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La foto satellitare del tratto di mare chiamato "mare chiuso" ( a ridosso di Lefkada ).
Cartolina di Natale 2018
Il viaggio è stato bellissimo ed il vento, mano a mano che aumentava, non faceva che aiutarci ad andare più veloci. Il moto ondoso creato dal vento, come lo stesso vento, erano entrambi a favore. Le cose sono cambiate una volta arrivati nei pressi della lingua di sabbia che occorre circumnavigare per entrare nella darsena antistante il ponte levatoio. Infatti, se esaminiamo la foto satellitare riportata qui sotto, si vedono bene i bassi fondali con acqua trasparente che si incontrano avvicinandosi a terra. Inoltre, nella foto è stata evidenziata, da una linea tratteggiata, la zona di bassi fondali non navigabile che si incontra verso costa entrando.
Fine
Spiccare il volo verso la libertà e la conoscenza fa di ogni vita una vita degna d'essere vissuta.
Vacanze ad Ustica
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Ormai possiamo dire di conoscere abbastanza le isole che circondano la nostra splendida penisola... Almeno quelle del Mar Tirreno. Non so quante volte abbiamo visto la Gorgona (non si può sbarcare perché è una colonia penale), abbiamo visitato la Capraia e l'Elba; abbiamo quasi "toccato" Pianosa e non parliamo poi di Corsica e Sardegna. Siamo stati al Giglio, a Giannutri, davanti a Montecristo e siamo sbarcati alle Isole Pontine. Persino alle Eolie, di fronte a Milazzo sulla costa Nord della Sicilia, abbiamo passato una ventina di giorni a bordo del Tremar I (ex Kikka). Ustica però ci manca. Quest'anno faremo rotta proprio su Ustica.
Elaborazione di un'immagine di Google Earth
(immagine satellitare 1)
Foto dai nostri itinerari
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Pianificazione della rotta che ci avrebbe portato ad Ustica.
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Come vediamo sopra, non intendiamo fare rotta diretta. Non sarebbe una vacanza. Dovremmo navigare senza sosta per circa 395 miglia. Vorrebbe dire navigare per tre giorni e tre notti ed arrivare molto provati da un “tour de force” del tutto inutile. Non abbiamo rinunciato tuttavia a fare un viaggio molto veloce che ci porti sull'isola in tempi brevi ma senza forzature. Questo è il compromesso che abbiamo trovato.
- Tappa da Genova Pegli a Giglio Porto (155 MN) con una sola notte in mare. Sosta per la serata e ripartenza nel corso della mattina del giorno successivo.
- Tappa da Giglio Porto al porticciolo di Ponza (132 MN) con una sola notte in mare e giornata di relax all'arrivo; ripartenza la mattina successiva.
- Tappa dal Porto di Ponza al porticciolo di Ustica (132 MN) con una sola notte in mare e con arrivo in mattinata.
Complessivamente navigheremo per circa 420MN (al posto di 395 Miglia Nautiche) ed impiegheremo cinque giorni per arrivare (al posto di 3 giorni della rotta diretta) ma faremo un po' di vacanza sia al Giglio che a Ponza. Sono località bellissime che rivediamo volentieri e che ci daranno la “carica” donandoci qualche serata che già pregustiamo prima di partire.
La barca è stata controllata e ricontrollata. Abbiamo fatto anche alcuni week-end sia a Santa Margherita che a Chiavari: li abbiamo fatti apposta per verificare che tutto fosse in ordine. Si tratta di controlli importanti perchè la prima tappa ci porterà direttamente in mare aperto e non ci fermeremo fino al Giglio. Inoltre, andremo in isole dove sarebbe bene non avere emergenze di sorta. Il Giglio, Ponza ed Ustica non sono posti adatti per chi ha problemi tecnici.
Estate 1991, mancano due giorni all'inizio di Agosto e noi arriviamo in barca con l'auto carica di mille bagagli che dovremo imbarcare prima di partire.
