1993.

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Navigation

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Per chi naviga su piccole imbarcazioni a vela (mi riferisco alle derive) fare scuffia non è certo un'esperienza rara. Quelle imbarcazioni sono per loro natura estremamente leggere e sono progettate in modo che la componente di sbandamento applicata sul centro velico dalla forza del vento sia contrastata esclusivamente dalla forza peso dell'equipaggio che si sposta continuamente per mantenere in ogni istante il miglior equilibrio possibile per l'andatura del momento.

Tuttavia, se anche il fenomeno non è poi così raro ed anzi, se si va sulle derive è da mettere in conto, ciò non di meno la scuffia è sempre un po' traumatica. Fare scuffia significa non riuscire a mantenere diritta la barca la quale, sotto la spinta del vento, finisce col “coricarsi” sul mare travolgendo il povero equipaggio che prova inevitabilmente un senso di impotenza di fronte alle forze della natura che “letteralmente” passano sopra a tutti gli sforzi fatti nel tentativo di opporsi all'infame destino.

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Foto dai nostri itinerari

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Isabelle Autessier rovesciata a NordOvest di Capo Horn

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Chi non ricorda le immagini che hanno fatto il giro di tutte le televisioni del pianeta (foto sopra) mostrando Isabelle Autessier che attende i soccorsi sulla chiglia della sua barca dopo una disastrosa scuffia nel Pacifico australe mentre era in rotta per Capo Horn (sarà poi salvata da Giovanni Soldini in una coraggiosa impresa che lo rese famoso in tutto il mondo).

 

Noi (io e Margherita) abbiamo fatto scuffia due volte nella vita: in entrambi i casi con il July, la barca alla quale è dedicato questo sito. Qui di seguito racconto entrambi i fatti…

 

 

 

LA NOSTRA PRIMA SCUFFIA

 

Ci svegliamo a Port Garavan a Mentone (Francia) ancora infastiditi dalla pessima notte passata a “ballare” sul July che non ne vuole sapere di star fermo. Una burrasca abbastanza seria continua a "soffiare" da qualche parte a Sud ed un mare lungo con onde di un paio di metri si riversa all'imboccatura del porto per poi propagarsi attenuato anche all'interno. Una vera seccatura: le onde in realtà non possiamo dire che “buchino” la protezione del frangiflutto, voglio dire della diga frangiflutto a protezione delle acque interne, tuttavia il fenomeno che vediamo è interessante da capire. Le onde sono quelle di un mare lungo, ovvero di un mare in cui le creste sono relativamente lontane tra loro. Questo fatto fa si che non esista il noto fenomeno dell'onda che si abbatte violentemente contro la diga, anzi, quel che accade è che il livello dell'acqua sale senza produrre uno scontro e poi, dopo un certo tempo, l'acqua scende per ricominciare tutto daccapo. Così, all'imboccatura ci sono momenti nei quali una gran massa d'acqua si riversa dentro il porto e momenti nei quali la stessa massa si mette in moto verso l'esterno. Il fenomeno non può che propagarsi all'interno: l'onda che entra è di pochi centimetri ma porta con sé una corrente che alternativamente spinge la barca ad oscillare fastidiosamente.

 

Contact

 

ilviaggiodeljulymail@gmail.com

Elaborazione di un'immagine di Google Maps                                                                          (immagine satellitare 1)

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Immagine satellitare di Port Garavan a Mentone (in evidenza la posizione del July).

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Così al mattino, facciamo un po' tardi… alla fine però decidiamo di mollare gli ormeggi nel tentativo di mettere fine agli effetti di quella “maledetta” risacca e dirigere verso Nizza dove vorremmo passare la notte seguente.

Appena mettiamo la prora fuori dal porto, il mare lungo ce lo troviamo di fronte: le onde sono imponenti ma si muovono lentamente e non sono pericolose. La barca avanza a motore senza troppa fatica e tutto sembra andare per il meglio. In cielo qualche nuvola qua e là ci ricorda che siamo nel bel mezzo di una fase di instabilità meteo, ma ampi sprazzi di sereno ci lasciano immaginare bel tempo per la giornata che abbiamo ancora tutta di fronte a noi.