Io metto alla macchina “l'antifurto supplementare”. Il caipiriña ha posto a bordo per due sole batterie da 100Ah. Anche la nostra auto ha una batteria da 100Ah. Io, quando non siamo via per le vacanze, a bordo del Tremar utilizzo una sola batteria che, come succede nelle automobili, è più che sufficiente per fare qualsiasi cosa. In occasione della partenza di Agosto invece, tolgo la batteria alla macchina e la installo come batteria supplementare sulla barca. L'anno scorso, al nostro ritorno, abbiamo trovato l'auto aperta ed il cassettino del cruscotto rovistato. È evidente che hanno cercato di rubarcela ma hanno desistito. Non sono angosciato per la macchina: è assicurata. Ma con questo metodo mi risparmio una spaventosa quantità di fastidi se non trovassi l'auto al ritorno... E poi, la batteria dopo un mese di utilizzo sarà sempre carica a palla.
Imbarcare tutto, controllare tutto, salutare gli amici... Come sempre, le ore che precedono la partenza sono frenetiche. Anche la notte prima di salpare si dorme in modo diverso: è proprio la "smania della partenza". Ma alla fine, come sempre, siamo in mare. Scapolato il molo di sovrafflutto che protegge il porto, mettiamo in rotta diretta per la Capraia. La lasceremo a destra per accostare in modo da passare punta della Fetovaia, all'isola d'Elba, che lasceremo a sinistra. Poi avremo acqua libera fino al Giglio.
Questa volta abbiamo il meteo "amico". Il mare è calmo ed il nuovo motore da 18CV (al posto di quello originale di 12CV) spinge la barca alla sua velocità massima già a due terzi della sua potenza. Nessuna nuvola in cielo e sole per tutto il giorno ci accompagnano fino al tramonto.
Quando spunta l'alba siamo ormai davanti alla Capraia. La sensazione è quella di macinare miglia a gran velocità. Quando di solito partiamo per la Corsica e la Sardegna, arrivare in Capraia vuol dire aver già fatto la traversata e da qui in poi navigare sempre in vista della costa. Ma adesso invece allungheremo fino al Giglio e, fra pochissimi giorni, saremo in Sicilia. Siamo pieni di entusiasmo e di fiducia. Comunque per il marinaio vale solo il presente. Quel che conta è avere attenzione a tutto, controllare tutto, fare in modo che tutto funzioni... Poi, quando sarà giunto il momento arriveremo.
Quando il sole si alza nel cielo limpido della mattina stiamo sfilando davanti a Punta Fetovaia: un tratto di mare a noi ben noto. Certo, adesso è ben diverso da quando lo abbiamo visto per la prima volta: allora era notte e stavamo affrontando una burrasca da Maestrale che ci appariva drammatica (click), adesso la giornata è bella ed il mare decisamente calmo.
Continuiamo così fino circa alle 15h:00' quando finalmente entriamo nel porticciolo del Giglio. Troviamo posto con poppa in banchina sul molo di sovrafflutto e ci sentiamo freschi e riposati. Scendiamo subito per sgranchire le gambe e comprare un bel gelato artigianale fatto come una volta da Fausto nel porto. È una sensazione bellissima, dopo tante ore di mare, scendere in una località che si conosce benissimo. Andiamo anche a prenotare per la cena: così, abbiamo tutto il tempo di tornare in barca, fare una doccia e prepararci per la serata senza rischiare di trovare tutto occupato. Il Giglio è magico ed ha un posticino tutto speciale nel nostro cuore.
L'indomani mattina, con calma, salpiamo dopo aver fatto una bella colazione a terra. Ci aspettano un'altra giornata ed un'altra nottata di navigazione, ma siamo sereni. Il tempo continua a mantenersi bello e domani saremo a Ponza.
Passiamo l'isola di Giannutri lasciandola a destra. Mare calmo e sole nel cielo; c'è poco vento. Io so che non sarà così da queste parti al ritorno. Qui di pomeriggio, quando non ci sono perturbazioni in giro, si alza un vento di imbatto che rende durissima la vita del marinaio che deve risalire verso il Nord con una barca a vela... Ma ci penseremo al ritorno. Al momento mi "gusto" questa dolce navigazione per signorine deciso a goderne finché dura.
E dura per tutto il giorno. Sfiliamo, una dopo l'altra, località a noi ben note che riconosco da lontano anche se ci si mantiene ad alcune miglia dalla costa. L'enorme ciminiera della centrale ENEL di Torvaldaliga è così alta che si vede da molto lontano. È un tratto di mare nel quale sembra di navigare molto lentamente... Ma è solo un effetto "ottico". Voglio dire che questa ciminiera è l'unico punto cospiquo veramente evidente ed è così alta che la si vede già quando si naviga all'altezza di Montaldo di Castro e per raggiungerla... Sembra che non si arrivi mai.
Quando sfiliamo a largo di Fiumicino è ormai notte. Non c'è una "bava di vento" ed il mare appare oleoso in una notte senza luna. In lontananza ad Est si vede il chiarore della costa. L'umidità di una notte in mare senza vento è qualcosa che conoscono bene solo i pescatori. È tutto bagnato. La coperta della barca, i sedili in pozzetto... Qualunque cosa si tocchi... Persino la bussola da rilevamento appoggiata un attimo durante le operazioni di controllo del punto nave.
Si avanza di solo motore con la randa issata bordata al centro che pende senza forma nella notte. Io passo ore a fissare l'acqua della scia di poppa che la potente luce di via illumina per almeno una decina di metri. La sensazione di potenza e velocità che trasmette è rassicurante. Non c'è molto da fare: i miei dormono ed io faccio lo stesso col mio metodo collaudato da anni.
Faccio un giro d'orizzonte e prendo nota mentalmente di quel che succede intorno a noi prima di sdraiarmi e dormire profondamente per una decina di minuti. Non ho bisogno di sveglie. Controllando l'orologio, al mio risveglio vedo quanto tempo è passato: solitamente da sei ad otto minuti. La cosa si ripete per tutta la notte e il giorno dopo mi sento riposato.
Allo spuntar dell'alba, appare sfumata nella foschia l'isola di Zannone. Si trova verso Est, la parte più chiara del cielo nella quale sorgerà il sole. L'isola di Ponza è ancora avvolta dall'oscurità: si trova guardando ad Ovest nel punto più scuro dell'orizzonte. Non vedo l'ora che sorga il sole per asciugare tutto. Ho passato la seconda metà della notte rimanendo all'asciutto all'interno della barca. Mettevo la testa fuori solo per i controlli.
Arriviamo in porto a Ponza verso le dieci e mezzo del mattino e troviamo posto, poppa in banchina, subito dopo la capitaneria. Si apre davanti a noi una bella giornata di vacanza e cominciamo subito con una lunga passeggiata alla ricerca di "vettovaglie" per riempire la cambusa. Questa è un'altra buona ragione per spezzare il viaggio in tre tappe: abbiamo a bordo sempre cibo fresco.
Pranzo a bordo quindi... Con Margherita che sembra divertirsi nel preparare un bel pranzetto per la sua famiglia. Se non fosse per l'atmosfera dei ristorantini... Soprattutto di sera, devo dire che si mangia meglio a casa... Ops!... In barca.
Nel pomeriggio una piccola camminata ci porta alla spiaggia di "Chiaia di Luna". È una località che conosciamo bene come tutti i frequentatori. I venti dominanti soffiano investendo di solito in pieno o il porto o Chiaia di Luna. Chi, come noi, arriva in barca, in caso di vento forte che investe la baia, deve "salpare" di corsa e rifugiarsi nella rada protetta sulla costa opposta. È successo anche a noi più di una volta in piena notte: qui è un fenomeno considerato normale.
Elaborazione di un'immagine di Google Earth
(immagine satellitare 2)
Isola di ponza: le due rade più usate per l'ancoraggio in sicurezza.
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L'indomani mattina, così come abbiamo fatto al Giglio, facciamo colazione a terra prima di partire. Ci aspetta l'ultima tappa: Ustica.
Vista sulla carta è un puntino in mezzo al mare, ma noi possediamo una nuova “diavoleria tecnologica” ciamata LoRaN (Long Range Navigation). Un sistema elettronico che consente di fare un punto nave che si rinnova continuamente. Funziona rilevando “onde lunghe” che vengono emesse da stazioni a terra. Se non sbaglio, nel mediterraneo ci sono quattro di queste stazioni che coprono tutto il “Mare Nostrum”. Quando sbarcheremo, siamo sicuri che non dovremo chiedere ai locali dove siamo.
Mi sarebbe piaciuto avere delle previsioni meteo aggiornate prima di partire. Purtroppo, in capitaneria non abbiamo trovato quel che stavamo cercando. "Troppo presto" - Ci hanno detto - "Tornate verso l'una".