Per Nizza abbiamo circa tredici miglia da percorrere: il viaggio è breve e di tutto riposo. Prima di partire non siamo riusciti a prenotare il posto barca e siamo un po' in apprensione: sarebbe molto fastidioso arrivare e non riuscire a sistemarsi adeguatamente. Per questo motivo, eviteremo di perdere tempo lungo “il cammino” procedendo di buon passo a motore verso Ovest.

Elaborazione di un'immagine di Google Maps                                                                                                (immagine satellitare 2)

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Rotta del July da Port Garavan a Villefranche… (notare il punto della scuffia prima di Cap Ferrat).

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Quando sfiliamo di fronte a Montecarlo il mare e le onde sembra che vogliano calmarsi un po'… vediamo chiaramente l'ingresso del porto e poi il “Museo del Mare” voluto dal Principe Alberto ed inaugurato nel 1910, famoso anche perché è stato a lungo la sede di lavoro del “Comandante Jacques-Yves Cousteau” (famoso oceanografo gran divulgatore scientifico marino).

A mezzogiorno, Margherita dice di sentire una certa “famuccia”… un languorino allo stomaco che le suggerisce di mangiare qualcosa: “Vuoi un panino anche tu?" - mi dice - ”arriveremo a Nizza troppo tardi per me, preferisco mangiare qualcosa prima dell'arrivo".

Così, mentre il July, col pilota automatico, avanza lentamente sulle lunghe onde morte al giardinetto di sinistra, noi mangiamo un panino al sole seduti in pozzetto.

Le onde si susseguono una dopo l'altra sin dalla partenza da Mentone e, sinceramente, non ci facciamo più neanche caso. In effetti, mi accorgo di un'onda un po' diversa… non è vistosamente più alta (forse un po'…) e procede apparentemente in modo ordinato insieme alle altre, ma appare più ripida. Mi sento assolutamente tranquillo e sto li a guardarla passare sotto lo scafo come per tutta la mattina ne ho visto altre mille prima di lei…

Quando raggiunge il July al giardinetto però, la barca si alza e comincia a piegarsi velocemente ed inesorabilmente fino a portare quasi l'albero in acqua. Il movimento non è brusco ma è veloce e solo per poco non ci “cappottiamo”. La rotazione si ferma improvvisamente come improvvisamente è cominciata poco prima che la punta dell'albero toccasse l'acqua. Io non sono spaventato: osservo curioso quel che accade cercando di capire cosa stia succedendo a bordo… mi sento distaccato e non percepisco il pericolo.

Osservo la barca che prontamente si raddrizza e continua a mantenere rotta e velocità come se nulla fosse. Ho sentito dal rumore che dentro si è rovesciata qualcosa… ma non mi interessa. Mi interessa invece capire cosa sia accaduto e non lo capisco.

Una manciata di secondi più tardi però… forse proprio perché c'è qualcosa che mi sfugge, un senso di angoscia mi prende lo stomaco. È la prima volta che mi succede qualcosa del genere e non pensavo proprio fosse possibile. Mi lascia perplesso poi il fatto che intorno a noi le condizioni sono sostanzialmente buone e non giustificano quello che è accaduto… almeno apparentemente.

Mi sento fuori posto… ho bisogno di pensare… Margherita è sorpresa, almeno quanto me: “entriamo subito a Villefranche e chiediamo un posto” - le dico - “per oggi basta così”.

 

Una ventina di minuti dopo siamo ormeggiati al sicuro nel porticciolo che si trova dentro la bella baia di Villefranche. Adesso con calma ho tutto il tempo per cercare di capire cosa mi sia successo.

 

Credo d'aver capito… la cosa è un po' complicata ma proverò a descrivere quel che è accaduto.

 

Sappiamo tutti che le onde non spostano l'acqua: semplicemente si propagano in ciascun punto passando oltre e lasciando le masse d'acqua là dove si trovano… ma non è proprio così. Chi ha provato a fare il bagno dalla spiaggia quando le onde incalzano il litorale, sa benissimo che un'onda ti spinge verso riva per un po' e dopo inverte il senso e ti risucchia verso il mare. Così un'onda al largo spinge l'acqua in avanti per un po' e poi la riporta indietro: dopo il passaggio dell'onda l'acqua si ritrova esattamente dov'era… ma ciò non vuol dire che non si sia mossa. Quando l'onda è molto ripida, la velocità di questo movimento d'acqua aumenta e quando incontra lo scafo, in combinazione con l'inclinazione della superficie nel fronte d'acqua, l'insieme di queste forze tende a rovesciarlo.