Il mare non è più piatto come ieri. Impostata la rotta, teniamo la prua a Sud (quasi) ed un venticello di Scirocco increspa l'acqua. Navighiamo a motore ma riusciamo anche a tenere le vele al vento con un'andatura di bolina. Psicologicamente io mi sento in viaggio. Voglio dire che non mi interessa fare il "purista" della vela. La barca è solo un mezzo che mi deve portare a destinazione ed io userò qualsiasi risorsa a disposizione per arrivare il prima possibile. Navighiamo col motore a mezza forza e tutte le vele a riva. Il Tremar, appena abbattuto sul lato destro, taglia l'acqua con la giusta potenza per garantirci un viaggio veloce e confortevole. È incredibile quanto le vele riescano a stabilizzare una barca.
Navigando verso Sud, sappiamo che da qualche parte a Est dovremmo vedere Ventotene... Ma anche no. È troppo lontana e si allontana sempre di più. Anche noi ci allontaniamo sempre di più da qualsiasi terra emersa. Ormai avremo solo mare davanti a noi.
Procediamo per tutto il giorno con questa andatura. Come sempre, quando il vento spira da Scirocco compaiono sporadiche alcune nubi in cielo. Verso le tredici il vento aumenta d'intensità e monta una maretta che ci investe al mascone di sinistra. Ma non si forma onda e noi continuiamo a mantenere la massima velocità ed il massimo "comfort" a bordo.
La vita scorre tranquilla, ognuno è assorbito dalle proprie cose. Ormai siamo in viaggio da qualche giorno e tutti a bordo hanno "il piede marino". Margherita da un grosso contributo a questa "normalità". Ad orario, ci ritroviamo tutti a tavola a pranzo e a cena esattamente come faremmo se fossimo a casa. È così che arriviamo a sera.
Prima del buio, osservo il cielo. La nuvolaglia, molto rada al mattino, si è intensificata nel corso della giornata fino a diventare in serata cielo coperto. Adesso le onde si presentano sottobordo con assoluta regolarità e la barca le sente. Ma la velocità non sembra soffrirne ed il beccheggio, anche se inevitabile, rimane contenuto. Ormai siamo nel bel mezzo della traversata e solo una notte ci separa dall'arrivo... Ma sarà una lunga notte. Il vento e il mare sembrano in intensificazione e la direzione è appena sufficiente per consentirci di fare rotta diretta su Ustica. Il Tremar, a testa bassa, attacca ogni onda con tutta la determinazione di cui è capace e per ora tutto va bene. La domanda però è: "durerà questa andatura maneggevole?"
...Ed infatti non dura. Alle 11 della notte la velocià comincia a risentire di questo mare che ci colpisce al mascone (più precisamente sul lato sinistra della prua). Le vele, adesso che il vento è più teso, "tirano come un mulo" ma non riescono a compensare del tutto l'aumento dell'onda che, colpendoci quasi in prua, ci rallenta un po'. La velocità rispetto al fondo che rileviamo con precisione deducendola dai dati del LoRaN ci mantiene sui cinque nodi. Non è molto, ma è un piccolo miracolo con questo mare.
È una notte maledettamente buia. Avrei preferito navigare con la luna. Non si vede niente e immaginare di prendere in mano la barra per addolcire l'andatura sull'onda è fuori questione. Le onde sono corte e ripide e l'unica alternativa possibile sarebbe quella di cambiare rotta in modo da non prenderle "sul muso". Ma anche questa opzione non esiste. Deve essere del tutto impossibile avanzare per convincermi a cambiare rotta. La vita a bordo si fa dura: il beccheggio adesso è notevole e la prua si ficca in acqua ad ogni onda. Decido di usare la migliore risorsa a mia disposizione: il motore. Finora è stato tenuto a mezza forza perchè spinge in aggiunta alle vele che si mantengono a fil di vento in una bolina che, seppur non tecnicamente "stretta", certo non è lasca. Porto la potenza a tre quarti e l'effetto si vede subito. La velocità che era scesa ormai a quattro nodi, si riporta verso i cinque. Sono molto soddisfatto del risultato, ma la situazione è decisamente precaria. Questo equilibrio al limite potrebbe finire in modo improvviso in qualunque momento. Ustica è ancora lontana.