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LA NOSTRA SECONDA SCUFFIA

 

Non se ne può più… da tre giorni siamo bloccati a Marciana Marina da una burrasca che non accenna a calmarsi. Il tempo non è bello: grossi nuvoloni passano veloci in un cielo prevalentemente grigio spinti da un vento che gonfia il mare e che non smette di lanciare i suoi marosi contro le rocce che orlano esternamente la massicciata a protezione del porto. Le barche sono tutte addossate le une alle altre e molta gente staziona in pozzetto o va su e giù per le banchine. Il tempo passa guardando fuori… il mare… in attesa di un cambiamento che non arriva mai, oppure scambiando poche parole col vicino “di barca e di sorte”: “siamo tutti bloccati”.

È la fine di Agosto e molti di noi si apprestano a rientrare dalle ferie… anche questo fatto è un altro aspetto del problema: dobbiamo tornare a casa.

Alcune barche hanno il VHF acceso rinviato in pozzetto, così da sentire quel che trasmette il "canale meteo": è tre giorni che è così e sono tre giorni che nulla sembra cambiare. Poi finalmente, le previsioni meteo annunciano la fine della burrasca: “entro dodici ore dovrebbe calmarsi tutto”… i venti sono forti ed il mare è mosso ma la "burrasca è in attenuazione". La decisione è presa: “partiamo immediatamente”.

Così alle nove del mattino circa, il July esce dal porto e si fa strada in un mare ben formato con onde alte che ci raggiungono da sinistra; il vento è forte ma non fortissimo e noi avanziamo piuttosto bene con le onde che arrivano al traverso e non ci impediscono di prendere una buona andatura. Facciamo rotta a Ovest del faro che segna il limite da lasciare a destra delle Secche di Vada.

Mano a mano che l'isola d'Elba si allontana di poppa, a bordo si percepisce una lenta ma costante attenuazione del moto ondoso: i marosi diventano rari e le onde, che comunque si mantengono piuttosto alte, si fanno sempre meno aggressive. Navighiamo di buon passo guadagnando in latitudine fino ad avvistare il faro delle “Secche di Vada” che costituisce per noi un punto di riferimento sulla rotta verso la rada di La Spezia. In effetti, non facciamo una rotta proprio diretta: passiamo apposta ad un paio di miglia al largo del limite Ovest delle secche per rimanere meno lontani dalla linea di costa… con questo tempo… non si sa mai… meglio essere prudenti (se facessimo rotta diretta passeremmo 13 miglia a largo del faro).

Poi però, alcune raffiche ci colgono di sorpresa: niente di serio… però il cielo sta cambiando… tutto intorno a noi i colori si incupiscono e non riesco più a cogliere quei chiari "segnali" di miglioramento che vedevo prima… subito dopo la partenza.

Da questo momento in poi, lentamente ma inesorabilmente, l'andatura si fa più dura. Temo che, in barba alle previsioni, la burrasca, invece di mollare, tenda a riprendere forza. Il peggioramento delle condizioni intorno a noi non è repentino: per accorgersene occorre fare il paragone ricorrendo alla memoria, a come si navigava un'ora fa…

Poi d'improvviso, quel che temevo accade: un'onda più nervosa delle altre colpisce la fiancata di sinistra lanciando in aria i suoi spruzzi fino al pozzetto… è ora di indossare la cerata. Così, ci si ritrova ormai in assetto da burrasca: tutti i segnali ci avvertivano da tempo… dobbiamo prepararci alla difesa. Per prima cosa, calcolo la rotta per entrare a Livorno. Se le previsioni sono sbagliate, vuol proprio dire che l'instabilità del meteo è tale da non avere idea di quel che potrebbe accadere: è meglio prepararsi al peggio e se poi non dovesse succedere niente… tanto meglio.