Inoltre comincio ad avere un'altra preoccupazione: nel portolano, studiando le carte e le caratteristiche dell'unico porticciolo che troveremo ad Ustica, si parla di problemi in caso di forte vento da Scirocco. Potremmo essere costretti a rifugiarci a Palermo, il porto sicuro più vicino.
Mentre sotto coperta faccio un piano d'emergenza da utilizzare nel caso la sosta in porto fosse intenibile, la situazione fuori peggiora ulteriormente. Tuttavia mi considero fortunato perché la barca non solo continua a mantenere la rotta ma rimane stabile sotto vela. Sono sicuro che se il vento girasse dalla parte sbagliata, anche solo di pochi gradi, saremmo costretti, per avanzare, a virare di conseguenza ed abbandonare la rotta diretta con tutte le conseguenze del caso.
Anzi, ho l'impressione che il vento sia effettivamente girato di qualche grado... Ma dalla parte a noi favorevole. Infatti il caipiriña, nonostante il beccheggio che lo porta a saltare letteralmente sull'onda, sembra proprio aver aumentato la velocità.
Quando infine scorgo quel tipico chiarore che annuncia l'alba, mancano ormai poche miglia all'arrivo. Arriveremo senza ulteriori problemi: ne sono convinto. La questione adesso è un'altra: riusciremo a trovare un ormeggio che ci consenta di rimanere in sicurezza o dovremo ripartire per Palermo. Non lo sapremo fin quando non saremo dentro.
Davanti all'imboccatura metto il motore in folle e lascio che il Tremar si traversi al vento per imbrogliare le vele e mettere tutto in assetto. Cavoli !... Non pensavo che si "ballasse" in modo così violento. La barca, senza le vele che tirano e la stabilizzano, sembra impazzita. Margherita assiste ben sveglia dal pozzetto mentre Marco è ancora in "branda". Da dove siamo si vede il moto ondoso tra le banchine e dentro di me sono quasi sicuro che all'interno non riusciremo a stare. Non ho proprio voglia di rimettermi a navigare per andare a Palermo, ma siamo in ballo e balleremo... E purtroppo la musica non la suoniamo noi.
Preparate le cime d'ormeggio addugliate sulla battagliola e pronte a filare, viro e mi accingo ad entrare. Effettivamente ci sono porzioni di pontile libere proprio lì dove la risacca rende la posizione intenibile. Una volta dentro mi accorgo però che nell'angolo più interno, rimanendo distante dalle banchine, la motovedetta della capitaneria di porto ondeggia assecondando il mare libera di muoversi tenuta da quattro corpi morti che sorgono dall'acqua proprio nella giusta posizione per mantenerla in sicurezza (probabilmente con ogni tempo).
Credo proprio che Palermo per ora dovrà aspettare: decido di affiancarmi alla motovedetta della capitaneria che può ben permettersi senza danno di tenere anche un caipiriña.
Facciamo l'accosto ed in un attimo siamo fermi (...si fa per dire). Tutti i parabordi a mezzanave, due spring con barbetta e codetta col giusto imbando assicurano alla nostra barca la possibilità di assecondare il moto ondoso residuo senza creare problemi. Certo, non possiamo scendere a terra. In queste condizioni non è pensabile mettere a mare il tender. Ma almeno non siamo in rotta per Palermo.
Siamo ad Ustica!
Non posso dire di essere veramente stanco, ma sento comunque di essere arrivato dopo una “lunga corsa”. In barca ognuno si mette a fare quel che deve. Io metto in ordine tutto in coperta e lavo con un po' d'acqua dolce almeno le sedute del pozzetto. Nel corso della nottata abbiamo imbarcato qualche secchiata di mare e, se non si toglie il sale residuo, basta un minimo di umidità nell'aria che ci si bagnano i pantaloni. Margherita mette in ordine l'interno che sempre, dopo una traversata, mostra i segni di quel che è successo: un plaid arruffato sulla cuccetta a murata dove schiacciavo i miei ripetuti pisolini notturni, quel che rimane di un pacco di biscotti sgranocchiati durante la veglia quando il freddo della notte stimola l'appetito, la bottiglia dell'acqua ma anche quella del whisky al momento fuori posto... Insomma, bisogna fare ordine. Poi c'è Marco che si sta svegliando ed è interessato a sapere cosa c'è per colazione.