 

Elaborazione di un'immagine dal plotter di bordo                                                                                            (immagine Navionics)

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Rotta del July a Nord delle Secche di Vada in navigazione per Livorno (in evidenza il punto della scuffia).

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La carta nautica sopra mostra l'accostamento del July in rotta adesso per Livorno. Abbiamo ancora undici miglia da percorrere a partire dal punto di vira: un paio d'ore al massimo e saremo in porto… Poi Eolo potrà scatenarsi come più gli piace.

La cosa più significativa per quanto riguarda la navigazione è che le onde adesso ci prendono bene al traverso, quasi al giardinetto… Il mare, col vento che soffia da Ovest, da queste parti ha una pessima reputazione. Credo che questo sia dovuto al fatto che i fondali a Nord della Corsica sfiorano i mille metri di profondità mentre già all'altezza della Gorgona si scende al di sotto dei duecento metri. Questo repentino cambio di profondità influenza la forma e la stabilità delle onde che, in questo tratto di mare, si fanno spesso più ripide ed aggressive.

Come temevo, il ballo comincia. La mia preoccupazione non sono certo gli spruzzi che ormai cadono a bordo con sistematica frequenza: per quelli ormai indosso la cerata. Il fatto è che il pilota automatico non è più adatto a tenere questo mare e mi tocca prendere in mano la barra personalmente. Ciò che mi “disturba” non è il lavoro in sé… piuttosto il fatto che se io sono alla barra qualsiasi cosa accada a bordo e che richieda il mio intervento diventa un problema.

Ad ogni modo, parliamo di tenere per al massimo un paio d'ore: non sono per niente preoccupato. Guardo con interesse il treno di onde che ci assale… non mi spaventano… saranno più o meno onde alte un paio di metri e i frangenti, quelli veri intendo, non sono poi così frequenti… li vedo sfogarsi ogni tanto qua e là ma mai sotto la nostra chiglia.

Sarebbe saggio indossare le imbragature di sicurezza… ma sono sotto coperta, nell'armadio ed io continuo a dirmi di “non fare il gasato”, ma di cosa parliamo… il mare quello vero io l'ho già visto e questo non gli si avvicina neppure.

Però, mi accorgo che adesso ho avvolto il braccio sinistro intorno al winch per tenermi durante i guizzi dello scafo che sono continui e violenti… mentre la mano destra è impegnata alla barra. La riflessione che faccio però è che c'è qualcosa di nuovo… qualcosa che alza ulteriormente “l'asticella”: non posso mollare la barra neanche per qualche secondo. Devo assolutamente tenere la barca “manovriera” in modo che trovi la sua strada in questo “calderone” senza beccarsi qualche “colpo di mare” che potrebbe farci male.

In queste condizioni non potrò certo fare carteggio: sottocoperta la carta nautica è ben stesa ed il GPS ci fornisce il punto nave… dovrei aggiornare la posizione e controllare la rotta… sono in ritardo… ma non è proprio il caso.

Conosco questa costa e vorrei solo essere in grado di essere “sicuro” di dirigere la prua verso l'ingresso del porto di Livorno che non è ancora in vista… mi basterebbe sapere grosso modo se non ci sono errori… se siamo sulla rotta giusta. Mi sforzo di cercare una risposta da quel che si vede della costa, ma gli occhi non sono più così acuti come un tempo.

“Margherita” - le dico - “io non posso lasciare la barra; dovresti andare sottocoperta, sul tavolo da carteggio, e portarmi gli “occhiali da lontano” per individuare il punto della costa dove troveremo l'ingresso al porto di Livorno."

“Non me la sento di andare sottocoperta… non me la sento proprio” - mi risponde. È la prima volta da quando andiamo per mare che Margherita mostra un qualche segno di difficoltà…

“Non importa” - le rispondo… - "Non è importante."  Mi rendo conto che sono bloccato alla barra e Margherita, per motivi diversi, non se la sente di rimanere operativa… È un problema!… Ma non è un grosso problema perché anche se mi farebbe piacere procedere con delle verifiche oggettive, sono abbastanza sicuro della mia rotta ed entro un paio d'ore saremo in porto e metteremo alle spalle anche questa avventura.