Ce la prendiamo comoda. Siamo contentissimi d'essere arrivati e sappiamo bene che fintanto che dura la burrasca non potremo scendere a terra: ce ne facciamo una ragione.
Mentre "tutta la famigliola" è in dinette, all'interno della barca, sento gridare forte il suo nome: "Tremar..." - urlano da terra -"Hei !... Del Tremar... Mi sentite?"
Metto fuori la sola testa per vedere chi ci chiama... Ops!... Dev'essere un ammiraglio... Almeno a giudicare dalla divisa impeccabile e piena di gradi dorati che brillano sugli avambracci.
Appena mi vede si scatena: sembra che la motovedetta alla quale siamo "così amabilmente vincolati" sia classificata come "nave da guerra" e nessuno ha il permesso di avvicinarsi (... e men che meno di ormeggiarsi di fianco). Per parte mia, io ascolto in silenzio tutto quel che ha da dire. Sembra che la cosa peggiore non sia un qualche problema reale, ma piuttosto il fatto che l'ufficiale giudichi la cosa così inaudita da rimanerne fortemente indignato. Io faccio lo gnorri.
In realtà sapevo benissimo da diversi anni come stanno le cose. Almeno da quando a Saint Tropez nell'87 sono stato minacciato con le armi da un paio di sentinelle che facevano la guardia ad una motovedetta francese rimanendosene sottocoperta. Che dire?... Mi sembrava abbandonata.
Comunque la tecnica di non contrastarlo in alcun modo facendo la "faccia da innocente" funziona. In fondo sembra che si ritenga soddisfatto d'avermi spaventato a morte col suo interminabile elenco di tutto quanto avrebbe fatto per punirmi. Alla fine mi dà un ordine "secco" che non ammette repliche:"capitano" - mi dice - "molli subito gli ormeggi e muova verso quei pescherecci laggiù... Non è un ormeggio dedicato al diporto, ma fintanto che dura questa burrasca dirò loro di farvi posto".
Non mi sembra vero!... Per punizione mi metteranno in un bel posticino e potrò anche scendere a terra. Non c'è che dire... È un vero ufficiale gentiluomo.
Il tempo di accendere il motore e mollare gli ormeggi che scorgo due pescherecci che manovrano per fare spazio tra loro. Il tempo di arrivare e diverse coppie di braccia si protendono per aiutarci ad ormeggiare. Sono professionisti. Non devo dir loro nulla. In un attimo ogni cima è settata perfettamente e la manovra è finita. L'ufficiale è rimasto a guardare e poi ha aggiunto: "non appena la burrasca cessa ve ne dovrete andare". Lo avrei abbracciato... Ma avrei rovinato tutto.
Ed eccoci a terra nel bel mezzo dei nostri nuovi amici. Soprattutto la barca alla nostra sinistra ha un equipaggio particolarmente caloroso. Tutti i siciliani lo sono e noi ci sentiamo perfettamente a nostro agio in mezzo a gente che si interessa di noi e vuole sapere tutto: da dove veniamo, cosa facciamo, che rotta abbiamo fatto, quali tappe, cos'è successo durante la traversata in burrasca durante la scorsa notte?...
Improvvisamente, uno di loro si allontana un attimo e torna con due tonnetti in mano: "prendili Marcello" - mi dice - "adesso ti spiego come prepararli... Sono buonissimi". Io non vorrei accettare, ma temo di offenderli. Bisogna conoscere a fondo la loro cultura e le loro usanze: sono sicuro che ci resterebbero male. Mentre allungo le mani per prenderli, Margherita da dentro la barca si agita vistosamente per attirare la mia attenzione. Mi fa segno di non prenderli assolutamente... Non saprebbe dove metterli. Infatti ho tralasciato di dire che durante la giornata che ha preceduto la burrasca abbiamo pescato un paio di tonnetti anche noi e nel frigorifero tutti non ci stanno.
Non potendo spiegare a Margherita come in realtà stiano le cose, prendo i tonnetti e mi prodigo in ringraziamenti esagerati. Poi "salto" dentro per bloccare la moglie che è già pronta ad alzare il livello della protesta fino a farsi scoprire.
Per tutta la mattinata nessuno scende dalla barca. A bordo del Tremar il cibo non si getta mai via. Margherita quindi ha deciso di far bollire tutti i tonni e prepararli sott'olio. Nella pentola tutti non ci stanno, quindi si procederà in sequenza con l'operazione di bollitura che durerà parecchio. Anche la ricerca e la preparazione dei barattoli si rivela un'operazione tutt'altro che semplice che, tra uno sbuffo e l'altro, la assorbe completamente. Nel frattempo Marco si mette a studiare mentre io mi defilo ed evito di mostrare apertamente la mia gioia d'esser qui in questo momento... Ci sarà tempo.
La burrasca durerà tre giorni. Nelle barche si vive molto all'aperto ed inevitabilmente si finisce col creare un clima cameratesco nel quale si diventa tutti amici... Almeno fintanto che dura la convivenza. Un pescatore in particolare, quello che ci ha regalato i tonnetti, ha molta voglia di parlare ed io, che non mi tiro certo indietro, finisco col stabilire con lui un rapporto di reciproca simpatia.
Vuole sapere tutto di noi e della barca. Sembra affascinato dal fatto che siamo partiti da Genova e in pochi giorni siamo arrivati quì ad Ustica. Lui vive in mare e lo conosce bene. Fanno pesca d'altura... Voglio dire che vanno a pescare dove la terra non è più in vista. Ma si allontanano a due o tre ore di navigazione dalla costa e, quando il meteo si fa pericoloso, sono pronti a rientrare in porto per aspettare che passi la buriana. Sono tutti veri marinai, ma non viaggiano per mare. L'idea di fare lunghe traversate andando là dove è impossibile correre al riparo in caso di brutto tempo li incuriosisce molto e sento del rispetto da parte loro.
La mattina del secondo giorno, mentre discutevamo amabilmente di chissà quale argomento, improvvisamente mi pone una domanda diretta: "Marcello..." - mi dice - "Hai un bugliolo? Allungamelo per favore" (il bugliolo in mare è il secchio).
Apro il gavone in pozzetto e gli porgo quel che chiede. Il peschereccio ha una bella cabina di pilotaggio verso prua e tutto il resto del ponte rimane libero fino a poppa. Proprio nel mezzo, assicurato con cime robuste, si erge un grosso barile sul quale, a mo' di chiusura, si vede una pesante tavola messa "a cappello". Con una mano la solleva e con l'altra immerge il bugliolo che sparisce al suo interno. Quando me lo porge è pieno a metà di calamari freschi (conservati nel ghiaccio tritato).
"Chiama Margherita..." - mi dice - "Le spiego come li cuciniamo noi. Li abbiamo presi poco prima di entare in porto".
Il menù a pranzo è deciso: per primo spaghetti al sugo "rosso" di calamari, per secondo calamari al sugo... Solo il dolce non sarà a base di calamari.
Passiamo le giornate a raccontarci a vicenda storie di mare. Le nostre sono storie diverse perché è diversa la vita che facciamo in mare. Ad un certo punto, apre la porta della cabina di comando (l'unica cabina che esista sul peschereccio) e mi mostra, appesi al suo interno, un coltellaccio ed un'ascia da pompiere. Uno dopo l'altro, li prende e me li mostra. Il coltello rimane in un fodero di cuoio nero e spesso che sembra inchiodato al legno dell'uscio, l'ascia invece è fissata con due "clip" a molla che ne serrano il manico. Quel che più mi sorprende è l'affilatura dell'accetta. Quelle che ho visto finora in vita mia sono solo grossolanamente affilate, questa sembra un rasoio.
Poi mi fa notare sotto la sporgenza poppiera del tettuccio della cabina due lunghi arpioni dalla punta lunga e aguzza ed un massiccio "raffio".