Ma Margherita è Margherita… chi la conosce sa che se deve fare qualcosa freme per poterla fare ad ogni costo. Così, dopo un paio di minuti, vedo che si alza nel pozzetto ed avanzando “a quattro mani” si avvia ad entrare nel tambucio.

“NO!… Cosa fai?” - le grido dietro… - “Non ti muovere… è pericoloso… non è una cosa importante." Ma lei sparisce sottocoperta incurante delle mie parole.

Sono preoccupato… molto preoccupato. Quanto invidio i comandanti delle navi militari che quando danno un ordine sanno che questo viene eseguito senza discussioni a bordo. Tra marito e moglie, anche su una barca, di questa cosa non se ne parla proprio.

Passano pochi secondi e sento un urlo provenire da sottocoperta: “Mi sono fatta male” - mi dice Margherita - “credo di avere un femore rotto perché il dolore è lancinante e non riesco più a muovermi”.

 

Maledizione!… Questo non ci voleva… proprio non ci voleva. NON POSSO MOLLARE LA BARRA e Margherita avrebbe bisogno di me.

 

“ Cos'è successo?… Dove ti trovi? “ - le urlo al di sopra dei sordi rumori del mare che continua a picchiare senza sosta - ”Fammi capire quale è la situazione.”

 

“Sono caduta sul pagliolato” - mi risponde - “sono sdraiata e non riesco più a muovermi per il dolore… devo aver rotto qualcosa… sono stata sbalzata violentemente sopra la cucina a gas… credo di avere una gamba rotta.”

 

“OK!… io non posso mollare il timone" - le dico - "neanche per un momento… stringi i denti e rimani sdraiata li dove sei… è importante che tu non ti muova… non ti muovere per nessun motivo… tra poco saremo in porto e una volta arrivati chiameremo un'ambulanza.”

 

La barca comunque, seppure in quelle condizioni, naviga veloce verso il punto della costa che immagino sia quello dell'ingresso Sud del porto di Livorno. Per quanto io rifletta sulla situazione, non trovo alternative: la cosa migliore è quella di approfittare del fatto che la barca naviga bene e cercare di arrivare il prima possibile a destinazione. Cerco di prevedere il mio ingresso in porto: dovrò accostare e mettermi il mare in poppa per entrare… le onde sono molto ripide… potrebbero montare a bordo… Vedremo!

 

Dopo qualche minuto, a sorpresa, l'ultima cosa che pensavo potesse accadere accade: Margherita emerge dal tambucio e sale in pozzetto. “Sono tutta indolenzita” - mi dice guardandomi negli occhi - “muovermi mi fa male… ma non mi va di restare sottocoperta.”

Sono contento… molto contento… anzi… sono felice. Margherita non può avere niente di rotto: non potrebbe muoversi in quel caso. Anche se rimane per un paio di secondi aggrappata a due mani al tientibene… è in piedi.

 

“Posso sdraiarmi qui” - mi dice indicandomi la panca sottovento del pozzetto - “non ce la faccio a sedermi dove sei tu… vorrei sdraiarmi qui… è un problema?”

“Nessun problema” - le rispondo con gioia - “Nessun problema. Allungati il più comodamente possibile sulla panca; vedrai che la piega della barca ti terrà ferma come in una culla… sentirai meno i colpi di mare che, per quel che si vede, ci accompagneranno senza ”mollarci" fin dentro il porto."

 

Mi concentro, ancora di più se possibile, sul lavoro che devo fare sul timone per mantenere la velocità della barca al massimo consentito dalle “condizioni al contorno”. La contentezza non mi ha abbandonato e sono sicuro che fra non molto saremo in prossimità del porto… o almeno, ad una distanza che mi consenta di sciogliere gli ultimi dubbi e di confermare che l'imboccatura è effettivamente là dove mi aspetto che sia. In mare siamo soli. Nessuna barca è in vista… nessuno è in acqua. In lontananza, intorno alle secche che si estendono a Ovest di Livorno, poche livide sagome di navi alla fonda stazionano come sempre e mi dicono che siamo in rotta. Le onde sono tutte molto ripide e ci arrivano addosso scaricando su di noi tutta la loro aggressività… ma non superano i due metri di altezza. È tanto ormai che procediamo veloci in questo modo e il July sembra una barca fatta per affrontare questo ed altro: nonostante tutto, a bordo regna la fiducia. Guardo le onde “caricarci” a testa bassa una dopo l'altra con testarda cadenza… ma non mi interessa… quel che conta è che si navighi veloci e senza danni.

 

…E poi accade!… Inizialmente, vedo in lontananza un'onda un po' più ripida delle altre… un po' più alta… un po' più scura…

 

Ho tutto il tempo per pensare al da farsi… Percepisco nello stomaco la minaccia… “questa non passa” - mi dico - “il July non può farcela”. Decido di accostare di dieci/quindici gradi in modo da prenderla al giardinetto e tenendomi pronto ad accostare ancora con un “colpo di timone” nella speranza di sfuggirgli davanti… Io sono ben agguantato con il braccio sinistro attorno al “winch” sopravvento mentre timono con la destra e Margherita è al "sicuro" sprofondata nella "saccatura" creata dallo sbandamento nella panca sottovento del pozzetto… e comunque non ho alcuna possibilità di fare altro se non agire sul timone: mi tengo pronto a dare un colpo di barra alla puggia per lasciare che il July possa fuggire il mare invece che opporsi all'onda… ma non sarà così.

 

Quando arriva, quasi volesse ignorarci, l'onda ci sale sopra con feroce indifferenza e tutto è buio intorno a noi. Per un istante non penso a Margherita… è tutto assolutamente irreale… è come se sognassi: non sono spaventato, sono un osservatore curioso che cerca di capire cosa stia accadendo. Poi realizzo: mi sento completamente in acqua ad occhi chiusi e mi sorprendo a pensare che nessuna parte del mio corpo tocca al momento la barca: sto fluttuando in un vortice completamente immerso. Avendo la cerata addosso che mi appesantisce in quel mare penso chiaramente di non avere scampo: “questa volta non credo di poter sopravvivere”. Oltretutto mi comporto come un oggetto inanimato… non accenno nessuna reazione… sono sottacqua e non penso a reagire in alcun modo… non ancora almeno. Rimango sottacqua per un tempo infinito, ma non sento il bisogno di respirare… anzi… non sento alcun bisogno, vorrei solo che tutto questo finisse… ma in una interminabile attesa senza angoscia.

 

Poi vengo colpito in fronte da un corpo metallico… è istintivo!… mi agguanto a quel che trovo al buio fidandomi solo degli altri sensi (non riuscirò mai a spiegarmi perché tengo gli occhi chiusi). Le mani agguantano qualcosa… la destra si stringe intorno ad un tubo: è il pulpito di poppa. Mi attacco con tutte le mie forze: non sentirsi più perso in acqua in balia di me stesso mi da la forte speranza di "cavarmela".

Elaborazione di un'immagine di Google Maps                                                                          (immagine satellitare 1)

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Abbiamo ricordi incredibilmente belli di quella sosta a Paxos. Era nel 1993 ed avevamo appena comprato la barca nuova: ci eravamo spinti fino alla Grecia che non avevamo mai visitato prima. A bordo con noi c'era nostro figlio Marco con un suo amico ospite a bordo. Paxos ha tutte le caratteristiche della tipica isola greca: un'isola con un paesino sul mare che inizia e finisce sul litorale banchinato dove è possibile ormeggiare subito di fronte alle case, i bar, i negozi e le taverne. La foto qui sotto è in realtà uno strappo alla regola. Non è stata fatta in questo viaggio, è un ricordo del 1993.

Rotta del July da Paleokastritsa a Gaios, nell'isola di Paxos.

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Abbiamo ricordi incredibilmente belli di quella sosta a Paxos. Era nel 1993 ed avevamo appena comprato la barca nuova: ci eravamo spinti fino alla Grecia che non avevamo mai visitato prima. A bordo con noi c'era nostro figlio Marco con un suo amico ospite a bordo. Paxos ha tutte le caratteristiche della tipica isola greca: un'isola con un paesino sul mare che inizia e finisce sul litorale banchinato dove è possibile ormeggiare subito di fronte alle case, i bar, i negozi e le taverne. La foto qui sotto è in realtà uno strappo alla regola. Non è stata fatta in questo viaggio, è un ricordo del 1993.

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