"Vedi quegli arpioni" - mi dice - "adesso ti spiego a cosa servono. Noi peschiamo con i palamiti. Vedi quelle ceste laggiù... Sono lunghe lenze con centinaia di ami che vengono calate in fondo o a mezzacqua a seconda della pesca che facciamo. Quando le salpiamo, non è raro trovarci grossi pesci. I più grossi sono i tonni o il pesce spada. Quando ci accingiamo a salpare un grosso pesce, ogni tanto, dobbiamo fare attenzione a qualche squalo che ci gira intorno reclamando la propria parte di bottino. L'incontro più strano è quello con lo squalo bianco. Ci viene vicino e tira la testa fuori dall'acqua. Si vede benissimo che ci guarda in segno di sfida. Vuole la preda per sè... È una lotta per la vita. Lui lotta per mangiare ed anche noi dobbiamo dare da mangiare alle nostre famiglie. Bisogna fare in fretta a portare il pesce sottobordo. Un solo morso dello squalo e la preda è invendibile. Uno di noi tira la lenza il più in fretta possibile fino ad avere il pesce a portata di mano. A questo punto bisogna tirarlo su in due col raffio. È questo il momento più pericoloso. Un attimo di esitazione e lo squalo può addentare la preda. Allora l'altro di noi si mette di guardia sporgendosi con l'arpione in mano. Se lo squalo si avvicina deve riuscire ad arpionarlo al primo colpo. Non solo per difendere la preda... Alcune volte riusciamo a catturarlo e lo vendiamo al mercato all'ingrosso. Ci facciamo un sacco di soldi. Sono animali incredibili che meritano il nostro rispetto. Sono fieri e determinati: guai a sottovalutarli. Quando ero imbarcato come ragazzo tuttofare in un peschereccio più grande, uno squalo tirato in secca sul ponte, mentre si dibatteva, è stato in grado di addentare la gamba di un pescatore... Non sono riusciti a salvargliela. Alla fine l'ha persa".
È affascinante sentirlo parlare. Quel che racconta non è solo interessante perché si tratta di un tipo di esperienza rara, che hanno in pochi, ma anche perché lo fa con la naturalezza di chi conosce il proprio vissuto e ne parla come se questo fosse quel che fanno tutti, tutti i giorni al mondo.
In un altro momento, mentre prendevamo insieme il caffé preparato da Margherita, mi racconta della pesaca allo spada.
“Vedi quel coltello appeso dietro alla porta” - mi dice - “è lì per ogni evenienza come l'ascia. Sono entrambi affilatissimi e pronti all'uso. Ma mentre l'accetta è lì per i casi di emergenza (come l'ascia dei pompieri), il coltello è utile in mille circostanze diverse. Una di queste è l'uso che ne facciamo nella pesca allo spada. Devi sapere che quando prendiamo all'amo un pesce spada, nel caso che sia un esemplare femmina, è molto probabile che la pesca diventi doppia. Infatti, il maschio non abbandona mai la femmina ferita o catturata e noi, quando si avvicina, possiamo arpionarlo. Si tratta di un pesce molto pericoloso perché è fiero e combattivo. Non si arrende mai e, se può, una volta issato a bordo, ti ferisce o addirittura ti uccide anche solo per vendetta. Bisogna sapere come fare per tirarlo su. Uno lo prende per la spada e due lo issano col raffio. Se il pesce è grosso, una volta in coperta, può essere molto pericoloso. È in grado di dibattersi con una violenza inimmaginabile e quella spada in aria può essere mortale. Allora, uno di noi, mentre l'altro lo tiene ancora per la spada, in pochi secondi, usa il coltello per estrargli il cuore dal petto ed il pesce muore subito. La lotta può essere molto dura e alla fine, secondo una vecchia usanza, ognuno del cuore ne mangia un pezzo".
Rimaniamo affiancati tre giorni, poi la burrasca finisce. Non vediamo più nessuno della capitaneria, quindi teniamo lo stesso ormeggio anche dopo la burrasca. Godiamo della vita sull'isola: una magica vacanza. Usiamo il gommone per andare a fare il bagno fuori dal porto senza dover muovere la barca.
Il ritorno, come previsto, sarà una lunga lotta contro i venti dominanti che, soprattutto nel pomeriggio, soffiano tesi dai quadranti settentrionali cercando di impedirci di avanzare. Ma quel che maggiormente va ricordato di quest'estate è la nostra sosta, sulla strada del ritorno, nel porto di Anzio (basso Lazio). Ci siamo fermati per qualche giorno in modo da poter partecipare al matrimonio di mio fratello che è avvenuto a Roma nel Campidoglio. Una cerimonia memorabile tra parenti ed amici tutti in "ghingheri". Noi avevamo portato dei vestiti apposta per poter essere all'altezza dell'evento. Un'estate speciale... Veramente speciale: non è poi così comune recarsi ad un matrimonio arrivando su una barca a vela.
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